Velázquez. Il suo terzo viaggio in
Italia
Andrea Criscenti
Velázquez arriva per la terza volta a Roma. Ci era stato in vita, nel
1630 e nel 1649. Ora tocca alle sue opere, ed è probabile che sia
stato proprio quest’ultimo il viaggio più difficile da realizzare.
Già il catalogo di questo pittore, che il suo re-protettore Filippo
IV definiva “flemmatico”, non è dei più ampi. Inoltre la maggior
parte delle opere, proprietà del Prado, è considerata patrimonio
inamovibile. Un motivo più che sufficiente a fare della mostra Velázquez.
Il suo terzo viaggio in Italia, aperta a Roma, Palazzo Ruspoli,
fino al 30 giugno, un evento eccezionale, nonostante la comprensibile
mancanza dei più famosi capolavori: Las Meninas, La resa di
Breda, Venere allo specchio e l’Innocenzo X
conservato alla Galleria Doria Pamphily.

la cucitrice
Roma, quindi, sede della prima grande esposizione di
Velázquez fuori della Spagna. Una scelta non casuale, visto che
proprio attraverso la lezione dei grandi maestri italiani, Velázquez
diventerà il genio tanto ammirato dagli artisti moderni, addirittura
“il pittore dei pittori” secondo Manet. Il rapporto tra “el
pintor del Rey” e l’Italia è tema centrale della mostra, ma non
esclusivo. Le trentacinque opere riescono a raccontare la sua intera
vicenda artistica, dagli inizi sivigliani alla definitiva
consacrazione.

Venere allo specchio
Nato a Siviglia nel 1599, Velázquez inizia nella
bottega di Francesco Pacheco. Le sue prime opere sono sotto il segno
del caravaggismo, di quel caravaggismo fortemente “popolare”
tipico del vicereame napoletano. Immagini di vita domestica,
arricchite da pregevoli nature morte, note come “bodegones” (da
“bodegon”, osteria), di cui è ottimo esempio in mostra Il
pranzo. E’ una pittura di “genere” proveniente dalle
Fiandre, cui la Spagna era legata per via dinastica dai tempi di Carlo
V, ma che Velázquez tratta nelle figure con quel realismo intenso e
penetrante tipico della sua pittura e grande qualità dei suoi
ritratti.

l'infanta Margherita
Nel 1623 Velázquez si trasferisce a Madrid. A
spalancargli le porte della corte fu il Conte Duca de Olivares,
sivigliano come il pittore e onnipotente consigliere del re Filippo IV.
Velázquez lo ritrae nel 1624, con un taglio dal basso che ne
monumentalizza la figura. Lo rappresenta impettito e fiero delle
onorificenze del suo potere (chiave di Cameriere Maggiore, speroni,
insegna dell’Ordine di Calatrava). E’ proprio come ritrattista che
il pittore si guadagna fama a corte, garantendosi un legame personale
con Filippo IV, ma anche l’invidiosa rivalità dei colleghi. I
ritratti che è chiamato a dipingere sono quadri ufficiali, del re e
della famiglia. Tuttavia, malgrado la convenzionalità della funzione
e l’atmosfera austera che si respirava nei palazzi reali, Velázquez
riesce a fare dei suoi ritratti un diario realista della corte, del
tutto privo di toni adulatori o retorici.

autoritratto
Nel 1628 arriva a Madrid Pietro Paolo Rubens. Sarà
proprio Velázquez a fargli da guida nelle collezioni reali, e non è
difficile pensare che le conversazioni tra i due abbiano dato
ulteriori buone ragioni al suo desiderio di vedere da vicino i grandi
maestri dell’arte italiana, che il fiammingo conosceva molto bene. L’anno
dopo Velázquez è a Venezia. L’incontro con le grandi opere di
Tiziano e Tintoretto, di Paolo Veronese, poi, a Cento, del Guercino,
lasceranno un impronta decisiva su Velázquez. La sua tavolozza si
arricchisce, alle gamme brune del caravaggismo subentra la ricchezza
tonale dei veneti, quelle variazioni di rosso che germoglieranno a
perfezione nel ritratto di Innocenzo X, “fato col vero colpo
venezian”, come commenterà un biografo di artisti veneto. La
pennellata si fa dinamica e aperta e la sua pittura nel complesso
diventa più liquida e sciolta, “un impasto netto eppure ricco di
sfumature”, come la descrive Delacroix. La luce diviene morbida,
quasi erosa, come nell’Autoritratto di Valencia visibile in
mostra, di chiara ispirazione tizianesca.

Marte
Dopo Venezia, Velázquez è a Roma. Soggiorna nella
fresca Villa Medici, della quale dipinge una stupefacente veduta. Non
la monumentale facciata con scenografica vista su Roma, ma un angolo
appartato e intimo è il soggetto scelto dal pittore. Lo dipinge con
una tecnica rapida, dove è la luce a giocare il ruolo centrale, tanto
particolare da far parlare di pre-impressionismo. Il quadro fu
effettivamente tra i primi esempi di pittura en plein air ed è
probabile che Velázquez lo dipingesse per sé, come una sorta di
cartolina, dolce e privato ricordo di quel piacevole anno passato a
Roma, e di quel luogo dove aveva passato tante giornate a studiare la
lezione dei marmi antichi.
Per un pittore Roma era innanzitutto l’esempio della scultura
greco-romana e dei grandi maestri del classicismo, Michelangelo,
Raffaelo e le loro varie declinazioni successive. Un esempio che
Velázquez avrebbe fatto del tutto suo nel Marte, che l’esposizione
propone in un emozionante accostamento con l’Ares Ludovisi
cui è palesemente ispirato. Ma anche in quest’opera, che manifesta
un senso assoluto e quasi michelangiolesco dell’anatomia, Velázquez
non rinuncia al suo vizio realistico, svuotando di ogni enfasi il tema
mitologico. C’è qualcosa di molto umano nello sguardo tra lo stanco
e l’ambiguo di questo dio della guerra, per giunta baffuto come d’uso
tra i militari spagnoli.
Al ritorno a Madrid, Velázquez è un pittore che non ha più nulla da
imparare. Verranno gli anni dei grandi capolavori, quadri importanti
come Las Meninas, La resa di Breda, i tanti ritratti della
famiglia reale e delle infante. Ma anche ritratti di un’umanità
minore, i nani, i buffoni, gli idioti, che accompagnavano la corte e
che Velázquez, come nel Buffone Calabazas, dipinge con il
consueto realismo piuttosto che rappresentarli come curiose
stravaganze cortigiane.
Tornerà ancora in Italia, nel 1649. Questa volta in missione non per
apprendere dai quadri italiani, ma per comprarli per le collezioni
reali. E a Roma questa volta ci resta un anno in più di quanto
stabilito con il re. A trattenerlo non saranno motivi artistici, ma
una donna da cui avrebbe avuto un figlio e che ritrarrà nella
splendida Venere allo specchio.
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