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Omaggio a Nam June Paik



Riceviamo e pubblichiamo:

Il 14 settembre ha aperto a Palazzo Cavour, in Via Cavour 8 a Torino, ha aperto al pubblico la mostra “Il giocoliere elettronico. Nam June Paik e l’invenzione della videoarte” ideata da Marisa Vescovo e curata da Lucio Cabutti per il video, Denis Curti per la fotografia e Marisa Vescovo per l’installazione e la pittura, con la collaborazione della Fondazione Italiana per la Fotografia e dell’Accademia Internazionale Arti e Media.

Oltre cento opere fra installazioni, laser paintings, fotografie e video documenteranno la produzione artistica di Nam June Paik, considerato dalla critica internazionale l’iniziatore della ricerca espressiva con il video, anche dal punto di vista tecnico. Grande sperimentatore mediatico, l'artista coreano è stato uno dei fondatori e protagonisti di spicco del movimento Fluxus, con Joseph Beuys e John Cage.

La rassegna organizzata dall’Assessorato alla Cultura della Regione Piemonte nell’ambito del progetto “Torino Contemporanea Luce e Arte”, è di fatto la prima personale di così grande rilievo nel nostro paese ad indagare un periodo particolarmente felice della produzione artistica di Nam June Paik all'epoca del sodalizio con la violoncellista americana Charlotte Moorman. Negli anni compresi fra il 1964 e il 1968, prima che Yoko Ono e John Lennon trasmettessero al mondo l'intensa luna di miele, Paik, coinvolto non solo “artisticamente” dalla Moorman, si esibiva nelle proprie opere come fantasioso performer a fianco della compagna.

Il percorso espositivo della mostra di Palazzo Cavour si articola in più sezioni. In una sono esposte video-sculture di Paik e della Moorman, anche eseguite a quattro mani, relative al periodo Fluxus (1960-1974), momento in cui l’artista coreano, ossessionato felicemente dall’oggetto-televisore, inventa una grande quantità di modi per renderlo inoffensivo, demistificando il linguaggio delle immagini con il suo irriverente senso dell’umorismo. Una seconda sezione raccoglie invece le opere tridimensionali di Charlotte Moorman, opere in bronzo, neon, marmo, legno e terracotta sul tema del violoncello.

Si passa quindi alla trentennale ricerca artistica di Paik, rappresentata a Palazzo Cavour da installazioni di grandi dimensioni come Robot, Sfera e Il Cavallo direttore d’orchestra.

Un’altra sezione della mostra presenta le 80 opere del “port-folio”, 76 immagini fotografiche (formato 50x70), tre grafiche e un disegno che raccolgono, oltre allo sguardo di Paik, anche l’interpretazione visiva del fotografo Peter Moore. Soggetto degli scatti è Charlotte Moorman nelle diverse performances provocatorie fra il 1964 e il 1974, in cui la si vede sospesa per aria, sdraiata, per strada, nascosta in un lenzuolo, vestita da soldato, celata tra i monitor.


Nam June Paik "Sfera. 
Punto elettronico", 1990-92


Un’ulteriore sezione presenta una rassegna di video di Paik, della durata di sette ore e mezza, da Beatles Electroniques a Good Morning Mr Orwell. Attraverso una postazione interattiva sarà possibile accedere ad un archivio della produzione video di Paik e selezionare fra gli oltre 450 minuti - video disponibili, che saranno visibili inoltre in altre postazioni fisse lungo il percorso.

Ci sarà infine la possibilità di assistere a proiezioni video su Paik con riprese per la maggior parte inedite sull’artista coreano e sulle sue performances, dall’Omaggio a Paik del VideoArt Festival di Locarno a Play Mozart’s Requiem, la gigantesca installazione di Münster con 32 auto d’epoca:

La mostra rimarrà aperta al pubblico fino al 17 novembre con orario 10.00 - 19.30 tutti i giorni compresi i festivi a eccezione del giovedì, giorno in cui il Palazzo resterà aperto fra le 10.00 e le 22.00. Giorno di chiusura il lunedì. Catalogo Hopefulmonster con testi dei curatori in italiano e in inglese.
Informazioni per il pubblico: 011 53 06 90 www.palazzocavour.it 







SOMMARIO DOCUMENTAZIONE SULLA MOSTRA
“Il giocoliere elettronico. Nam June Paik e l’invenzione della Videoarte”
Palazzo Cavour, Torino 14 settembre - 17 novembre 2002


