| I due grandi 
 
 
 Riceviamo e pubblichiamo:
 
 Cristoforo Roncalli detto Il Pomarancio (1552/’53-1626)
 
 Cristoforo Roncalli nacque, intorno al 1552-’53, a Pomarance,
            vicino Volterra da una famiglia bergamasca. Dalla città di origine
            derivò il soprannome di Pomarancio. La sua formazione avvenne in
            Toscana tra Volterra, Firenze e Siena, dove realizzò le sue prime
            opere di un certo rilievo.
 
 Verso l’inizio del 1578, avvenne il suo trasferimento a Roma, dove
            si appoggiò al conterraneo Niccolò Circignani, anch’egli detto
            il Pomarancio, attivo nelle maggiori imprese decorative promosse da
            Gregorio XIII.
 
 Roma fu al centro dei suoi interessi artistici e professionali e qui
            si svolse gran parte della sua attività, con l’unica eccezione
            della lunga parentesi di Loreto (1605-1615), dove decorò la volta
            della Sacrestia Nuova e la cupola della Basilica.
 
 Associato alla cerchia degli Oratoriani di San Filippo Neri alla
            Vallicella, a cui appartenevano gli esponenti delle più importanti
            famiglie dell’aristocrazia romana, conquistò in breve tempo i
            favori della corte pontificia e di Clemente VIII che gli affidò la
            direzione di gran parte dei cantieri avviati per la nuova
            decorazione di San Pietro in occasione del Giubileo del 1600.
            Divenne in breve uno dei dominatori della scena artistica romana
            dove rappresentò, accanto alle più radicali posizioni dei Carracci
            e di Caravaggio, la continuità di una tradizione riformata in senso
            moderno, le esigenze dell’ortodossia, del decoro e della
            chiarezza, con una misura di stile che già i contemporanei intesero
            come del tutto originale e indipendente.
  C. Maccari, "Simboli delle litanie"
 Attraverso lo studio assiduo dei modelli classici del primo
            Cinquecento, Raffaello soprattutto e Michelangelo, e della statuaria
            antica, il Roncalli elaborò uno stile monumentale ed enfatico,
            solenne e clamante che decretò il suo grandissimo successo. Di modi
            affabili e signorili e dotato di notevoli capacità organizzative
            -fu un vero e proprio imprenditore che lavorò con squadre di aiuti,
            tenendo aperti più cantieri contemporaneamente-, guadagnò la stima
            dei più grandi tra i suoi contemporanei -Rubens, Annibale Carracci,
            Caravaggio-, l’amicizia di personaggi eminenti - nel 1606
            accompagnò il marchese Giustiniani in un viaggio in Europa- e
            commissioni di grandissimo prestigio, quali quelle per Loreto.
 
 Verso il 1607 fu nominato Cavaliere di Cristo, ricevendo così il
            più alto riconoscimento conferito dalla Chiesa ad un artista.
 
 Si conservano sue opere a Roma, in San Pietro, in San Giovanni in
            Laterano, all’Aracoeli, ai Santi Nereo e Achilleo, in Santa Maria
            degli Angeli, in Palazzo Mattei, in Santa Maria in Vallicella, in
            San Giacomo in Augusta , in Santa Maria della Scala, in Sant’Andrea
            Della Valle, in San Silvestro in Capite, in San Gregorio al Celio,
            nella Galleria Borghese, ecc.
 
 Sue opere venivano richieste da Napoli, da Genova, dalla duchessa di
            Mantova, per il tramite del Rubens: rimane un carteggio, risalente
            al 1608, tra la duchessa ed il Rubens a proposito della stima data
            dal fiammingo di un’opera del Roncalli “..che è riputato de’
            primi di Roma..” e giudicata troppo alta dalla Duchessa che aveva
            pagato meno un quadro del Caravaggio che, scrive, “..era maggiore
            di questo et di pittore più famoso et tenuto in maggior pregio..”.
 
 Con Roncalli, in San Silvestro in Capite, si diede avvio a Roma alla
            decorazione delle cupole di crociera; l’affidamento a lui della
            decorazione della perduta cupola di Loreto, dove elaborò un
            progetto originalissimo e di grande effetto illusionistico,
            testimonia della competenza che gli era riconosciuta in tale
            difficile genere di pittura.
 
 Rientrato a Roma ormai anziano e in una situazione economica florida
            grazie anche agli enormi cospicui guadagni ricavati dall’impresa
            lauretana, quasi 19.000.000 scudi, rimase comunque attivo fino alla
            fine. Morì nel maggio del 1626, lasciando inevasa una commissione
            della Congregazione della Fabbrica di San Pietro.
 
