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L’Arte è un fardello
Barbara Tosi
L’Arte è un fardello
L’arte è un fardello sulle nostre spalle,
però come apprezziamo, noi poeti,
le fuggevoli inezie della vita!
E’ dolce abbandonarsi alla pigrizia
e sentire nelle proprie vene
il melodioso scorrere del sangue,
cogliere dietro una fugace nuvola
un amore che suscita le fiamme,
e immaginare che la vita sorga
in tutto il suo splendore di champagne
nel delicato crepitio ronfante
di uno sfavillante cinema!
E un anno dopo all’estero: stanchezza,
una città non conosciuta, folla,
e sullo schermo nuovamente il volto
d’una francese adorabile!....
Alexsander Blok
Foligno giugno 1909
Prendo in prestito questo importante, ma non drammatico titolo, per
adesione di sentimento, per pertinenza di associazioni, per
arbitrio, per omaggio alla poesia, per la poesia che sempre sottende
ogni opera di artista visivo, per il legame con il cinema che Blok
evoca e che possiede in comune con Mario Schifano ed anche, ma non
solo, perché per tutti coloro che amano, fanno, studiano l’arte
è sicuramente un fardello a volte caro, a volte pesante, altre
lieto e salvifico, altre insopportabile ma sempre e comunque
imprescindibile.
“La poesia”, riprendendo la sintesi che ne fa C.L., “parla
della sensibilità artistica, che si può riscontrare in ognuno di
noi, dei momenti in cui riusciamo a vedere al di là del semplice
guardare, ad immergerci nel profondo delle cose e quindi della vita.”
Chi meglio di un artista non fa altro che questo nel suo lavoro?
Vede al di là dello sguardo, intinge i suoi pennelli nella
profondità di ogni cosa, ovvero nella loro essenza, per
restituircela ad una nuova vista, inedita agli occhi come al cuore.
Lo studio era il luogo, nel quale si consumava ed avveniva l’imprevedibile
e fantastico procedimento di trasformazione delle cose, o meglio
della loro essenza, in opere.
Lo studio di Mario Schifano è stato sempre una sorta di
wunderkammer contemporanea, abitata da pennelli e tecnologia, media
di ogni genere e colori.
Il mondo esterno vi arrivava, con le notizie, le voci, i suoni,
senza peraltro sentirne il chiasso e subirne le stressanti
conseguenze.
Un’invisibile parabola ricevente, ma anche un potente
trasmettitore emittente, vi agivano simultaneamente.
Stare nello studio, anche solo per attraversarlo, generava una
percezione fortissima, ma al tempo stesso imprecisa, di essere nel
centro di qualcosa di netto, quanto inafferrabile, del quale si
coglieva l’aura, ma non il corpo, l’emanazione, ma non l’essenza.
Una straordinaria, quanto contrastata, combinazione di opposti,
dominava la scena. I cui protagonisti erano l’immobilità e il
movimento, principali ruote di un meccanismo vitale, animati in un
continuo spostamento circolare di ingranaggi oleati, atti ad
azionare il motore del pensiero, della creatività.
Era emozionante entrarvi e si faceva con entusiasmo, ma anche con un
qualche timore, poiché non si avvertiva immediatamente la
sensazione di precipitarvi dentro, come di fatto poi accadeva,
attirati come poveri ferri dal potente magnete dell’artista, e
della sua personalità.
Il luogo, come un labirinto, senza inizio e fine, era costituito da
numerosi centri, dai quali scaturiva una potente energia, una volta
che era stato scelto dal maestro.
Non ci sarà mai alcuna possibilità di ricreare quell’humus,
quell’ambiente, quella strana e costante tensione nella quale
anche il non accadere era un evento.
Solo entrando nelle maglie di quella speciale quanto vitale
creatività, solo nel seguire le “tessere” che costituivano il
mosaico: terreno e struttura per la nascita dell’opera, potrebbe
ricostituirsi quel clima irripetibile, anche solo per coglierlo in
un appunto, un disegno, una foto, una frase, un fotogramma ecc...
Ogni opera scelta vive di sé come un’isola, forte di sé stessa,
ma anche del bagaglio, che ha contribuito a formarla.
La mostra che qui proponiamo si prefigge l’esposizione di opera
dopo opera per una selezione di circa trenta di esse, per le quali
sia possibile ricostruirne il contorno nella sua genesi, come se
ancora stessero nello studio, poco prima di esserne congedate,
fresche del colore, vive e palpitanti.
Il progetto di far “giacere” le opere nello studio virtuale è
tanto più arduo in quanto non risponde a verità, perché non è
mai successo nella vita dello studio che le opere vi giacessero né
per poco e tantomeno per lungo tempo.