Informazioni essenziali sulla mostra 2

Nam June Paik, Charlotte Moormann e la scatola parlante 3
Dal testo critico di Marisa Vescovo

Nam June Paik e la videoarte 6
Dal testo critico di Lucio Cabutti

Nam June Paik 7
Dal testo critico di Denis Curti

Biografia di Nam June Paik 9

Elenco delle opere 10




Immagini e testi scaricabili anche via Internet dal sito www.threesixty.it 





INFORMAZIONI ESSENZIALI SULLA MOSTRA



Sede: Palazzo Cavour, Via Cavour 8 - Torino

Titolo: “Il giocoliere elettronico. Nam June Paik e l’invenzione della Videoarte”

Ideazione: Marisa Vescovo

Curatori: Lucio Cabutti per il video, Denis Curti per la fotografia e Marisa Vescovo per l’installazione e la pittura.

Organizzazione: Regione Piemonte Assessorato alla Cultura, Direzione Promozione Attività Culturali, Istruzione e Spettacolo - Settore Promozione Attività Culturali

Progetto allestimento: Massimo Venegoni, Studio Dedalo

Catalogo: Hopefulmonster

Apertura: 14 settembre - 17 novembre 2002

Orari: martedì - domenica 10.00 - 19.30. Giovedì 10.00 - 22.00 Chiuso lunedì

Ingresso: Euro 6.20 Ridotto Euro 4.13 Ridotto speciale Euro 2.58
Ingresso gratuito: Torino Card, Abbonamento Musei, Pass 15, disabili, bambini fino ai 5 anni
Ingresso gratuito scuole: allievi delle scuole dell’obbligo fino ai 16 anni di età
Speciale ingresso gratuito: bambini dai 6 ai 12 anni accompagnati da due adulti.

Informazioni: 011-530690 Fax 011-531117 Indirizzo: V. Cavour 8, 10123 Torino
Sito Internet: www.palazzocavour.it
Numero Verde: 800329329
Visite guidate: Itineraria 011-4347954

Ufficio Stampa: 011-547471 fax 011-534311 threesixty@infinito.it www.threesixty.it





Nam June Paik, Charlotte Moorman e la scatola parlante
Dal testo critico di Marisa Vescovo

[....]
Nam June Paik - che aveva studiato composizione musicale e storia dell’arte all’università di Tokyo- nel 1956 si reca in Germania, dove, due anni dopo, incontra John Cage, l’artista che lo convince a diventare con lui l’apostolo del “caso”., messaggero dell’anti-musica
La prima esposizione di Paik, Music-Electronic Television, avvenuta nel 1963, alla Galleria Parnass, a Wuppertal, consisteva in un’installazione con 13 video-monitor, messi a caso, che riempivano lo spazio con l’emissione di immagini ferme interagenti con gli spettatori. Da questo primo passo nascono una miriade di idee e invenzioni, che per ben 40 anni hanno avuto un ruolo fondamentale nell’introduzione - accettata quasi subito - delle immagini elettroniche in movimento nel mondo dell’arte. In breve Paik diventa un “genio” dei media per la sua straordinaria capacità di proporre forme-immagini, ottenute con mezzi tecnologici, capaci però di coinvolgere tutti i sensi, di mettere in scena un movimento proteiforme di un’apertura infinita, un gioco complesso che coinvolge inevitabilmente anche l’interprete. In Germania Paik, oltre a Joseph Beuys e Cage, incontra anche George Maciunas, il fondatore di Fluxus, il quale, nel 1964, lo introduce nel mondo artistico newyorkese, che viveva il momento magico degli “happenings” e della nascita dei film d’artista, come quelli di Jonas Mekas. Paik entra a far parte del mondo Fluxus, un gruppo ondeggiante di artisti - Allan Kaprov, Wolf Vostell, Yoko Ono, Dick Higgins, George Brecht, Joe Jones, Geoffrey Hendricks, Philip Corner, Robert Filliou, Alison Knowles, Ben Vautier, gli italiani: Giuseppe Chiari, Sylvano Bussotti, Gian Emilio Simonetti, e poi La Monte Young, Henry Flynt, ed altri - che avevano individuato nei mass media la parte più negativa della cultura del tempo. Questi artefici cercavano l’interdisciplinarità totale dei mezzi da usare, e privilegiavano il processo creativo piuttosto che l’oggetto finale, e l’assolutà precarietà dell’opera. Ma più che opere vere e proprie gli artisti Fluxus preferivano dare vita ad “azioni” - che rifuggivano ogni dogmatismo, o l’adesione a un “bello” stereotipo - documentate da riprese in video, foto, dischi, partiture musicali, e documenti di vario genere. [....]

