I nudi di Man Ray
Andrea Criscenti
Le sue immagini in banco-nero sono tra le più famose del secolo, il
suo stile tra i più caratterizzati e riconoscibili, le sue
sperimentazioni tra le più radicali. Insomma, Man Ray è uno dei
grandi maestri della fotografia. Eppure il suo modo di essere
fotografo, di vivere la fotografia è del tutto anomalo. Non
assomiglia a nessuno dei suoi colleghi. Ed è quasi impossibile
trovare nelle sue opere influenze di altri fotografi. E’
praticamente indifferente alla storia della fotografia, a quello che
con la macchina fotografica fosse stato fatto fino a lui e sarebbe
stato fatto dopo. In fondo è molto difficile, e può sembrare
riduttivo dire che Man Ray sia stato veramente un fotografo. Eppure il
meglio della sua produzione, che include quadri, disegni, film,
sculture, sono proprio le fotografie.

Dalla serie "La mode au Congo", 1937
La piccola preziosa mostra Man Ray in quarta
persona, aperta fino al 15 maggio alla Galleria Il Segno di
Roma ci propone un estratto del suo lavoro: 55 immagini degli anni ‘30,
per lo più ritratti o nudi, tutte al femminile.
Un soggetto quindi, ritratti e nudi, tra i più classici nella storia
non solo della fotografia ma dell’arte in generale. Ma quanto poco
accademici, classici e tranquillizzanti sono i ritratti e i nudi di
Man Ray.
In primo luogo perché, come tutte le sue immagini, negano quello che
dovrebbe essere il carattere primario della fotografia: il rapporto
con la realtà, la riproduzione del visibile. “Ho avuto sempre la
tentazione di deformare o modificare l’immagine in modo tale da far
sparire ogni proposito di ricercarvi una somiglianza”, scriverà
nella sua autobiografia.

Dalla serie "La mode au Congo,
1937
Nei suoi ritratti i soggetti sono sempre fuori
contesto, manipolati e modificati all’interno dell’immagine. Non
hanno altra realtà che quella dell’immagine. A questo fine Man Ray,
in questo vero esploratore delle possibilità della fotografia, lavora
con tutte le tecniche che la giovane arte gli offre. Restringendo in
maniera ossessiva l’inquadratura al volto, che acquista così una
presenza incombente, come nella serie The fifty faces of Juliet,
una serie di ritratti della bella moglie. Attraverso la composizione,
creando particolari tagli e diagonali che danno al corpo femminile la
consistenza di una sinuosa suggestione, di un turbamento, piuttosto
che di una presenza fisica. Oppure attraverso la luce, lasciando
galleggiare visi e corpi delle modelle, estraniati, in un buio di
contorno o in un neutro sfondo bianco.

Dalla serie "La mode au
Congo", 1937
Lavorando sul soggetto, sulla creazione
scenografica, come nella serie in mostra La mode au Congo,
realizzata per la rivista di moda Vogue, le cui foto sono
animate da un ironico contrasto tra gli strani cappellini esotici e le
pose assorte ed eleganti delle modelle. O giocando con l’onirica
ambiguità tra manichini e visi umani. Infine manipolando i processi
tecnici che rendono possibile una fotografia: dalle solarizzazioni all’estremo
dei rayographs, immagini ottenute mettendo l’oggetto a
diretto contatto della carta sensibile, saltando il medium ottico
della macchina.
Il risultato è una bellezza artificiale, la creazione di una presenza
artificiale che inquieta perché mette davanti agli occhi un doppio
che evoca, ma non assomiglia più alla sua matrice, “come le ceneri
intatte di un oggetto divorato dalle fiamme”, dirà lo stesso Man
Ray. E infatti i suoi soggetti, siano visi, corpi, manichini, o la
semplice traccia luminosa di un oggetto come i rayographs, non
hanno mai un contesto che permetta di riguadagnarli a una situazione
reale. Le sue figure sono aspre e dure nei contorni, quasi incise. E
lo sono ancora di più nelle immagini solarizzate, rese ancora meno
fisiche dalla luce innaturale ed evanescente che nega volumi e
consistenza.

Kiki de Montparnasse, 1924 ca
C’è molto dell’arte d’avanguardia europea in
tutto questo. Nato a Philadelphia nel 1890, Emmanuel Radensky, questo
il suo vero nome, si trasferisce a New York nel 1913. E’ qui che
comincia a formarsi e a prendere posizione nel panorama dell’arte
contemporanea. Primo tra gli americani ad aderirvi, nel 1917 fonda la
sezione newyorchese del movimento Dada. Ma la grande metropoli
americana rimaneva comunque una periferia; il vero centro dei suoi
interessi era in Europa, nella città da cui partivano tutte le nuove
idee sull’arte: Parigi. E Parigi sarà per Man Ray una scelta.
Costretto ad abbandonarla nel 1940, in seguito all’occupazione
nazista della Francia, ci tornerà definitivamente nel 1951.
La Parigi di Man Ray è ovviamente quella del surrealismo, di Marcel
Duchamp, di André Breton, di Paul Eluard, di cui ritrae infinite
volte la moglie Nusch. E le sue foto trasudano atmosfere surreali. Ma
è anche la Parigi di Giorgio De Chirico. Non solo per i manichini,
tanto amati dalla pittura metafisica, ma anche nella evocazione e nel
ripensamento delle figure classiche. Si pensi al celebre Le violon
d’Ingres, un vero remake del grande pittore francese, ma anche
ai tanti nudi in pose da statua greca.

Juliet, dalla serie Fifty faces of Juliet, 1945
In un gran numero di ritratti, l’inquadratura è
tagliata come un busto, e in alcuni casi Man Ray arriva, con l’artificio
della luce, a menomare le braccia della modella, come un vero marmo
antico. Un dialogo con la tradizione molto lontano dal rifiuto totale dada.
“Mi ero mangiato con gli occhi le riproduzioni di statue greche e di
nudi d’Ingres” avrà modo di ammettere.
Il gioco è sempre quello dell’ambiguità tra realtà e artificio.
Un ritratto che si fa statua, un viso che sfuma nel corpo di un
manichino, una figura solarizzata che sembra un altorilievo.
Un gioco in cui la forza della fotografia non è quella di documentare
la realtà, ma quella di far vedere cose che non si vedono, agitare
dei pensieri, creare. “Il fotografo non si limita solo a svolgere il
ruolo di copista. Egli è un meraviglioso esploratore degli aspetti
che la nostra retina non registra mai”. E così dirà delle sue
immagini: “Sono il risultato di curiosità, ispirazione, parole che
non pretendono di trasmettere alcuna informazione”.
Gli scatti di Man Ray sono stati celebrati con importanti esposizioni
in tutto il mondo, facendo di questo fotografo anomalo il primo
artista riconosciuto tale per quanto ha fatto con la macchina
fotografica.
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