Segnalazione/Orazio Gentileschi a
Roma
Riceviamo e pubblichiamo:
Orazio Gentileschi nasce a Pisa nel 1563 da Giovanni Battista Lomi,
orefice di origine fiorentina. Forse non più che tredicenne, tra il
1576 e il 1578, giunge a Roma, andando ad abitare in casa di uno
zio, capitano delle guardie di Castel Sant’Angelo, di cui adotta
il cognome Gentileschi.
Poco prima del 1590 Orazio ha già ottenuto un discreto successo
come pittore di affreschi, partecipando ad alcuni dei più
importanti cantieri decorativi romani intrapresi durante i
pontificati di Sisto V e di Clemente VIII. Lavora alla decorazione
della Biblioteca Sistina in Vaticano e della navata della basilica
di Santa Maria Maggiore, esegue una pala d’altare (oggi perduta)
per la basilica di San Paolo fuori le Mura ed ottiene commissioni
per dipingere affreschi nell’abbazia benedettina di Farfa, in San
Giovanni in Laterano, alla Trinità dei Monti e in San Nicola in
Carcere.
In questi anni il suo stile iniziale - che è di chiara matrice
toscana, fondandosi sulla pittura riformata e semplificata dei
fiorentini Santi di Tito e Commodi - si arricchisce grazie al
contatto con i più autorevoli esponenti della Maniera romana: il
modenese Giovanni Guerra, l’orvietano Cesare Nebbia, Giovan
Battista Ricci da Novara, il fiammingo Hendrick van der Broeck, il
Cavalier d’Arpino e Giovanni Baglione. Orazio si adegua alle
tendenze della pittura controriformata favorita dai papi e dalla
corte pontificia, imperniando il proprio stile sulla ricerca dell’eleganza
formale, sul virtuosismo esecutivo - talvolta fine a se stesso -,
sull’eleganza della linea di contorno, con figure stereotipe prive
di naturalezza e composizioni convenzionali.
L’incontro con l’arte di Caravaggio, avvenuto nel 1600,
costituisce l’avvenimento centrale nella vita di Orazio e
determina una svolta radicale nella sua carriera di pittore. L’esposizione
al pubblico delle tele raffiguranti le Storie di San Matteo nella
cappella Contarelli in San Luigi de’ Francesi e il Martirio di
San Pietro e la Conversione di Paolo nella Cappella
Cerasi in Santa Maria del Popolo inducono lui, ormai trentasettenne,
e tutta una generazione di giovani artisti a rivedere i fondamenti
della propria visione artistica.
In questo periodo Orazio si adegua alla pratica artistica di
Caravaggio - di cui diviene amico e compagno di vita - abbandonando
la visione manierista: nei suoi dipinti prende sempre più piede la
rivoluzionaria maniera di raffigurare le scene attraverso i
contrasti chiaroscurali, attraverso l’uso della luce che plasma le
figure e definisce lo spazio e una visione naturalistica aderente
alla realtà. Gentileschi selezionò accuratamente gli stimoli
offerti dalla pittura del grande maestro, prediligendo la luce
chiara e trasparente delle sue prime opere (soprattutto il Riposo
della fuga in Egitto Doria e il San Francesco di Hartford)
ed elaborando una sintesi con la propria componente culturale di
base.
Anche dal punto di vista della metodologia operativa, Orazio inizia
a dipingere dal naturale, utilizzando modelli viventi messi in posa
secondo le esigenze della composizione. Questa pratica si
differenzia dal procedimento consueto in cui il pittore si affidava
ai disegni preparatori e alla propria immaginazione ricorrendo ai
modelli solo di tanto in tanto.
Negli anni successivi alla fuga di Caravaggio da Roma, avvenuta nel
1606, Orazio inizia ad aprirsi anche agli ideali classicisti
propugnati da Annibale Carracci e dalla sua scuola. Ne sono esempi David
e Golia di Dublino (cat. 12) e Giuditta e la fantesca di
Oslo (cat. 13), in cui - pur all’interno di una personale visione
artistica - più evidenti sono i riferimenti ai modelli
"classici" della pittura italiana: l'arte antica e le
opere di Michelangelo e di Raffaello.
A questi anni risale anche la sua collaborazione con Agostino Tassi
- insieme al quale esegue gli affreschi del Casino delle Muse a
Monte Cavallo - conclusasi drammaticamente con lo stupro di
Artemisia.
Solo in tempi recenti le ricerche sull'attività romana dell'artista
hanno permesso di chiarire molti dubbi attributivi, definire meglio
la cronologia delle sue opere e chiarire lo straordinario sviluppo
del suo percorso pittorico. La presente mostra intende proporre,
anche visivamente, il risultato di tali ricerche.
Orazio nelle Marche
A partire dalla metà del primo decennio del secolo, e sempre più
negli anni successivi, Orazio inizia a dipingere opere per
committenti marchigiani, fino a decidere di lasciare Roma e
trasferirsi nelle Marche per un periodo non meglio precisato nel
secondo decennio del secolo. Fin dal Cinquecento la regione aveva
accolto numerosi artisti formatisi a Roma e aveva costituito un
naturale sbocco culturale ed economico per lo Stato pontificio,
grazie all’intraprendenza di committenti privati e di ordini
religiosi quali gli Oratoriani di Fermo, i Gesuiti di Ancona e i
Cappuccini di Tolentino. Artisti come Rubens, Lanfranco, Reni, Spada
e Roncalli avevano trovato in città come Ancona e Fabriano un
florido mercato per la propria produzione pittorica.