Nel 1964 entra a far parte di Fluxus, soprattutto per volere di Paik, l’americana Charlotte Moorman, diplomata in violoncello classico alla Julliard, solista dell’American Symphony Orchestra, diretta da Leopold Stokowski. Essa diventa fulmineamente una delle protagoniste più originali della scena sperimentale newyorkese degli anni Sessanta e Settanta. Donna di aspetto affascinante, occhi blu screziati di verde, una grande massa di capelli castano dorati, il sorriso radioso, è stata definita da Edgar Varèse “la Giovanna d’Arco della nuova musica”, infatti, nel 1963, ha fondato il New York Avant Garde Festival, che si è svolto annualmente fino al 1982.
La collaborazione con Paik ha avuto momenti molto emotivi e intensi per alcuni anni, ma in verità la loro collaborazione è durata ben 30 anni; con lui la Moorman partecipa a una serie di importanti “happenings”, tra cui Opera Sextronique (1967) in cui Paik, il quale pensava che la sessualità fosse una componente importante dei media, ha convinto la musicista a mettere due piccoli televisori sul seno nudo, mentre suonava un “violoncello” composto da tre monitor, che disegnavano un corpo femminile.
Si è creato così un clima erotico e dissacrante, che ha scandalizzato il pubblico, e alla Moorman è costato un arresto, e il soprannome di “la violoncellista in topless”. Un altro evento sorprendente, assurdo, è stato quello di voler costruire un duetto con il robot K-456 di Paik, insieme al quale ha suonato PLUS-MINUS di Stockhausen.










I due artisti insieme hanno formato un dinamico “duo” del multimediale, che ha viaggiato per tutto il mondo. In Italia, nel 1966, alla Biennale di Venezia, essi hanno presentato il Venice Gondola Happening, portando una piccola orchestra su una gondola, che inquadrata da una luce intensa e teatrale passava romanticamente tra i canali della città lagunare col suo carico di giocosi turisti-performer. Molte comunque sono le opere - in mostra quelle della Moorman sono rappresentate soprattutto da una serie di violoncelli di varie tipologie - talora a quattro mani - che sono nate dalla loro collaborazione (di un importante gruppo di foto di Paik, che documentano varie performances della Moorman, viene dato conto nel testo, in catalogo, di Denis Curti), poi sono state magari trasformate in video, come mostravano i 30 monitor sparsi in un groviglio di piante chiuse in una serra, il TV Garden (1974), dove tra folte felci comparivano molte immagini della Moorman.

Lo stesso impegno che la Moorman ha messo nel suo gioco infinito di interpretazioni musicali e gestuali, è stato messo a segno anche da Paik nella sua ossessiva esplorazione della televisione e del video, tanto da diventare, alla fine degli anni Sessanta, l’antesignano di una nuova generazione di artisti che cercavano di creare un discorso estetico fuori - e in antagonismo - dalla televisione e dalle immagini in movimento.
Durante tutti gli anni ’70 e ’80 Paik ha lavorato come insegnante e attivista, supportando altri artisti, e studiando opportunità per cambiare le potenzialità del mezzo emergente del momento, ovvero la TV. In questo periodo troviamo le collaborazioni fondamentali con Laurie Anderson, Joseph Beuys, David Bowie, Merce Cunningham, e i sempre verdi Cage e Moorman, con i quali ha creato una serie di installazioni che hanno cambiato radicalmente l’uso del video, ridefinendo in modo drastico questa pratica artistica. Paik evidentemente pensava che l’orizzonte percettivo di ogni essere vivente, e di ogni specie, fosse molto particolare e potesse intervenire sulla sua visione del mondo.
[...]. Paik è perfettamente consapevole che la televisione tende a ridursi a “contenitore di visibilità”, “coscienze delegate”, oggetto espositore di capacità comunicative, orientatore del giudizio politico, ma soprattutto a grande procacciatore di danaro, mediante la pubblicità, danaro che alimenta questo “mezzo”, garantendone un’esistenza sempre più “vuota” - cioè sempre meno creativa e progettata culturalmente - dal punto di vista dei contenuti e dei messaggi, ma sempre più invadente e onnipotente nei confronti dell’opinione pubblica, della presenza visiva, della formazione del gusto e dei desideri, nonché del controllo dei costumi e dei consumi.
È sullo sfondo di questo scenario che possiamo, credo, capire l’intensa concentrazione, lo sforzo di introspezione e di controllo compiuti da Paik. Infatti nel suo lavoro egli ha saputo innanzitutto far convivere interessi umanistici e musicali, una filtrata e poetica cultura Zen, l’eredità delle avanguardie del Novecento, legando il tutto con una conoscenza perfetta della tecnologia e dell’intelligenza artificiale.