Forse è proprio per questo che Mario aveva pensato di allestire una
sezione “Dove abitano i miei quadri”.
Per seguire la sorte di quelle sue creature, che, appena compiute,
gli venivano sottratte e partivano per il loro destino, su pareti
sconosciute, in città lontane in luoghi ignoti, che non avrebbe mai
visto e spesso neanche saputo.
Ricostruire la minima storia, in parte segreta, ma soprattutto
misteriosa del percorso creativo è possibile solo opera per opera.
Per entrare in quello spazio compreso tra il pennello e la tela, in
quel percorso rapido, tragitto invisibile a occhio nudo, impalpabile
al tatto, percepibile solo dall’unione della mente con il cuore,
ci vuole molta umiltà, ma anche tanta curiosità e passione per l’arte
e la pittura.
Le opere in mostra sono esposte come “assolo”, vere isole,
ovvero i frutti, i risultati di una complessa elaborazione.
Gli spezzoni di film, i frammenti televisivi, le voci, i suoni e le
musiche, tutti nello studio gravitavano come satelliti intorno all’energia
del pianeta-artista.
I Portali corrispondono ad opere che aprono a tre differenti
percorsi.
Si tratta di una griglia costruita per ordinare al suo interno la
sequenza di opere. In ottemperanza ad un criterio cronologico si
aprono con opere degli anni sessanta, fatto salvo che per Musa
Ausiliaria.
I tre Portali prendono il nome dai titoli dei quadri che a ciascuno
fanno da ingresso Open Sesame del 1961; Splendido astratto
con anima del 1962-63; Musa Ausiliaria del 1996.
Open Sesame è un monocromo, che, nella sottile linea che lo
divide, racchiude, come un forziere, le innumerevoli immagini
destinate a venire.
Sono due pannelli stretti, uniti da quella linea, che mai li farà
separare per aprirsi.
I monocromi degli anni sessanta sono per Schifano uno starter, l’unica
postazione possibile, dalla quale iniziare il proprio percorso, ma
sono anche la reazione creativa all’Informale, infatti
rappresentano il necessario punto zero, quell’imprescindibile
silenzio dal quale all’artista è permesso di prendere le mosse
per il suo viaggio creativo.
Alla luce di questo, il primo quadro giallo del 1960 “Aut-Aut”,
appare emblematico. E’ un segnale di partenza, così come Coca
Cola è un segno di propaganda, Esso è un segno di energia ecc...
La partenza per una vita condotta all’insegna di un ideale
estetico del tutto libero da vincoli morali sembra seguire il
pensiero di Kierkegaard, ma come ha detto Schifano ogni riferimento
culturale sarà verificato in seguito; al contrario, la sua nascita
è spontanea, senza alcun intento culturale o di citazione.
Open Sesame, allora diviene una sorta di simbolo, è il
quadro che annuncia il percorso, ma anche il custode che contiene il
patrimonio interiore dell’artista, il quale ha a disposizione il
tempo della sua vita per far venire alla luce e al mondo tutte le
opere in suo possesso, quelle depositate sul fondo del suo occhio,
quelle che aspettano di affiorare sulla punta dei pennelli.
Parlando di sé e della sua infanzia Schifano dice: “Quand’ero
bambino, invece di trovarmi nell’aula in cui stavo, immaginavo di
essere in piste di automobili, nel deserto o sulle montagne, ero un
bambino abile a simulare tutte le realtà possibili.”
Di queste possibili realtà consta il percorso di Open Sesame.
A questo proposito cosa è più reale di un incidente?
Certamente non è il caso di Incidente del 1963, quadro che
annega in pittura tutto la crudezza del quello che il fatto comporta
nella realtà. Di essa resta dipinta la scritta, che denomina l’evento,
quale possibile suono evocativo, ma, in quanto parola, rimane
astratto, quindi meno efferato.
Dello stesso anno (1963) Tutta propaganda raccoglie i
segni, come la summa di un’ossessione “ i quadri dovevano
contenere elementi che avessero una funzione visiva ben precisa,
evidente come cartelli pubblicitari”
Bisogna arrivare agli anni ottanta per assistere all’esplosione di
una pittura libera e potente, sebbene i temi ricorrenti della
poetica di Schifano, quali la fotografia, il cinema..., siano
presenti sempre e trasversalmente in ognuno dei percorsi
individuati.
Così come avviene nel S.T. del 1982, che raffigura un
Ballerino mutuato dalla sequenza fotografica alla Muybridge, o anche
appare come un’aerea coreografia di un corpo di ballo librato ed
immerso nella scenografia di una pittura brillante e più piena di
energia del passo rappresentato.
