Il Nuovo Testamento come
        trasformazione del Vecchio. La figura di Mosè come prefigurazione imperfetta del Cristo.
        C'è un raffinato programma teologico nel ciclo degli affreschi quattrocenteschi della
        Cappella Sistina, il cui restauro si è concluso proprio nei giorni scorsi, dopo cinque
        anni di lavori. E' un programma di rafforzamento del primato papale, una ricerca di
        consenso e di devozione che prende mossa dall'antica sapienza ebraica e procede, per
        sottili analogie, fino al trionfo della Chiesa cattolica.
        Il disegno della Maxima Cappella, che sarà poi la Sistina, lo traccia
        per primo Niccolo' V, pontefice regnante tra il 1447 e il 1455. Nel suo progetto di
        rendere grandioso l'intero complesso Vaticano, c'è un riferimento preciso di partenza: Re
        Salomone. Come scrive il suo biografo Giannozzo Manetti, "se Hiram di Tiro architetto
        del Tempio di Salomone fu lodatissimo per sapienza e dottrina dei sacri libri, quanto più
        dobbiamo lodare Niccolò V". E il richiamo a Re Salomone ricorre spesso, anche nelle
        parole del successore Sisto IV, il papa da cui la Cappella prende il nome. Troppo spesso
        perché a qualcuno non venisse un sospetto: e se l'architettura della Cappella si
        ispirasse proprio al leggendario Tempio di Salomone? 
        L'ipotesi è dello studioso Eugenio Battisti. E, come riporta Maurizio
        Calvesi nell'affascinante saggio Le arti in Vaticano (Fabbri editore), trova un solido
        riscontro nel primo Libro dei Re (6,2). Se anziché al cubito regio (equivalente a 55
        centimetri), si fa riferimento a quello palestinese da tela (67 centimetri), sostiene
        Battisti, le misure del Tempio sembrano proprio concordare con quelle della Sistina: 60
        cubiti di lunghezza (40 metri), 20 di larghezza (13 metri), 30 di altezza (20 metri).
        Insomma, la Cappella sarebbe la ricostruzione fedele del Tempio di Salomone.
        Molti storici dell'arte hanno contestato queste conclusioni. Ma per
        Calvesi la risposta definitiva, sfuggita allo stesso Battisti, è sotto gli occhi di
        tutti. Nell'affresco del Perugino, all'interno della Cappella, "La consegna delle
        chiavi". Sulla facciata dell'arco di trionfo a sinistra si legge infatti: "Tu,
        Sisto IV, inferiore a Salomone per ricchezze, ma superiore a lui per religione e
        devozione, consacrasti questo tempio immenso".
        Sisto IV aveva in testa Salomone, dunque. Proprio come
        Niccolò V, suo predecessore. Ma con una differenza: Sisto IV era un francescano e il suo
        programma non poteva essere ispirato allo sfarzo, come avrebbe voluto papa Niccolò, ma
        alla sobrietà. Di qui l'idea di fondo della Cappella: dimostrare che, pur nel
        parallelismo, la religione del Nuovo Testamento è superiore a quella del Vecchio. Più
        interiore e spirituale la fede cristiana, più legata a manifestazioni materiali e
        esteriori quella ebraica. Bisogna partire da questa premessa, entrando nella Cappella, per
        leggere il significato degli affreschi quattrocenteschi, tra le opere più sfortunate
        della storia dell'arte, perché schiacciate dalla presenza dei capolavori di Michelangelo
        malgrado la loro importanza per generazioni di pittori (per le immagini il sito è
        http://christusrex.org/www1/sistine/0-Tour.html):un raffronto simmetrico, come nelle Vite
        parallele di Plutarco, per sottolineare il legame profondo tra Salomone e il Papa, tra
        Mosè e Cristo, e dimostrare volta per volta le differenze. 
        Sulla sinistra (con l'altare alle spalle) il ciclo ebraico, "Le
        storie della vita di Mosè"; sulla destra quello cristiano, "Le storie della
        vita di Cristo", quindi. Una scena contro l'altra, l'una di fronte all'altra e con un
        contenuto comune, per mettere in luce analogie e differenze tra due fedi. Con un
        accorgimento narrativo che prevede più racconti all'interno di ogni affresco, la cui
        lettura varia a seconda del ciclo: classica, da sinistra a destra, quella del ciclo
        cristiano; inversa, in molti casi, quella delle storie di Mosè.
        Il primo passo, con le spalle al Giudizio Universale, in coincidenza
        con l'altare, è l'iniziazione delle due figure guida. Sono entrambe del Perugino. A
        sinistra la "Circoncisione del figlio di Mosè", a destra il "Battesimo di
        Cristo". La scena è per entrambi tripartita: nel primo caso si vede il viaggio di
        Mosè verso l'Egitto, sullo sfondo l'antefatto, ossia il congedo dalla terra di Madian, al
        centro Mosè con il suo seguito fermato da un angelo che gli ingiunge di circoncidere il
        secondogenito; nel secondo la scena del Battesimo di Cristo al centro, la predica del
        Battista a sinistra, la predica del Cristo a destra. "La chiave", spiega
        Calvesi, "è Sant'Agostino, secondo cui la circoncisione è una prefigurazione del
        Battesimo. Ma ciò che nell'Antico Testamento si realizza con atti materiali e cruenti,
        nel Nuovo viene espresso con mezzi incruenti e simbolici, come l'acqua".
