Vienna ha accettato la sfida
Nina Fürstenberg
Anche se non raggiunge più le vette dell‘epoca barocca, quando la
corte asburgica di Vienna doveva misurarsi attraverso esibizioni
artistiche di ogni genere con tutte le altri capitali europee, la
competizione non è comunque finita. Di buono c‘è che se allora
alle mostre e ai concerti si alternavano le guerre, oggi si compete
soltanto con l'arte. Negli anni Ottanta l’arrogante metropoli
parigina ci faceva vedere il suo potere con il Centre Pompidou e il
nuovo Louvre, mentre New York sviluppava la sua offerta in direzione
più industriale con il Metropolitan e con il Guggenheim Museum.
Londra ha deciso di sorprenderci soltanto negli anni Novanta con la
Nuova Tate, mentre Berlino si avventurava nella Museumsinsel
(isola dei musei) che gli costa un debito di dimensioni preoccupanti e
Bilbao si affaccia con un altro museo Guggenheim che supera qualsiasi
aspettativa turistica e che fa della capitale basca uno dei luoghi
più visitati d’Europa.
La notizia è che Vienna ha accettato la sfida e si presenta sulla
scena con un centro di arte moderna e contemporanea, di architettura e
danza: il Museumsquartier, operazione di notevole portata. Si
tratta di una fatto che mette in luce, per contrasto, il nulla di
fatto italiano. L’Italia guarda e aspetta e continua a non avere un
vero museo di arte contemporanea. Deve farsi bastare la Biennale di
Venezia.
Con i suoi 60.000 metri quadri il “Museumsquartier Wien"
si colloca tra i più importanti centri culturali del mondo, qualche
statistica dice l’ottavo. Aggiungendo i due vicini musei asburgici,
il Naturhistorische e il Kunsthistorische, nonchè il
piccolo gioiello della “Secessione“, situato non lontano, abbiamo
davvero un intero grande quartiere, risultato eccellente per un paese
relativamente piccolo come l‘Austria. Se Francesco Giuseppe aveva
impiegato 20 anni per la costruzione della raccolta di storia naturale
e per quella dedicata ala storia dell’arte, qui, per inaugurare il
“Museumsquartier” c'è voluto un quarto di secolo. Una
seconda fase di inaugurazioni si terrà nel prossimo settembre, quando
saranno presentate le collezioni.
Nei giorni scorsi l’evento è stato festeggiato con un picnic di
quartiere, con concerti rock, un “party barocco” dedicato al
teatro nell’arte contmporanea e con le videoinstallazioni dell’artista
britannico nero Steve Mc Queen (solo un omonimo del celebre attore
hollywoodiano) che ha elevato il suo grido "I don’t care, I
stop to care”, esattamente l’opposto di quello che piace a una
parte della cultura cattolica e della sinistra italiana, equivalente
provocatorio del fascista “Me ne frego”, ma qui interpretato come
gesto di sfida ai bianchi.
Alla élite politica e industriale viennese, fortezza nel dopoguerra
del leggendario socialismo austriaco fino alla attuale parentesi di
destra (con il partito di Haider nella maggioranza) importa invece
molto di aver realizzato questo ambizioso progetto, che ha superato di
gran lunga la perfomance della conservatrice Salisburgo, che aveva
analoghe ambizioni con un suo progetto Guggenheim, che però non è
stato realizzato.
Dietro la facciata barocca, color albicocca, dell’architetto Fischer
von Erlach, appena restaurata, e dove un tempo si trovavano le stalle
asburgiche dei cavalli lipizzani, ora si alternano, quasi nascosti,
edifici nuovi e antichi. All’interno un cubo bianco e uno nero
ospitano rispettivamente l’arte moderna con la collezione del medico
viennese Rudolf Ludwig (Klimt, Schiele, Kokoschka) e un’altra
collezione, moderna e contemporanea, della Fondazione Ludwig. Un terzo
spazio espositivo in rosso mattone attende le collezioni in arrivo. Il
tutto è firmato dagli architetti Lauris e Manfred Ortner.
Era un progetto ambizioso e difficile, messo per di più sotto
pressione da una campagna contraria del potentissimo tabloid viennese
“Kronenzeitung”. Questo ha costretto i due a molti
compromessi, come nascondere gli edifici più urtanti per la
mentalità conservatrice di una parte del pubblico viennese, dietro la
facciata barocca, quasi un sipario tirato per non ferire gli sguardi
dei più nostalgici. A conti fatti però, la critica considera il
risultato finale un successo.
Perchè? Perchè adesso Vienna potrà giocare una formidabile carta in
più per richiamare ammiratori da ogni parte del mondo: un concentrato
dei suoi punti di forza nella storia dell‘arte, Schiele, Klimt,
Kokoschka e dintorni addensati in questa unica suite di grandi
esposizioni. E da settembre si potrà vedere, finalmente riunita in
un'unica sede, la collezione Ludwig, di arte moderna e contemporanea,
sui quattro piani del nuovo edificio, chiamato MUMOK con importanti
acquisti, effettuati da Lorand Hegyi nel campo della Pop Art, del
Fotorealismo, delle correnti Fluxus, Azionismo Viennese ed Arte
Povera. E poi l‘architettura: da quattro a sei mostre ogni anno per
far conoscere la produzione austriaca nel mondo.
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