Attraverso un umorismo leggero e insieme irriverente, di sapore Neo-Dada, egli decostruisce il linguaggio del mezzo televisivo, indagando parallelamente i legami tra arte e cultura popolare, combinando una tradizione sciamanica e razionale con una magica capacità di sintesi, di astrazione, che lo hanno condotto verso la conoscenza profonda e consapevole dei mezzi informatici. Una conoscenza facilitata dalla sua pazienza orientale mai venuta meno.

[...] Per mettere in crisi le immagini televisive [...] Paik [...] usa le immagini in modo astratto - in questo aiutato dalle sue conoscenze musicali - su schemi dove troviamo forme ritmiche, geometrie quantistiche particolari di natura, potenziati da esplosioni di luci e di colori, contenuti in tempi molto brevi, che ci costringono a ritrovare l’intensità dello sguardo, e talora ci fanno balenare innanzi la luminosa immediatezza di squarci di storia di questo nostro tormentato XX secolo. [...]









Se osserviamo le installazioni video - “Cavallo antico e 6 direttori d’orchestra” - ci rendiamo conto che Paik, collezionando tanti oggetti ormai fuori del contesto storico (vecchie radio, carcasse di televisori, e opere di un antiquariato minore) crea ibridazioni che complicano la nostra “tradizione” visiva, e salvano qualcosa dalla tirannide dell’utilità e dal consumo, creando infine un’enorme, infinita, collezione che ormai vive, frammentata, per il mondo. [...]
L’immagine - video - in un’opera come “Colosseum” in cui coesistono frammenti di sculture romane, immagini frattali, la foto di Beuys, di architetture e neon - intrattiene un rapporto stretto, certo “costitutivo”, con quanto è scarto, maceria, residuo, legato alla wunderkammern del nostro sempre più carnevalesco presente. L’unione di reale e virtuale - la realtà che ospita in sé il suo opposto, l’altro da sé, violando antiche leggi, ma creando anche distinzioni fondamentali come quella tra verità e immaginazione, presenza e assenza, interno e esterno - vengono messi in questione (basta pensare anche a “TV Clock”). Queste opere spettacolari, ma anche tutti gli altri “robot” - “Robot giocatori di baseball” - mettono in scena la metamorfosi del “reale”, e attraverso l’incrinatura delle barriere concettuali che questo comporta, l’attenzione di chi guarda viene attratta con simpatia dalla fluidità, dall’apertura, dalla differenza, e ciò nondimeno l’affiorare del paradosso, e dell’ambiguità, non sono tanto l’indice di un ostacolo da superare, ma l’evidenziarsi di luoghi in cui è importante sostare. [....] Le creature di Paik costruite con vecchie radio, orologi, televisori, telefoni, (per lui la vera grande scoperta del secolo), macchine fotografiche, antenne, vecchi mobili, sculture, biciclette, pezzi di macchine, sommati ad immagini, magari arricchiti di una concreta memoria pittorica che non vuole essere cancellata, non sono frutto di feticismi tecnologici, o idolatria della macchina, ma semplicemente l’artista, con grande ironia, ridisegna i “giocattoli” della sua infanzia, mette in discussione il valore del video o del televisore dicendo che annoiano e creano troppe immagini, ma contesta anche il neopaganesimo dei Terminator, proposti col volto ebete di Schwarzenegger.
[...]
Paik cerca un “fare” poetico che si offra nell’istantaneità della visione. Pensa l’arte in un’ottica che è quella della sua genesi e del suo essere costantemente in “fieri”, e non appunto un prodotto finito. In questo modo l’artista si approssima alla filosofia: la visione libera le forme del mondo dalla necessità della realtà, e prefigura così un mondo diverso da quello esistente. E questo spiega anche, in parte, la presenza costante della figura del Buddha nelle video-sculture di Paik - pensiamo a “Yung Buddha on Duratrans bed”, “Buddha TV” - in cui l’autore ci dice che al culmine della meditazione ZEN “il mondo si da in quanto metafora di se stesso” e sul viso del Buddha compare un lieve sorriso, ma questo vuol essere allora il “sorriso del mondo”. L’illuminazione Zen è lasciar cadere ogni differenza sino a “percepire” la permanenza di un piacere, nonostante, o al di là, di ogni sofferenza.























