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Cento capolavori dell'arte borghese

Consolato Paolo Latella


Un tempo collezionare opere d'arte era privilegio di re e papi, poi prese sempre più piede nelle grandi famiglie aristocratiche e soprattutto, nell'800 e '900, tra i grandi magnati americani, ma non solo: anche nella Russia zarista furono molti gli appassionati d'arte, e tra questi spiccano in modo particolare Sergej Schukin e Ivan Morozov.

Schukin proveniva da una ricca famiglia moscovita che commerciava in prodotti tessili. Da bambino era malaticcio e balbuziente, tanto che i genitori, non avendo il coraggio di mandarlo a scuola, facevano venire a casa gli insegnanti. Nonostante questa infanzia poco felice, Sergej prese in mano le redini della famiglia e inanellò successi commerciali e sociali, senza però dimostrare particolare interesse verso l'arte. L'ispirazione gli venne osservando due suoi fratelli, Nikolaj, che dopo aver raccolto argenti e quadri si stufò e vendette tutto, e soprattutto Petr, che addirittura si era fatto costruire un edificio per contenere la sua eterogenea raccolta comprendente ben 23.911 numeri d'inventario. Il museo Schukin fu aperto al pubblico nel 1895 e divenne in breve tempo un luogo d'incontro di artisti.

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Anche altri due fratelli di Sergej furono colpiti dalla stessa passione: Dimitrij raccolse una delle più importanti collezioni di pittura russa, e soprattutto Ivan riuscì a seguire liberamente il suo amore per l'arte trasferendosi a Parigi, dove la sua casa era frequentata con regolarità da Degas, Renoir, Rendon e, quando si trovava a Parigi, Checov. La sua vita ebbe però uno sviluppo tragico: una volta terminata la rendita famigliare non gli restò altro che vendere parte della sua collezione, ma gli esperti dichiararono che era composta da falsi e Ivan, che non riuscì a superare questa vergogna, si avvelenò nel 1908.

Sergej acquistò i suoi primi quadri impressionisti probabilmente consigliato dal fratello parigino, ma già aveva iniziato la sua raccolta attorno agli anni ottanta-novanta con opere di realisti russi che vennero rapidamente abbandonati a favore degli impressionisti francesi. Fu particolarmente affascinato da Monet del quale comprò più di dieci opere, e fu Lillà al sole il primo quadro impressionista ad arrivare in Russia grazie proprio a lui. Schukin era un collezionista che cercava sempre le novità e sapeva individuarle grazie al suo gusto raffinato e alla sua sensibilità. Dopo la passione per gli impressionisti, dal 1904 rivolse il suo interesse a Gauguin, Van Gogh e Cézanne, dei quali capì subito la grandezza e, dal 1910, a Derain, Matisse e Picasso.

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Con Matisse strinse un rapporto particolarmente profondo, tanto da divenire il suo patron commissionandogli alcune opere diventate poi capolavori assoluti dell'arte del Novecento, come La stanza Rossa e La danza. Lo stesso Matisse probabilmente ha presentato Picasso a Sergej Schukin, e la compagna del pittore catalano a quel tempo, Fernande de Oliver, ci ha lasciato una descrizione di quell'incontro: "Un uomo di bassa statura, insignificante, con una grande testa e un volto simile a una maschera maialesca. La forte balbuzie lo faceva soffrire, faticava a spiegarsi e questo lo metteva a disagio… Acquistò due tele, pagandole somme di denaro molto grosse...". La "maschera maialesca" fa probabilmente riferimento a un velenoso disegno di Picasso in cui Schukin è ritratto come un porco. Nonostante questo, all'inizio del secolo il russo possedeva una delle più grandi raccolte di quadri di Picasso, seconda solo a quella degli Stein.

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Ogni anno andava a rifornirsi a Parigi, spesso assieme a un altro grande collezionista russo suo amico - e chiaramente rivale - Ivan Morozov. Più giovane di una generazione di Sergej Schukin, appartenente a una delle famiglie più ricche della Russia, anche lui seguì le orme di un fratello, Michail, il quale, appena liberato dagli impegni commerciali della famiglia, nel giro di pochi anni costituì una delle raccolte di arte contemporanea più importanti di tutta la Russia e purtroppo morì appena trentatreenne nel 1903. Solo due anni prima Ivan aveva acquistato il suo primo quadro.