Per i committenti marchigiani Orazio dipinge per lo più in pale d’altare
di soggetto ovviamente religioso, in cui si adegua ai dettami
estetici e contenutistici della Controriforma, utilizzando
composizioni semplici, facilmente comprensibili anche agli incolti,
con grande cura nella descrizione dei particolari narrativi,
talvolta recuperando addirittura elementi propri della pittura del
Quattrocento. Un esempio della capacità dell'artista di adeguarsi
ai gusti di tale committenza è la Circoncisione (cat. 7),
dipinta a Roma nel 1605-7 per la chiesa anconetana del Gesù, in cui
l’artificiosa divisione della tela in due registri sovrapposti
costituisce un esplicito recupero della sua formazione di pittore
manierista, in accordo con il gusto locale. L’opera che segna la
conclusione di questa fase del suo sviluppo pittorico è invece la Visione
di Santa Francesca Romana (cat. 30), che costituisce un
capolavoro per la semplicità della composizione e la cura del
dettaglio. Nel 1612-13 Orazio si trasferisce temporaneamente a
Firenze insieme alla figlia.
Orazio a Genova
Orazio giunge a Genova nel 1621, invitato dal nobile genovese
Giovanni Antonio Sauli, committente di numerose sue opere. Genova è
una città ricca e colta, ove giungono artisti da varie parti d’Europa
e convergono molteplici correnti di gusto, favorite da una
aristocrazia amante del bello e dedita alla raccolta di opere d’arte.
Orazio arriva in città un anno dopo che nella chiesa di Sant’Ambrogio
era stata collocata la pala d’altare di Rubens, in cui i Miracoli
di Sant’Ignazio sono raffigurati con un'espressività già
pienamente barocca. Nello stesso periodo conosce la pittura di van
Dyck, la cui attività permise la diffusione delle correnti dell’arte
italiana nel Nord Europa.
Malgrado questi incontri, Orazio non si converte al gusto barocco,
che esalta il pathos e il dinamismo delle composizioni e predilige
la drammaticità delle scene. Piuttosto, la sua arte mostra di
cristallizzarsi in una visone personale - come dimostra l’opera
considerata il suo capolavoro, l’Annunciazione di Torino (cat.
43) -, attenta agli effetti di luce, chiara e cristallina, alla
preziosità delle stoffe, alle acconciature, quasi ossessionata
dalla ricerca d’una minuziosità descrittiva dei dettagli, che
probabilmente gli deriva dallo studio delle opere dei pittori
fiamminghi presenti nelle collezioni genovesi.
È l’inizio di una ulteriore fase stilistica che prelude alla
produzione più tarda, in cui Orazio dismette i panni di pittore
caravaggesco e torna per certi versi alle origini della propria
formazione di colto e raffinato pittore manierista.
Orazio a Parigi
Nel 1624 l’artista lascia Genova per recarsi a Parigi, ove rimane
fino al 1626 al servizio della regina madre Maria de’ Medici,
impegnato nei lavori di decorazione del Palais de Luxembourg. A
testimonianza di questo prestigioso incarico - sul cui affidamento
al Gentileschi dovette influire il fatto che anche Maria de’
Medici era toscana e amava l’arte della sua terra d’origine -
rimane la grande tela con la Felicità Pubblica (cat. 44),
opera che dimostra la posizione di Orazio nei confronti dei grandi
artisti barocchi del tempo,
Rubens in particolare. Piuttosto che competere con costoro in
virtuosismo e capacità immaginative, l'artista si rifugia in una
figuratività monumentale ai limiti dell’artificio, in cui ancor
più risalta il gusto per i dettagli e per una descrittività di
sapore manierista, perfettamente adeguata al gusto delle corte
parigina. Anche nella Diana cacciatrice (cat. 47) - che, pur
realizzata a Londra qualche anno più tardi, era destinata a
soddisfare il gusto francese essendo dipinta per il duca de La
Roche-Guyon - la posa originalissima ed elegantemente forzata della
figura richiama apertamente la tradizione manierista della scuola di
Fontainebleau, fondata dai pittori toscani Rosso, Primaticcio e
Niccolò dell’Abate.
Orazio a Londra
Le opere di Orazio diventano sempre più ricercate ed eleganti mano
a mano che egli sale nella scala sociale. Il culmine di questa
ascesa l’artista lo raggiunge nel 1626, quando il duca di
Buckingham, ministro di Carlo I, lo invita a recarsi a Londra come
pittore di corte. Qui intrattiene relazioni con gli aristocratici
più in vista e diventa a tutti gli effetti il pittore ufficiale al
servizio della regina Henrietta Maria, pur non disdegnando,
probabilmente, di svolgere anche missioni diplomatiche segrete per
conto della corona britannica.
In realtà, a partire dal 1625, ai tempi del soggiorno a Parigi,
Orazio non poteva più considerarsi un pittore caravaggesco poiché,
per adeguare il proprio stile al gusto delle corti, la sua pittura
era divenuta sempre più raffinata e aristocratica, abbandonando il
contatto diretto con la realtà che costituiva il fondamento della
poetica di Caravaggio.
I dipinti inglesi dell’artista mirano piuttosto a soddisfare il
gusto estetico di una corte cosmopolita e sofisticata, sono
luminosi, presentano colori saturi e una finitura levigata, sono
popolati di figure dall’incarnato di porcellana, avvolte in ricchi
drappeggi e stoffe preziose. Nelle opere più raffinate di questo
ultimo periodo - per esempio Lot e le figlie (cat. 46), e Mosé
salvato dalle acque (cat. 48) - si assiste al pieno e completo
fiorire di quell’indole manierista che Orazio aveva conservato
allo stato embrionale durante il corso della sua attività.
L’artista muore a Londra all’età di 76 anni, il 7 febbraio
1639.
Testo a cura di Massimo Pomponi e Giulia Donato
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