Il Rinascimento nomade
Consolato Paolo Latella
Seguita da uno strascico di polemiche, proprio come una stella cometa,
dopo lo scontato successo di pubblico ottenuto a Tokio (500.000
visitatori e 30.000 cataloghi venduti), giunge alle Scuderie Papali
del Quirinale a Roma la mostra “Rinascimento. Capolavori dai Musei
italiani”. Le polemiche sono legate all’opportunità di far
viaggiare tanti capolavori al solo scopo di promuovere la nostra
nazione, ed effettivamente viene in mente un’esposizione simile,
"Italian Exhibition", realizzata a Londra nel 1930 in
pieno regime fascista, per la quale furono imbarcate su una nave
centinaia di opere con il comprensibile rischio di perderle per
sempre.

Per Rinascimento - termine che deriva da Rinascita,
concetto propugnato da Giorgio Vasari nel XVI secolo nelle sue
famosissime Vite degli artisti - si intende generalmente
il periodo in Italia che va dal XV al XVI secolo, in cui la visione
medievale, astratta e metafisica, è sostituita da un approccio
empirico e scientifico, nel quale l’uomo e la natura trovano
relazioni impensabili con i secoli precedenti. Intrecciato al
Rinascimento è il concetto di Umanesimo, inteso come riscoperta e
studio dell’antichità greco-romana. Da tutto ciò nasce la scoperta
dell’esatta costruzione della prospettiva, che sarà per lungo tempo
alla base della rappresentazione artistica.

Il dibattito è sempre aperto tra gli storici, sull’effettiva
cronologia e sul ricco e spesso contrastante fluire del pensiero
rinascimentale, ma si possono indicare tre fasi. Il primo '400, come
momento di riflessione sulla tradizione classica, dove il luogo
principe è Firenze: qui domina la triade
Brunelleschi-Donatello-Masaccio, vale a dire architettura, scultura e
pittura. Nella fase successiva, la seconda meta del '400, l’orizzonte
si amplia e la corte papale a Roma, assieme ad altri centri italiani,
diventa luogo d’incontro di artisti e filosofi e porta a risultati
di altissimo valore, come il ciclo di affreschi della Capella Sistina.
L’ultima fase, che giunge fino alla crisi della riforma protestante
nei primi decenni del '500, vede l’interesse di altri popoli europei
che rielaborano il Rinascimento secondo le proprie articolazioni
locali.

Poco utile fare l’elenco dei maggiori artisti del
Rinascimento, tanto famosi e celebrati. Più interessante è cercare
di capire il perché di questo movimento culturale. Forse la
principale spinta è nell’affermarsi di un potere economico e
finanziario da parte di una borghesia laica, oramai cosciente del
proprio ruolo, che esprime valori diversi, e spesso antagonisti, a
quelli della chiesa.
Una visione serena del Rinascimento, fatta tutta di arte e poesia, è
falsa. Basti pensare alle fortissime tensioni che percorsero l’Italia,
dagli scontri interni a Firenze tra le varie famiglie, alla figura
dirompente di Cesare Borgia detto il Valentino, figlio del Papa
Alessandro VI, terrore di non pochi stati italiani, alle varie guerre
che percorsero l’Italia, fino al sacco di Roma nel 1527 da parte dei
Lanzichenecchi che pose fine agli ideali umanistici. Di questa
situazione l’arte si rese immediatamente conto e le opere di Rosso
Fiorentino, del Pontormo, del Correggio, del Parmigianino e di molti
altri fin dai primi anni del ‘500 ne sono testimonianza,
allontanandosi non poco dalla serena visione rinascimentale.

La mostra “Rinascimento.Capolavori dai Musei
italiani”, voluta dal Ministro Dini e curata dal Soprintendente alla
Toscana Antonio Paolucci, è indirizzata al grande pubblico - secondo
le intenzioni dichiarate dallo stesso curatore - ed è per questo
semplice e didascalica come un manuale. Sono esposte 170 opere tra
dipinti, sculture, miniature e armature. Si parte dal “laboratorio”
fiorentino, dove si rielaborarono le antiche fonti e si giunse ai
primi e fondamentali risultati artistici. Oltre ai già citati
Donatello e Masaccio, sono presenti anche opere di Beato Angelico,
Luca della Robbia e Filippo Lippi, mentre l’affermazione del nuovo
stile è rappresentato da Botticelli, Ghirlandaio e Pollaiolo.

La seconda sezione rende merito al diffondersi del
nuovo stile in quelle altre città - Urbino, Padova e Venezia - che,
recepita la novità, iniziarono a produrre opere di alta qualità
eseguite da artisti come Piero della Francesca, Mantegna e Giovanni
Bellini.
Il Rinascimento maturo è il tema della terza sezione, quando tra Roma
e Firenze operarono Leonardo, Michelangelo e Raffaello.
La mostra si chiude con la sezione “La magnificenza delle corti nel
Cinquecento: il primato italiano delle arti” dove sono sottolineate
le caratteristiche delle diverse scuole nate e sviluppatesi grazie al
mecenatismo dei signori locali.
Non c’è niente di male ad organizzare una mostra didattica, ma in
questa, nata come vetrina di una nazione, anche se non era
obbligatorio dare atto della complessità e articolazione di un
fenomeno che ha avuto letture diverse, si poteva almeno evitare di
offrirne una visione banalizzata: ci riferiamo alla proiezione
toscano-centrica del Rinascimento, propugnata da Giorgio Vasari nel
XVI secolo, qui riproposta quasi acriticamente. E non basta qualche
artista non toscano per rendere più corretto l’impianto
scientifico.
Bisogna ricordare, inoltre, che la didattica è una delle principali
funzioni dei musei, i quali per la mostra sono stati spogliati delle
opere per mesi, lasciando il visitatore e il turista davanti a un mare
di “buchi”.
Ma godiamoci lo stesso questa mega-mostra, che forse sarà l’ultima
nel suo genere viste le insicurezze che si stanno prospettando per il
futuro.
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