Rodin e L'uomo che cammina
Andrea Criscenti
Rodin venne diverse volte in Italia. La prima nel 1875, l’ultima nel
1912. Questa in particolare fu un’occasione molto felice per lo
scultore. Veniva inaugurata l’installazione de L’uomo che
cammina, una delle sue opere più famose, nel cortile di Palazzo
Farnese. L’evento lo emozionò moltissimo, e certo per Rodin era
difficile chiedere qualcosa di più che vedere una sua opera a Roma,
vicina a tanti capolavori, per giunta ospitata in un palazzo disegnato
da Michelangelo, l’artista che più amava.
La statua, come sappiamo, non è più a Palazzo Farnese. Dopo qualche
anno tornò in Francia. Ora è di nuovo a Roma, insieme alle altre
opere della mostra “Rodin e l’Italia”, aperta fino al 9 luglio a
Villa Medici. Cuore della mostra il rapporto tra il maestro francese e
l’arte italiana. Michelangelo su tutti, ma anche Donatello, Ghiberti,
Bernini e suggestioni letterarie, come quel Dante che secondo Rodin
“è non solo un visionario e un poeta e uno scrittore, ma anche uno
scultore”.

I borghesi di Calais
Oltre a circa ottanta sculture, marmi, gessi, bronzi che coprono l’intera
produzione del maestro, l’esposizione presenta una trentina di
disegni, spesso studi sul Rinascimento italiano, marmi antichi della
collezione personale di Rodin, e una quarantina di fotografie.
Immagini delle opere nell’atelier dell’artista, ma anche
commoventi istantanee del vecchio Rodin a Villa Medici e del suo Uomo
che cammina nel cortile di Palazzo Farnese. Evento nell’evento,
il visitatore avrà la possibilità di assistere in diretta al
restauro di uno dei più celebri gruppi bronzei dello scultore: I
Borghesi di Calais. I lavori avverranno all’aperto, nei giardini
della villa.

I borghesi di Calais
Gli esordi di Rodin, nato a Parigi nel 1840, non sono dei più
ortodossi per uno scultore. Per tre volte tentò senza successo di
superare l’esame di ammissione all’Ecole des Beaux-Arts. Una
ripetuta bocciatura che se lo costrinse a darsi da fare in botteghe di
orefici o scalpellini, gli evitò la rigidissima impostazione dell’accademia,
consentendogli un approccio molto libero alla scultura. “Respinto
all’Ecole des Beaux-Arts. Gran fortuna”, avrà modo di riconoscere
lui stesso.

Il Pensatore
Tanta libertà pagata con altrettanta fatica a farsi a farsi
conoscere. Solo a 37 anni, nel 1877, Rodin otterrà la sua prima
affermazione, esponendo al Salon, unico possibile luogo d’incontro
tra artisti non ancora famosi e pubblico, L’età del bronzo.
Una statua tanto pregevole nel modellato da attirarsi l’accusa
infondata di calco dal vivo. Due anni dopo espose, sempre al Salon, il
San Giovanni Battista. Per entrambe le prove Rodin si era
avvalso non di modelli professionisti, ma di persone comuni,
addirittura di un contadino abruzzese per il San Giovanni. In tutti e
due i casi aveva lasciato che camminassero nell’atelier, per trovare
ispirazione dalla spontaneità di un movimento. Nelle due statue c’erano
già le caratteristiche centrali delle creazioni di Rodin: la
dettagliata resa anatomica, il modellato assolutamente naturale e
soprattutto la ricerca di una espressività interna alle sculture che
rendeva del tutto inutile il ricorso al tradizionale apparato
iconografico.

Eva
Il primo viaggio in Italia (1875) non era stato privo di conseguenze.
L’incontro a Firenze con le opere di Michelangelo, in particolare
con le sculture della Sacrestia Nuova di San Lorenzo, fu folgorante.
“Andando in Italia mi sono d’un tratto innamorato del grande
maestro fiorentino e le mie opere hanno certamente risentito di questa
passione”, avrebbe scritto in una lettera.
Le pose di Michelangelo ispireranno diversi lavori di Rodin, alle
volte come veri e propri modelli: Lo schiavo morente per L’età
del bronzo, Giuliano de Medici per Il pensatore. Ma
l’influenza del fiorentino non si limitò solo all’offerta di un
carnet di soluzioni formali e coinvolse la concezione stessa della
scultura.

La Porta dell'Inferno
Nelle esasperate torsioni delle sue figure, Michelangelo aveva
raggiunto il vero scopo della scultura: rendere l’anatomia
espressiva, fare un corpo eloquente di uno stato psicologico.
L’occasione della vita Rodin la ebbe nel 1880, con la commissione di
una porta bronzea per il nuovo Museo delle Arti Decorative. Il tema
che scelse di illustrare lo prese da Dante. La porta avrebbe
rappresentato l’Inferno della Divina Commedia. In realtà, per
quanto ci lavorasse dal 1880 alla morte, la Porta dell’Inferno
non ebbe mai una realizzazione definitiva, rimanendo una sorta di
opera aperta su cui l’artista tornò a più riprese. Gran parte
della produzione di Rodin ha infatti origine in questo progetto. Molte
opere che ebbero poi vita autonoma, come Il pensatore, Eva,
Ugolino, Paolo e Francesca, il celeberrimo Bacio,
nascono come gruppi di quel progetto.
E’ la tensione il cuore di queste opere. I corpi, si veda L’uomo
che cade, Sono bella, o l’Eva tutta avvolta su se
stessa per la vergogna, sono tirati al limite esplosivo dell’equilibrio.
Lavorando in questo senso Rodin portava agli estremi la lezione
michelangiolesca, trasformandola in un lavoro quasi formale cui fine
era la massima essenzialità dell’espressione. Il passo successivo
non fu soltanto quello di liberare la scultura dell’orpello e del
superfluo, ma addirittura quello di cogliere il valore della parte,
del frammento, laddove avesse una carica espressiva saliente. C’è
questo dietro l’attenzione di Rodin per il “non finito” di
Michelangelo e per i reperti di scultura romana che lo avrebbe portato
a realizzare opere menomate, parziali o formalmente non finite. Era
una svolta rivoluzionaria per la scultura che non venne sempre accolta
con favore. Nel 1898 Rodin ricevette la commissione per un monumento a
Balzac, ma l’opera, una testa di potente caratterizzazione su un
corpo massiccio appena accennato, venne rifiutata come non-finita. Lo
scandalo che ne seguì aprì uno dei “casi” più discussi della
storia dell’arte.
Cogliere in un frammento, in un elemento parziale, una forza
espressiva significava inoltre poter riutilizzare parti di opere in
assemblaggi sempre nuovi. E’ quello che Rodin fece per tantissime
sculture. Un esempio assolutamente riuscito di questo procedimento
compositivo è l’Uomo che cammina, risultato dalla fusione
delle gambe del Giovanni Battista con un busto acefalo, senza
braccia ed eroso, che lo scultore aveva nell’atelier. E’ un’opera
essenziale, una pura rappresentazione del movimento, come sottolinea l’anonimo
titolo.
Era il 1907. Qualche anno dopo sarebbero comparsi il Manifesto del
Futurismo, il Nudo che scende le scale di Duchamp e le Forme
uniche della continuità nello spazio di Balla e Boccioni.
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