 Cesare Maccari (Siena 1840 - Roma 1919)
 
 A quindici anni si iscrive all’Istituto di Belle Arti di Siena
            orientando la sua attenzione verso la scultura, e lavorando, dal
            1856, nello studio di Tito Sarrocchi. Successivamente instradato da
            Luigi Mussini nel campo pittorico si aggiudica alcuni premi e
            dipinge, per la prima volta in affresco, i Quattro Evangelisti
            nella Cappella di Quinciano. Dopo avere realizzato opere di
            ispirazione nazarena (Rebecca a cui il servo di Abramo,
            Ezechiello, presenta i gioielli. Siena, Monte dei Paschi) gli
            viene assegnato il pensionato Biringucci.
 
 Visita per studio Perugia, Roma, Firenze (1868) e Venezia dove copia
            le opere dei maggiori esponenti della pittura veneta. Con l’ Episodio
            della vita di Fabiola (1869), Siena collezione Chigi Saracini,
            Maccari risulta fortemente influenzato dall’esperienza veneziana.
            Analogamente intrisa di colorismo veneto appare la decorazione della
            cappella del Sudario (1870-73), nella chiesa nazionale sabauda del
            Ss. Sudario, prima importante committenza pubblica a Roma ove si era
            trasferito dal 1867 (Gloria dei cinque Beati della casa Sabauda,
            Allegoria delle Virtù, San Francesco di Sales con il
            venerabile Ancina innanzi alla chiesa di Carmagnola, e Sant’Anselmo
            al Concilio di Bari). Negli anni successivi al 1872 si dedica
            alla pittura di cavalletto e di genere commerciale inserendosi in
            quell’ambito artistico romano che prediligeva soggetti esotici a
            valenza sentimentale e temi ispirati alla vita romana antica (Arabo
            che fuma la pipa, Un fiore sulla tomba di Raffaello).
 
 Dopo avere presentato all’esposizione di Torino del 1880 La
            Deposizione di Papa Silverio, vince il concorso per la
            decorazione della Sala Gialla di Palazzo Madama (1881-88)
            caratterizzata da “una schietta modernità” (De Sanctis) che si
            determina nella cultura del giovane Stato unitario come dimostrativa
            dell’ “arte italiana” (fra le scene rappresentate si
            ricordano: Appio Claudio cieco condotto in Senato, La partenza di
            Attilio Regolo da Roma, Catilina in Senato).
 
 Maccari dal 1886 al 1889 lavora in Liguria attendendo ad opere di
            soggetto sacro nella chiesa della Consolazione a Genova e nella
            chiesa di Porto Maurizio presso Imperia. Successivamente a Siena è
            impegnato nella decorazione della Sala del Risorgimento nel Palazzo
            Pubblico con Il plebiscito di Roma ed Il trasporto della
            salma di Vittorio Emanuele II al Pantheon (1886-87).
 
 Nel 1888 ottiene la commissione per la decorazione ad affresco della
            cupola e del tamburo della Basilica di Loreto, la cui esecuzione si
            protrarrà fino al 1907, dove sono rappresentati il ciclo della
            Glorificazione della Vergine e delle Litanie Lauretane e la
            sequenza dei quattordici episodi riguardanti il concetto di
            Immacolata nella storia del culto di Maria. Durante l’esecuzione
            dell’impresa lauretana porta a termine un altro ciclo mariano
            nella Cattedrale di Nardò, quello dei Misteri gaudiosi della
            Vergine (1897- 98).
 
 Subito dopo l’episodio di Loreto Maccari si dedica agli affreschi
            sul soffitto e pareti dell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia a
            Roma che affrontano allegorie e temi relativi alla giustizia e alla
            storia del diritto portando il suo linguaggio ad un punto di massima
            maturità. Nel 1909 l’artista è colpito da paralisi e costretto
            all’inattività. Muore a Roma il 7 aprile 1919.
 
 Pittore di grandissima qualità formale e compositiva C.Maccari
            esprimerà al meglio le esigenze illustrative, encomiastiche,
            politiche di una committenza governativa ed ufficiale che richiedeva
            le coordinate formali di un’arte nazionale. In questo senso verrà
            impiegato come pittore eminentemente celebrativo nell’episodio
            forse più eclatante della sua carriera, e cioè il ciclo loretano,
            grande macchina pittorica che costò all’autore uno sforzo
            compositivo di notevole impegno. Le prove grafiche preparatorie,
            bozzetti ad olio, i disegni perfettamente definiti, costituiranno un
            eccezionale lavoro di avvicinamento all’opera finita, e, ancora
            oggi, testimoniano ad evidenza una tessitura organica di raro
            spessore elaborativo.
 
   Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da
        fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui Archivio
        Attualita' |