Con circospezione Morozov si avvicinò alla pittura occidentale: in un primo tempo il suo pittore preferito fu Sisley, e solo dopo passò a Monet, Renoir e Degas. Il suo era un fare più meditabondo, rispetto all'irruenza di Sergej Schukin, e questo se pure non gli consentì di apprezzare talenti emergenti, gli permise però di cogliere frutti più maturi. Nel 1907 si avvicinò a Gauguin e appena un anno dopo possedeva otto tra i suoi maggiori capolavori; di Cézanne raccolse ben diciotto tele e lasciò per anni uno spazio vuoto sulla parete in attesa del quadro Paesaggio blu. A differenza di Sergej Schukin, Ivan Morozov non seguì l'avanguardia cubista di Picasso ma diresse la sua attenzione verso i Nabis (Valtat, Vuillard, Denis) e Pierre Bonnard, di cui acquistò trenta tele. L'approccio all'arte per Ivan era meno emotivo e più "scientifico": non voleva il migliore ma quello in grado di dimostrare la nuova concezione dell'arte.

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Tutta la frenetica ricerca si arrestò per entrambi con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1913, ma i veri problemi iniziarono nel 1917 con la rivoluzione bolscevica, e la difesa dell'integrità delle loro importantissime collezioni impegnò i due collezionisti fino allo spasimo. Schukin in un primo momento entrò addirittura a far parte del Soviet moscovita per l'arte, poi un gruppo di collezionisti propose di far acquisire allo Stato le loro raccolte. La proposta venne accettata ma gli eventi precipitarono e la situazione diventò sempre più complessa e confusa: Ivan Morozov racconta che un giorno si presentò da lui un governatore per requisire un certo numero di quadri adducendo come motivazione che nella sua zona non c'erano opere né di Cèzanne né di Derain!

Il Museo Schukin venne nazionalizzato nel 1918 e di lì a poco, vista l'impossibilità di sopravvivere nella Russia bolscevica, Sergej Schukin riuscì a espatriare e si stabilì nell'amata Francia . Nel 1919 anche Ivan Morozov si trasferì all'estero. Le due collezioni vennero riunite nel 1923 ma lo rimasero per poco poiché subito iniziò lo smembramento tra vari musei. Poi cominciarono le vendite segrete in occidente dei più grandi capolavori "custoditi" nei musei Sovietici. E' in questo modo che vari quadri di Tiziano, Rubens, Raffaello, Van Dyck presero la via di collezioni private e pubbliche, e nel 1932 iniziarono anche le vendite delle opere d'arte contemporanea occidentale. Per fortuna si capì che tale politica rendeva poco dal punto di vista economico e per di più minava la credibilità del nuovo Stato, e Stalin decise di porre fine a tale iniquo mercato.

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Le vicissitudini continuarono: allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale le opere vennero in fretta e furia imballate e spedite in Siberia, da dove tornarono solo alcuni anni dopo la fine del conflitto. A questo punto i poveri quadri, che incontrarono la diffidenza ideologica per i loro contenuti definiti formalisti, antipopolari e borghesi, furono per gran parte seppelliti nei depositi del Museo Puskin di Mosca e all'Ermitage di San Pietroburgo (allora Leningrado), e solo dopo la morte di Stalin, poco alla volta, tornarono a essere visitabili dal pubblico.

Oggi, grazie al cielo, una parte di queste formidabili collezioni dal 22 dicembre fino all'11 giugno del 2000 si potranno ammirare a Roma nella mostra I Cento Capolavori dell'Ermitage presso le Scuderie Papali del Quirinale. Si rende così finalmente merito ai due straordinari collezionisti russi e soprattutto ai capolavori dal vissuto tanto movimentato.

Le Scuderie, opera conclusa da Ferdinando Fuga nel 1730, vengono utilizzate per la prima volta come spazio espositivo dopo l'intervento dall'architetto Gae Aulenti che ha permesso di creare un luogo perfetto e modernamente attrezzato.

Il catalogo, edito da Electa, in cui tutte le opere sono presentate dal curatore della mostra Albert Kostenevich, contiene gli interventi dei componenti del comitato scientifico composto da Michail Piotrovski - direttore del Museo dell'Ermitage - Claudio Strinati, Bruno Contardi e Maurizio Calvesi.

 

 

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