NAM JUNE PAIK E LA VIDEOARTE
Testo a cura di Lucio Cabutti

La storia della videoarte inizia nel 1965 con i primi video di Paik, musicista, creativo elettronico, regista ed artista. Il video è per lui il mezzo espressivo più rispondente alla rivoluzione culturale libertaria di Fluxus, il movimento di avanguardia multimediale a cui partecipa dopo una formazione estetica avvenuta nell’estremo Oriente e nell’Occidente europeo.
Nell’avanguardia di Fluxus, l’artista coreano non è esclusivamente un videoartista, bensì un artista “ipermediale” che adopera una molteplicità di comportamenti vitali e di tecniche artistiche. Spazia così fluidamente dal corpo dei performers, danzatori compresi, ai personaggi dello spettacolo e dell’avanguardia internazionale, ai più disparati oggetti e strumenti e documenti e percorsi, che assumono forme dinamiche nei video e forme statiche nelle videosculture, nei videoambienti e nelle fotografie.
Paik è il più significativo artista elettronico della seconda metà del Novecento. Questa sua peculiare forma di creatività non punta però sull’elettronica fine a se stessa. Nelle sue opere video la telecamera è adoperata come un potenziatore elettronico dell’organismo umano, come un modo di vivere meglio vedendo e di vedere meglio vivendo. Il suo libero gioco della intelligenza e della immaginazione diventa conoscenza e coscienza. Nei suoi video interagiscono informalmente, strutturandosi però attraverso precisi stilemi, documenti di cronaca, ricerche per un’iconografia tecnologicamente potenziata, testimonianze di lavoro, frammenti di spettacolo, costruzioni virtuali, contestazioni sessantottesche, pratiche zen, documentazioni storiche, echi del radicalismo statunitense, citazioni di yoga, sperimentazioni linguistiche, ritratti dei protagonisti dell’avanguardia di Fluxus, performances, interazioni con la scuola di Locarno del VideoArt Festival, congiunture ludiche, realtà tragiche, memorie ataviche, proiezioni nel futuribile e molti altri aspetti dell’esistenza, dell’arte e della comunicazione mediatica. La sua poetica rappresenta un inno planetario alla vita, che include quindi anche la cognizione della morte, della violenza e della guerra.
I video presenti in mostra esemplificano l’opera e la poetica di Paik a trecentosessanta gradi, e si articolano in due settori rispettivamente dedicati a video di Paik e a video su Paik.
I video di Paik ripropongono le opere dell’artista disponibili nel circuito internazionale fino agli ultimi anni novanta. Ripercorrono integralmente un quarto di secolo della sua videoarte, e sono conservati a Torino nell’archivio dell’Aiam, Accademia Internazionale Arti e Media.
Costituiscono quindi un’esaustiva rassegna dei video di Paik articolata in 18 titoli per una durata complessiva di circa 450 minuti, sette ore e mezza di proiezione continua. Il pubblico dei visitatori della mostra può vederli tutti scegliendoli su uno schermo tattile mediante il sistema Diva (Digital Integrated Video Archive, il videoarchivio digitale integrato progettato e realizzato dall’Aiam stessa).
I video su Paik sono citazioni di altre opere di Paik attraverso riprese e rielaborazioni effettuate da altri. Sono quindi ulteriori letture delle opere e del personaggio attraverso altri percorsi che spaziano dal documento di cronaca d’arte al “critovideo” di critica d’arte e a interazioni espressive e ambientali sempre riferibili a Paik.

In sintonia con il metodo critico e creativo di Paik informano quindi su altre sue memorabili opere, come per esempio Play Mozart’s Requiem, il gigantesco audioambiente con la installazione di 32 auto d’epoca realizzato nel 1997 per la rassegna Skulptur del Westfälisches Landesmuseum di Münster, ora riproposto a Torino attraverso materiale anche inedito.
Non manca inoltre, l’esemplificazione dei rapporti di Paik con il VideoArt Festival di Locarno e con la Scuola di Locarno di video: del 1982 è infatti il Gran Premio Laser d’Oro assegnato a Paik dal 3° VideoArt Festival di Locarno e del 1998 è l’Omaggio a Nam June Paik voluto dal 19° VideoArt Festival di Locarno in collaborazione con il 1° Videoevento dell’Aiam di Torino, e articolato in una rassegna di video di Paik, due videoambienti e una videoinstallazione.