Leptis Magna 20.9.34 del 1984 è tra tutti i quadri della
sezione il più emozionante e conserva un carattere privato, se non
intimo.
Nel titolo, come sulla tela, sono riportati il luogo e la data di
nascita dell’artista, in un‘epoca così poco probabile sembra
ascriversi ad uno stile informale dal forte impatto emotivo,
definito sia dalla materia pittorica, impastata con la sabbia, sia
dalle forme che dai gesti, che le hanno prodotte.
E’ un quadro che funge da autoritratto, senza peraltro esserlo,
sembra piuttosto una presa di coscienza
Il 1984 è un anno di grande felicità in pittura In memoria
dello scultore inglese sconosciuto ne è una delle prove
evidenti. Risulta silenzioso l’omaggio poetico per quella sorta di
dolmen esposto al vento, che i colpi di pennello, intinto nel
bianco, raffreddano e rendono solenne. Sullo sfondo tornano solide e
corpose le nuvole di tanti paesaggi degli anni sessanta.
Mentre il vento pettina l’erba del quadro precedente Il suono
del flauto e boschetto sempre del 1984, invece vibra di una
musica potente, che sembra portare con sé ogni foglia d’albero,
ogni nube in lontananza, forte come un evento naturale.
Un altro accadimento naturale, la cui origine non ci è data neanche
di capire, si verifica in Indicazione di giorno del 1988. Con
la luce di una pittura ricca di gesti e segni Schifano scompiglia l’immagine,
regalandoci un punto di fuga ed una prospettiva luminose e mai
viste.
Il potere evocativo di un simbolo (il Cristo) , la potenza terrena
di una fascia e qualche bottone (ciò che appare della figura dell’alto
prelato) ci trascinano dentro Udienza del 1992, che fa parte
di una serie con la quale l’impatto visivo è di rara pregnanza.
Il S.T del 1995 raffigura un Andy Warhol ironicamente
in trono, come un re provvisto di un poderoso paio di ali, che più
che strumenti per il volo appaiono come armi, in situazione di
riposo. E’ un dipinto, ma anche un omaggio all’artista, che,
più di tutti, ha fatto uso e manipolazioni della realtà, così
come dei marchi.
L’ultima opera, in conclusione del percorso è Fibre ottiche
del 1997. E’ questo il quadro che più di ogni altro coniuga ed
esalta tra mezzo espressivo, soggetto e risultato i temi portanti e
sempre presenti nella poetica di Schifano: la pittura, la tecnologia
e l’energia vitale.
Quell’abile bambino che simulava le realtà possibili si è
portato dietro la sua abilità, cresciuta anch’essa con lui.
Sembra che non abbia mai lasciato quell’aula, che non ha mai
vissuto, tanto è rimasto intento a creare altre realtà, altri
luoghi, deserti e montagne, piste di automobili e quant’altro
ancora.
Il Proiettore dipinto è l’oggetto-feticcio, che lo stesso
Schifano avrebbe voluto vedere in quella mostra ipotizzata a
Sabaudia nell’estate del ‘97
Splendido astratto con anima, datato 1962-’63, introduce il
secondo percorso all’interno del quale si evidenzia il
personalissimo modo di guardare, ma soprattutto di rappresentare
dell’artista. Quella sua modalità della visione applicata alla
pittura, che ci ha lasciato i famosi paesaggi anemici, quella natura
scarna e spogliata, quelle nuvole gonfie di materia, che nessuno ha
mai visto dal vero.
Schifano, si sa non ha mai dipinto la realtà, così come ha
dichiarato nel 1978 nel catalogo “Ampio insoluto”: “Quello che
io cerco nella mia pittura è di ridare una strada alla realtà, di
ridare una via alla realtà, fatta di guardare, di essere guardati,
di essere considerato, non c’è mai in me il desiderio di ricreare
la realtà”
In questo percorso si evidenzia il rapporto Arte-Natura, uno dei
tema cardine del fare arte ed anche l’imprescindibile passaggio
per ogni pittore, che si fregi di tale titolo, ma che conduce l’artista
alla consapevolezza di scrivere sulla tela “Io non amo la natura”.
Vedendo Leonardo del 1963 Schifano, certamente non ama la
natura quanto ama l’arte e la poesia. E’ un quadro potente come
un’icona, da cui prende la sacralità e dalla quale si emana una
luce irradiante, che appartiene più ad un astro, che non ad un
volto. Il soggetto nei quadri di Schifano diventa immediatamente
altro da ciò che è, in un qualche modo diviene sempre un altrove
di ciò che è raffigurato.