        Stesso discorso nel secondo confronto di affreschi, stavolta entrambi
        di Sandro Botticelli. A sinistra la "Tentazione di Mosè": si inizia con
        l'antefatto, ossia Mosè che uccide un egiziano che aveva maltrattato un ebreo, sullo
        sfondo Mosè che fugge dall'Egitto per sottrarsi alla vendetta del Faraone e ripara a
        Madian, quindi Mosè che scaccia i pastori che volevano impedire alle figlie di Jetro di
        abbeverare il gregge, al centro le pecore che si abbeverano, infine, sullo sfondo,
        l'apparizione di Dio al roveto ardente. A destra la "Tentazione di Cristo": il
        Diavolo tentatore in azione sullo sfondo, vestito con il saio (qualcuno ha visto
        un'allusione ironica di Botticelli al fatto che il papa fosse francescano) e al centro la
        scena di purificazione ebraica che Cristo mostra da lontano agli angeli. Chiave del
        confronto, suggerisce Calvesi, è la Lettera agli Ebrei di San Paolo, in cui si sottolinea
        la differenza tra il sacrificio di Cristo e quelli che venivano compiuti dagli ebrei:
        Gesù non offre animali vivi, ma se stesso. Di più: Cristo non conosce mai il peccato;
        Mosè, che aveva ucciso, sì.
        La storia procede con il confronto sul proselitismo. A sinistra il
        "Passaggio del Mar Rosso" di Cosimo Rosselli, episodio che prefigura la
        liberazione di Cristo, ma che risulta immersa in un'atmosfera cupa. A destra "La
        vocazione degli Apostoli" del Ghirlandaio, scena limpida e fastosa. 
        Si va avanti. Due opere di Cosimo Rosselli per mettere in raffronto il
        modo di comunicare la Legge. A sinistra "Mosè che riceve le Tavole": si vede il
        Profeta irato dopo aver visto il proprio popolo adorare il vitello d'oro e in alto la
        decapitazione di alcuni idolatri. Sulla destra "Il discorso della Montagna",
        ossia la Legge di Cristo, con un miracolo sulla destra, la guarigione del lebbroso,
        allegoria del peccato. 
        Quinto passaggio, le persecuzioni. Da una parte, del Botticelli,
        "La punizione dei ribelli", con un evidente il richiamo a Torquemada nella
        figura di Mosè che alza la verga contro gli infedeli (nell'anno di inaugurazione della
        Cappella, malgrado la natura pacifica di Sisto IV, finirono al rogo duemila eretici).
        Dall'altra, del Perugino, "La consegna delle chiavi", con Pietro che raffigura
        la Chiesa militante in primo piano, davanti al tempio che simboleggia la Chiesa
        trionfante. Anche qui il raffronto è pieno di significati. In entrambi gli affreschi c'è
        una lapidazione: soltanto che mentre Mosè si ripara con le mani mostrando timore, Cristo
        va incontro ai suoi assalitori a braccia larghe. Non solo: in entrambe le scene appare
        l'arco di Costantino. Ma mentre in quella dell'Antico Testamento è soltanto una rovina,
        nella seconda diventa splendente simbolo dell'autorità riaffermata. E ancora: Mosè
        condanna a morte, Cristo no. Persino la composizione ha un ritmo contrapposto: nervosa
        quella di Botticelli, pacata quella del Perugino.
        La cosa più interessante del confronto è però il valore esoterico
        che emerge dai due affreschi e che si ricongiunge di nuovo ai misteri di Salomone:
        l'esigenza di attingere alla Cabala, ossia lo studio dei numeri e dell'ebraico come lingua
        della Creazione, per apprezzare la continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento e per
        valutare come il primo già annunci, sia pure oscuramente, il secondo. Nei due affreschi
        la presenza di un simbolismo numerico è continua. Nel Perugino, ad esempio, tra i due
        archi sullo sfondo è iscritto il tempio ottagonale: ebbene, scrive Calvesi, "secondo
        Agostino, il numero quattro regola tutte le azioni terrene e dà un particolare valore al
        numero sei, giorno della Creazione, al numero sette, giorno del riposo, e al numero otto,
        giorno della Resurrezione dei morti, seguita dalla condanna degli ingiusti". Il
        numero otto diventa così simbolo del Nuovo Testamento, contrapposto al sette, simbolo del
        Vecchio (sette sono infatti le colonne nell'affresco del Botticelli). Alla figura
        ottagonale del Tempio, poi, si innestano su quattro lati altrettanti portici: visto in
        pianta, quindi, il tempio riprodurrebbe la figura della Croce. 
        Nella rappresentazione del Perugino si vede anche un'altra simbologia,
        quella del numero 12. Le pareti del tempio sono infatti divise in tre ordini, ognuno dei
        quali è quadripartito. Quindi 3 per 4, che fa 12. E che questo numero non sia casuale lo
        riprova l'immagine a lato dell'arco di Costantino, in cui l'unico elemento non fedele al
        modello è un coronamento diviso in dodici scomparti. Dodici, quindi, come numero da
        sottolineare. Dodici: il simbolo della Gerusalemme celeste, degli apostoli, del ciclo
        annuale.
        Avanti ancora, si arriva alle ultime tappe delle due storie, il
        passaggio delle consegne. A sinistra, Luca Signorelli dipinge la "Fine della vita di
        Mosè", in cui viene confermata la Legge e si vede il figlio Giosuè, prefigurazione
        di Gesù, mentre riceve la verga del potere dal patriarca ultracentenario. A sinistra
        Rosselli produce "L'ultima cena". In entrambi i casi, la morte dei protagonisti,
        è in secondo piano, come a dire che da questa rinasce nuova vita. Il percorso degli
        affreschi quattrocenteschi finisce così con la congiunzione simbolica delle due storie.
        Un anello tra due racconti sublimi che si congiunge in un viatico per l'avvenire e che,
        molti anni dopo, offrirà il punto di partenza a Michelangelo. Il quale fa partire il suo
        racconto nella volta da Noè, anticipazione del Cristo per un'umanità non ancora pronta
        alla Buona Novella.