Nam June Paik
Testo a cura di Denis Curti

Interventi, straordinarie presenze, capaci inserimenti - entrare e uscire dagli spazi - in un continuo movimento; dentro e fuori l’immagine; insieme, soggetto e oggetto, opera e autore. Penso all’action, all’azione, come motore e espressione, come materia e prodotto. A lui si deve questa nuova visione dell’essere e dell’artista. Un significato che comprende l’idea di comunicazione, di interazione, di fusione e di flusso. Nomade capace di percorrere strade e storie, di leggere tra passato e presente, di trasformare e di trasformarsi, di unire ingegno tecnico e invenzione artistica. Uomo di conoscenza, sciamano, padrone del metodo scientifico, del sapere informatico e audiovisivo, viaggiatore ed esploratore di mondi: ecco Nam June Paik. Medium egli stesso, dispositivo e ponte fra comunicazione e tecnica, tra agente e interlocutore.

Il suo è un intervento che crea e dispone; irrequieto interprete e incessante sperimentatore di mondi, in lui riconosciamo il consapevole vagabondo alla ricerca del sé e dell’altrove. Allora la mobilità diviene orma, segno di un passaggio nello spazio e nel tempo, di un transito nella realtà delle cose, tra le cose. Nam June Paik cerca, si sposta, ritorna. Entra ed esce dalla scena e dagli eventi. Supera frontiere. Fotografa. Consapevole che l’atto-azione conduce a nuovi luoghi del possibile e a nuovi recinti del visibile, a nuovi episodi e a nuove esperienze. Fotografia come investigazione, in forma di strumento speculativo. Paik se ne serve per destrutturare e ristrutturare realtà e ricomporre scenari, per operare tagli e sezioni, per agire e applicarsi nella contraddizione, sempre mascherato di nuovi stimoli e consapevolezze. Fotografia come dichiarazione. L’atto del vedere, nell’obbiettivo, attraverso l’apparecchio fotografico, è un’occasione cercata e una possibilità creata per raggiungere e ritagliare significati, per aggiungere ulteriori note e tratti alla sua meditazione, per proseguire nel suo attraversamento. Una strategia: accedere a spazi d’esistenza e amplificare sensazioni e sentimenti. La texture, l’immagine, testimonianza inedita, risolve e chiarisce la consapevolezza del suo essere nel mondo.

E’ la funzione dell’arte e il compito dell’artista: percorrere strade e incerti sentieri, cogliere discordanze e dissonanze. Sottolineare differenze, dichiarare identità, aggiungere diversità e recuperare spazi di confronto. Solo in questo modo potremmo farci curiosi indagatori e capaci ricercatori. In noi rimane il desiderio di vedere, di scoprire luci e confini: utilizzare gli strumenti della comunicazione, la moderna tecnologia e il medium più idoneo al contatto, per un ulteriore confronto, per un’ulteriore prova, per attivare diversivi e artifici. Prendere ciò che serve al nostro progetto e compito, senza timori e imbarazzi. La macchina fotografica allora diviene utensile, braccio meccanico, clessidra tecnologica. Con essa si dichiara un impegno, quello di scandire il tempo, di fissare, immagine dopo immagine, il ritmo di un compito trascorso che è anche, e soprattutto, presente. La temporalità guarda all’opera e non all’operazione. L’opera fotografica vive e si alimenta di luce propria, non riflettendo altro se non se stessa. Nello spazio bidimensionale si comprende il tempo estetico, essendo luogo d’esperienza e spazio d’animazione. L’icona fotografica diviene testo narrativo, appendice, figura che in-forma, filo trasparente di un circuito che unisce opera e osservatore, che trasforma i corpi in presenze. Dunque, nessuna mania classificatoria, nessuna esaltazione fotografica del ricordo. Lo scorrere degli eventi non è fermato e assicurato a una superficie, ma è abbracciato, indagato, perforato da continue incursioni e da incessanti desideri di conoscenza.