Orto Botanico 1970 sembra dipinto per smarrircisi dentro, per
entrarvi prima e felicemente perdersi, ma è anche fatto apposta
perché chi vi entra non lasci alcuna traccia, immerso nel fitto di
un quasi monocromo, i cui segni sono le linee di quella veritiera
emulsione fotografica, la cui origine ed appartenenza hanno perso
valore e rilievo.
Fantasia del paziente naturale del 1970 scoppia come una
bomba di colori sulla tela e se nelle deflagrazioni c’è caos,
nella pittura, al contrario, l’ordine ed il rigore, sottolineati
da elementi geometrici, sorvegliano il buon esito dell’armonia di
forme e colori. Il titolo funziona come un’allegoria ermetico ad
ogni possibile interpretazione leggibile solo poeticamente.
11 Paesaggi italiani del 1970-71 sono la nomenclatura di alcuni
delle innumerevoli possibilità di paesaggio italiano.
Gli orizzonti sono bassi come nei paesaggi dei fiamminghi, come
anche nel deserto, in realtà, nei quali il cielo occupa i due terzi
di tutta l’immagine, ma il cielo di Schifano in questi paesaggi
non è aereo, bensì denso di materia pittorica che si spaccia per
nuvole.
Cosa è più lontano da una scultura? La Grande scultura equestre
quadro del 1980, che evoca il cavallo nella sua sagoma dimezzata,
ancora oggi fresca di pittura vivida, quale il rosso nelle sue
colature sul bianco abbagliante e quel verde confinato nella
cornice, complementare e patriottico. Nell’assenza di
tridimensionalità, prima qualità della scultura, la silhouette del
muso, del dorso e della coda si staglia come un corpo e si imprime
nella mente con la dignità e la possenza di un bronzo.
Nel S.T. del 1982, che raffigura un bosco di segni,
pennellate energiche e fitte, si definisce per assenza la sagoma di
una casa, che sembra essere stata ritagliata, per eccesso di
pittura, una sorta di sosta, di lungo respiro, in quella battaglia
di fendenti e affondi a colpo di pennello.
Chissà quante volte si può annegare nei Gigli d’acqua del
1982 mantenendo salva la propria incolumità?
Nessuno dei quadri di Schifano si può definire innocuo e proprio
tantomeno in questa selezione, che più che dimostrare in maniera
asettica da laboratorio, dispiega l’energia e la forza di un poeta
armato di pennelli fino ai denti.
Il S.T. del 1983 raffigura un’onda e fa parte di una
piccola serie in cui i flutti, vero casus pingendi, seguono docili
la mano che li genera, come fosse una corrente.
L’ultima opera del percorso è Per dinosauro del 1997.
Questo quadro è un giocoso doppio omaggio, da una parte ai
dinosauri, che già dalla mostra Divulgare del 1991 avevano fatto un
glorioso ingresso nei soggetti dell’artista, dall’altra alla
vecchia e amata cinepresa (proiettore). Difficile sapere chi guarda
chi, ma anche chi sia arrivato prima, sebbene la storia ci dica a
gran voce che il dinosauro è certamente arrivato prima, e poi
scomparso, ma allora la cinepresa chi riprende?
All’inizio di questo percorso, come alla fine le parole di
Schifano “...ridare una strada alla realtà, ridare una via alla
realtà, fatta di guardare e di essere guardati.......”
La Musa Ausiliaria invita all’ingresso del terzo Portale ed
è l’unico che non sia dei primi anni sessanta come gli altri due,
bensì del 1996.
Questo avviene per due motivi. Il primo per rispetto all’artista,
a Mario sarebbe venuto a noia un rigore cronologico e forse avrebbe
voluto “Io posso” del 1996; il secondo proprio in virtù dell’esemplarità
dell’immagine.
Rapita allo schermo, attraverso tocchi rapidi ed energici trascina
in ambito Schifano ciò che Schifano non è, proprio come nello
studio Tutto diventava Schifano e Schifano diventava Tutto.
Il pennello corre veloce e definisce interamente il quadro su
cavalletto nel suo perimetro-limite; il pittore è sottolineato solo
dal cappello, ovvero la testa, mentre la sua mano è libera; la
modella è un segno pieno sinuoso e sensuale.
Essenziali e mirati i tocchi hanno più forza di innumerevoli
stesure ad olio per centinaia di ore per asciugare.
