A Napoli un’esplosione ghiacciata
Simona Ambrosio
Napoli, Maschio Angioino 4-30 ottobre 2002
Frozen Flurry è il titolo della personale dell’artista
irlandese Declan O’ Mahony, inaugurata al Maschio Angioino di
Napoli il 4 ottobre scorso. Si potrebbe definire “esplosione
ghiacciata” anche se sono impossibili traduzioni letterali dei
titoli di O’Mahony, visto che è lo stesso artista a crearli come
un proseguimento musicale delle sue opere.
Il quarantaduenne di Cork ha un fortissimo legame con Napoli:
giovanissimo nel 1993 dopo essersi diplomato sia in Irlanda che a
Berlino, viene invitato a partecipare alla biennale del Sud all’Accademia
di Belle Arti. L’impatto con la città è immediato. La luce
accecante, l’azzurro del cielo, le ombre dei vicoli, l’incessante
andirivieni di persone, ma soprattutto la vibrazione di suoni,
colori e umanità, hanno influenzato tutto il successivo ciclo
produttivo.

Le 41 opere della mostra sono divise in tre grandi filoni temporali
e stilistici. Il primo è caratterizzato da disegni in carboncino,
in bianco e nero, dove si recuperano ancora tracce di corpi
figurativi. Nel secondo filone vi sono ancora dipinti piuttosto
piccoli che ricordano l’astrattismo di Pollock, realizzati durante
gli anni’90 a Berlino. Ma è il terzo filone quello più
pregnante: tele di grandi dimensioni dove l’esplosione di luce è
data da strisciate di materiale colorato e in rilievo, quasi a
rievocare la brillantezza e l’allegria dei ricordi dell’infanzia.
Dopo aver vissuto 15 anni lontano dall’Irlanda (a New York, in
Australia e a Berlino) O’ Mahony decide di ritornare nella
campagna di Cork nel 2000. I paesaggi e i colori mutevoli della sua
terra traspaiono nell’ultima produzione così come anche le
numerose visite all’estero.
O’Mahony ha scelto Napoli come patria affettiva del sud,
regalandole questa personale organizzata dal Comune, dalla Regione,
e dall’Ambasciata Irlandese. Napoli ha ricambiato dandogli la
possibilità di esporre in uno dei luoghi più suggestivi del
patrimonio architettonico della città: il Castel Nuovo, meglio
conosciuto come Maschio Angioino.
La sala dove è allestita la mostra gode infatti di uno splendido
affaccio sul golfo e di una perfetta esposizione solare: i colori in
acrilico polymers delle tele più recenti abbandonano la dimensione
piana quasi a voler lasciare la tela.
Abbiamo colto l’occasione per fare alcune domande a Declan O’
Mahony.
Le tele dell’ultimo ciclo sono tutte molto grandi. Alcune però,
come Flush del 2002, presentano una notevole sovrapposizione
di materiali.
Flush (150X210) è tra i quadri più grandi che abbia mai
realizzato. Il titolo non ha nessun significato; è solo la
sonorità che termina la lettura della tela. L’ho iniziato in
Germania e terminato in Irlanda. Ero nel mezzo del lavoro quando c’è
stata la tragedia dell’11 settembre a New York. Da allora la mia
relazione con Flush è cambiata. L’arte, per me, deve
bilanciare gli orrori che talvolta ci mostra il mondo. Nella parte
centrale c’è un fuoco, un’esplosione di materiali e di colori.
Quando un oggetto si rompe c’è sempre una forte dose di
aggressività, qualcosa che ha a che fare con la catastrofe di New
York.
La rottura viene bilanciata dalla pace del bianco del fondo. Non c’è
nulla di simbolico o figurativo, c’è la ricerca dell’armonia
dopo l’aggressività. In questo mi sento molto vicino all’Espressionismo
Astratto di de Kooning o Kline. Alcuni mesi dopo il mio arrivo in
Germania ci fu la catastrofe di Chernobyl. E poi la caduta del muro
e l’unificazione. Eventi molto duri e difficili che hanno imposto
immagini mostruose. Li ho potute superare grazie all’azione sulla
tela.
Quanto sono rilevanti i luoghi e i paesaggi nella sua produzione
artistica?
Ricorda il detto: You can take the man out of the country,
but you can’t take the country out of the man? I luoghi che
abbiamo realmente vissuto non ci lasciano mai. Ho viaggiato molto,
ho conosciuto gli Stati Uniti, l’Australia, l’Inghilterra, la
Germania. Sono tutti luoghi che porto con me.
Nel 1993 quando venni a Napoli, rimasi così colpito da non volere
più ripartire. I paesaggi irlandesi fanno parte della mia carne ma
non ho mai sentito il bisogno di fermarmi, piantare il cavalletto e
dipingere: è così sottile il piacere di godere del panorama.
Mi avvicino alla natura in un altro modo, da un punto di vista
biologico. I miei quadri sono come immagini al microscopio di
materia vivente. E’ questa l’armonia che cerco di riproporre.
Come è riuscita Napoli a influenzare la sua pittura?
Con la vitalità, con l’intensità ma soprattutto con un
elemento fondamentale del paesaggio: il Vesuvio. L’incombenza di
questo vulcano mi ha sempre attratto; i colori plastici che uso
vengono lavorati quando sono ancora liquidi e ad altissime
temperature.
La forza del magma, il movimento, l’eventualità di un’esplosione
hanno influenzato tutto il ciclo degli ultimi anni e forse hanno
contribuito al titolo di questa mostra, Frozen Flurry,
esplosione ghiacciata. “Ghiacciata” perché lo spirito con cui
mi avvicino al calore di Napoli è pur sempre quello di un uomo del
nord.
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