Nelle fotografie proposte, Paik indica e destina all’opera e al rapporto con la violoncellista Charlotte Moorman il valore di un atto in compimento. Si tratta di 70 immagini fotografiche e di altri documenti che raccolgono, oltre allo sguardo di Paik, anche l’interpretazione visiva di Peter Moore. L’artista coreano, vicino a Joseph Beuys e a John Cage, è l’eclettico regista dell’intera produzione che ripercorre in una panoramica tra gli anni 1964 e 1974 l’intenso rapporto di collaborazione con la Moorman. Nelle immagini dedicate alle performance interpretative e alle esecuzioni della violoncellista americana, in particolare dell’opera ‘Opera Sextronique’, l’artista è raffigurata in occasioni e situazioni varie: sospesa per aria, sdraiata, per strada, nascosta in un lenzuolo, vestita da soldato, celata tra i monitor. Nella primavera del 1967 la giovane Charlotte fu arrestata dalla polizia di New York durante l’esecuzione dell’opera di Nam June Paik ‘Opera Sextronique’: davanti a 200 invitati, l’eclettica artista dell’avanguardia riuscì a suonare due brani prima di essere interrotta dagli agenti con l’accusa di oltraggio alla pubblica decenza. Nell’esecuzione del primo pezzo musicale, la Moorman apparve in bikini decorato con luci elettriche che si accendevano e si spegnevano al suono di determinate note. La scena era scura. Nell’atto successivo, presentatasi in topless, la Moorman suonò il violoncello a luci accese e indossando la sola gonna (Life, 1967; Voice, 1967).

Nello scivolare dello sguardo da un’immagine all’altra, l’impressione è quella di assistere a un continuo e dinamico processo di scambio, di arricchimento e di ridefinizione della dimensione visuale, quasi se, potenziate reciprocamente, le fotografie si condensassero in un’unica tensione e risultanza di prova vissuta, in un unico esito esperienziale che accumula e trasmette conoscenza, informazione, identità. Variazioni. Dilatate presenze dove angolazioni e traiettorie visive amplificano il senso dell’intervento e la dinamica della ricerca e del dialogo; un’indagine visiva che si struttura attraverso la composizione e la partecipazione, che si esalta nell’efficacia esplorativa, nel gesto creativo, nel gioco espansivo, nella complicità espressiva. L’immagine richiama la potenza di un’operazione partecipata e la fotografia ritrova la sua reale consistenza. Non possiamo guardare alla figura di Nam June Paik se non all’interno della sua complessa personalità artistica, del suo impegno che attraversa il canale dell’interdisciplinarietà, che formalizza, in nuove parentele visuali, inedite presenze e consistenze.

Attivare segni, significati e strategie, creare possibili congiunzioni e rimandi, aprire porte e passaggi. Uno spirito libero in grado di affrancarsi da rigidi schemi rappresentativi e da calcolati movimenti interpretativi; una vitalità tesa alla ricerca di una comunicazione estetica che annulla la distanza tra interlocutori e abbatte obsoleti modelli di comportamento per una libera e nuova poetica espressiva. Abile nel raccontare le mille contraddizioni e le infinite gioie della nostra complessa contemporaneità. Reporter, relatore dell’animo umano, capace di abitare il mondo e di dare un volto all’etica della corresponsabilità




















BIOGRAFIA DI NAM JUNE PAIK

Nam June Paik è nato nel 1932 a Seul in Corea, da una famiglia di artigiani. I suoi primi studi si svilupparono in ambito musicale, prendendo lezioni di piano e composizione fino a che a causa della guerra di Corea del 1949 la famiglia non fu costretta prima a trasferirsi a Hong Kong e poi in Giappone.
Si è laureato presso la Tokyo University nel 1956 spostandosi quindi in Germania per approfondire i suoi studi di musica contemporanea.
Nel 1958 incontrò il compositore John Cage che rappresentò il suo mentore (?) influenzando la sua produzione.
Nel periodo tra il 1958 e il 1963 ha lavorato presso gli studi WRD di musica elettronica di Colonia, dove fu collega di Karlhenz Stockhausen.
L’incontro di Paik in Europa con Maciunas (1961) motivò la sua associazione a Fluxus e diede luogo alla sua partecipazione ai movimenti di Fluxus.
E’ del 1963 la prima autonoma performance di paik che ha avuto luogo presso la Galleria Parnass di Wuppertal.
Nel 1964 Paik iniziò una lunga collaborazione con Charlotte Moorman, violoncellista e pioniere della nuova musica.
Nel 1965 Paik acquista una delle prime video camere portatili. Nello stesso giorno Paik presenta il suo primo video e una installazione video, la prima di molte che produrrà, sarà da lì a breve prodotta per la Galleria Bonino di New York.L’affermazione di Paik si consolida con la presentazione del 1974 di una raccolta dei suoi lavori in video presso l’Everson Museum of Art in Syracuse, New York e nel 1976 di una più ampia retrospettiva presso il Kilnischer Kunstverein.
Nel 1982 seguì un’altra importante retrospettiva presso il Whithrey (?) Museum of American Art in New York, che sancì in modo definitivo un importante riconoscimento alla sua attività creativa.
Il 1984 fu salutato da Paik con un programma televisivo realizzato con collegamento internazionale via satellite intitolato Good Morning Mr Orwell.
Il programma che ne seguirà nel 1988, in occasione dei Giochi Olimpici di Seul fu accompagnato da un notevole successo di pubblico e di critica.
Nel 1992 gli fu affidato lo sviluppo del padiglione Coreano nell’Expo Internazionale di Siviglia.
Nel 1993 Paik vince il primo premio per il miglior padiglione alla Biennale d’Arte Internazionale di Venezia nel padiglione tedesco con Hans Haacke e con il loro lavoro intitolato “Electronic super highway (?) from Venezia to Ulan-Bator”.
Nel 1995 Paik crea un’importante installazione a Munster (Germania) ispirata all’architetto barocco Johann Conrad Schaun.



