L’idea di quella Musa Ausiliaria (fotografia, cinema ...) non è
nuova datata al ‘96, poiché, come già detto la Poetica di
Schifano è sempre stata solidamente impiantata sin dagli esordi. La
televisione, i media in genere in virtù della comunicazione seguono
un andamento orizzontale, ovvero parlano un linguaggio di facile
accesso, al contrario dell’arte e della pittura, che seguono
sempre un sistema verticale ed alto di difficile accesso.
Per Schifano far coabitare i due sistemi linguistici, più che una
sfida, è stata una naturale conseguenza della contaminazione
giornaliera che viveva, tra il suo modo di essere e sentire e ciò
che guardava.
A volte mi sono chiesta, ma quale televisione guardava Mario per
rapire immagini che faceva meravigliose, un canale extra-terrestre?
Allo sguardo usuale della maggior parte delle persone la banalità
di quell’elettrodomestico invasivo e chiassoso appare evidente, ma
lo sguardo di Mario, forse era quello veramente extra-terrestre.
Non poteva sfuggire a quello sguardo rapinatore l’evento mediatico
per eccellenza del secondo millennio In diretta dalla luna
1970, quando la luna entrò nei tinelli, nei salotti, nei bar, o
chissà dove, non quella adorabile di Meliés, ma quella vera, che
si accende di sera nel cielo.
Neanche una scrittura che sembra una decorazione, indecifrabile,
passò inosservata nel 1970 tanto da divenire un Paesaggio tv
; altrettanto si può dire del disco perfetto, la consolazione di
qualcosa di inconfutabile e certo come Ora esatta sempre del
1970. Dello stesso anno il poderoso Congresso internazionale
amici di Freud (Perché mi chiami così) combina insieme l’ironia,
la pittura, la fotografia di uno sfondo naturale che, come una
scena, viene allestito a secondo del caso.
I tre quadri con l’identico titolo Ultimo programma1972;
1972;1973 hanno come soggetto una delle ossessioni dell’artista :
l’Eros, l’altra, il Ciclismo sono ricorrenti e ritornano nel
tempo e nelle forme espressive più diverse.
Anche S.T. del 1973 è un riversamento di un fotogramma su
tela colto da un programma televisivo sui maestri del ‘900. Di De
Chirico appaiono alcuni elementi ricorrenti nella sua pittura: quali
il trenino sbuffante di fumo e la statua di marmo bianca. L’effetto
metafisico si moltiplica dato il mezzo di provenienza.
L’imponenza e la bellezza formale di Ex-film del 1975 sono
tali da farne un quadro-icona.
La semplicità essenziale di quell’apparizione di luce nel fitto
del buio è in grado di suscitare in ognuno emozioni diverse, uguali
solo nell’intensità.
Una fitta sequenza di foto ritoccate è Slittamenti del 1993,
convulse e palpitanti come un agglomerato urbano delle dimensioni
abitative di Calcutta brulicano di pittura e di vita.
Tra tutte le icone del nostro tempo S.T. del 1996 che
raffigura la sagoma in ombra di Picasso al lavoro non poteva
mancare, se non per devozione al grande maestro, certamente per il
risultato così inequivocabilmente Schifano.
M.a. 38 M.a. 34 M.a. 46 tutti e tre del 1996
fanno parte di Musa ausiliaria, un lavoro divenuto mostra e così
intitolato da Mario. Scelti in quest’ordine il primo 38 raffigura
una scena tratta da un aula di Tribunale: di spalle due carabinieri
e due uomini che indossano giubetti antiproiettile con la scritta
polizia, la corte e quindi, dipinta sulle gambe di uno degli uomini,
la bilancia della Giustizia. Il 34 raffigura un aereo la cui prua è
spezzata e divisa, sfalsata di piano, più in basso del resto,
chiaramente dipinto per divenire così. Il 46 è una sequenza di
teschi su di un tavolo, ridipinti somigliano a maschere.
Questa scelta è stata effettuata su un numero esorbitante di
immagini, ovvero gran parte, ma non tutta la produzione di Schifano
ed è avvenuta dall’inverno sino all’estate del 2001.
Questa ultima sequenza, quindi, è stata scelta molto prima dell’attentato
alle Twin Towers di New York dopo l’11 settembre non abbiamo osato
cambiarla.
Quello strano effetto dello studio in cui tutto arrivava e dal quale
tutto ripartiva, l’effetto parabola che riceve e trasmette sembra
essere ancora attivo, ma senza spaventare i più fragili tra i
lettori, l’arte non ha altri poteri che far riflettere ed attivare
quel meccanismo del pensiero, come lo chiama De Chirico e che Mario
aveva ad una velocità di giri certamente fuori norma.
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