ELENCO DELLE OPERE IN MOSTRA


Installazioni e laser paintings

C. Moormann, Violino, legno
Nam June Paik, O’clock
Nam June Paik, Untitled, laser photograph, 91,5x119,5x10
Nam June Paik, Buddha TV - 1990, legno, cassaTv/candela, 85x150x75
Nam June Paik, Colosseum, 1990, installazione monitors, case Tv, oggetti in gesso, 420x650x250
Nam June Paik, Robot. Giocatore di baseball,
Nam June Paik e C. Moormann, sagome + 3 televisori,
Nam June Paik e C. Moormann, sagome-sculture di una performance, 150x80
Nam June Paik, Cavallo antico indonesiano con 6 televisori con 6 direttori d'orchestra
Nam June Paik, Young Buddha on Duratrans Bed
Nam June Paik, Sfera. Punto elettronico
Nam June Paik, Robot
Nam June Paik e C. Moorman, opera a 4 mani (violoncello e strumenti musicali), oggetti
Nam June Paik e C. Moorman, opera a 4 mani (violoncello e strumenti musicali), oggetti
Nam June Paik, Omaggio a C. Moorman, laser painting
Nam June Paik, Omaggio a C. Moorman, laser painting
Nam June Paik, litografia
Nam June Paik, litografia
Nam June Paik, litografia
Nam June Paik, disegno
C. Moormann, Bombocello, tecnica mista, 200x76x27
Nam June Paik, Fluxus tre media 1974, cassa di legno, radio, televisione, amplificatore, grammofono, 26x70x36,5
Nam June Paik, Travelling Buddha
C. Moormann, scultura
Nam June Paik, Omaggio a Beuys, Laser painting
Nam June Paik, Buddha + televisore, scultura,
Nam June Paik + C. Moorman, opera a 4 mani
Nam June Paik, Beuy' voice, Laser painting, pittura a olio, oggetti, televisore, 162x196x10
Nam June Paik, Omaggio a John Cage, Laser painting, pittura a olio, oggetti, televisore e radio, 170x270x10
C. Moormann, Cellos' shadow, serigrafia su tela, 150x90x30
Nam June Paik, Sine Titulo, Laser painting
Nam June Paik, David Bowie
Nam June Paik, Fin de siecle man3
Nam June Paik, Installazione con video di Laurie Anderson





Fotografie

Nam June Paik - Moormann, Port-folio 76, 75 fotografie in B/N e colori
C. Moormann - Giuseppe Chiari, Omaggio a C. Moormann, fotografia B/N, 60x42
C. Moormann - Giuseppe Chiari, Omaggio a C. Moormann, fotografia B/N, 60x42
C. Moormann, Fotografie - performance Moormann

Video di Nam June Paik

A Conversation, 1974.
Beatles Electroniques, 1966.
Videotape Study No. 3, 1967.
Electronic Moon No. 2, 1969.
Video Commune, 1970.
Electronic Fables, 1971.
Paik / Abe Video Synthesizer with Charlotte Moorman, 1971.
Electronic Yoga, 1972.
Waiting for Commercials, 1972.
A Tribute to John Cage, 1973.
Global Groove, 1973.
Nam June Paik: Edited for Television, 1975.
Guadalcanal Requiem, 1977.
Merce by Merce by Paik, 1975-78.
Allan’n’Allen’s Complaint, 1982.
Good Morning Mr Orwell, 1984.
Living with the Living Theatre, 1989.
Majorca-fantasia “Matò George Sand a Federico Chopin?”, 1989.


 

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