Segnalazione/Instant city
Instant City è il titolo della mostra dedicata all’opera di
grandi fotografi internazionali che si apre sabato 24 febbraio 2001 al
Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato, prodotta dalla
Direzione artistica del Centro, il cui Guest Curator è Filippo
Maggia.
Già presente nell’imponente personale dedicata al maestro
giapponese Nobuyoshi Araki, la metropoli e le sue realtà sono ora gli
unici protagonisti nei lavori degli artisti invitati. La metropoli
intesa come insieme di architetture, come organismo mutante nelle sue
forme, destinate a divenire simboli e metafore di culture ed economie
fra loro distanti, ma anche sempre più luogo ove le persone s’incrociano,
quasi arrivano a scontrarsi, riconoscendosi, oppure perdendosi,
certamente interrogandosi sulla qualità del loro rapporto con lo
spazio e con gli altri che, spesso, sembrano solo transitare.

Il percorso espositivo presenta una serie inedita di grandi opere
realizzate in continenti diversi e, a seguire, fotografie in medio e
piccolo formato eseguite in Cina dall’artista tedesco Thomas Struth,
immagini di due mondi che sembrano confrontarsi o forse solo
allinearsi. Le fotografie in bianco e nero dedicate alle città di
Beirut e Palermo da Gabriele Basilico, con il consueto rigore che
contraddistingue il suo lavoro, restituiscono dignità e maestosità
alla città mediorientale stravolta dalla guerra e ordinano
meticolosamente l’immagine di Palermo, riuscendo a far percepire
nelle luci e nei toni la vicinanza culturale che idealmente accomuna
le due città.
Altra e ben diversa sensazione trasmettono le algide e asettiche
fotografie di Keizo Kitajima, in cui i palazzi delle grandi metropoli
giapponesi dialogano fra loro, in un clima dominato da un irreale
colore azzurro, etereo; assente la gente, sono comunque squarci non
casuali di città vive e sicure di sé, dominanti, veri simulacri del
potere economico.
La gente, le singole persone nella loro individualità sono
necessarie, invece, alle immagini di Philip Lorca Dicorcia; il loro
“stare” nella città è il vero oggetto della ricerca del
fotografo americano, il loro incessante intrecciarsi, il loro
comunicare anche solo con un gesto, con un movimento che le rende
uniche: la strada è l’unico teatro in cui potrebbero avverarsi
queste minime e infinite storie.
Nei lavori dell’artista irlandese Hannah Starkey il rapporto fra le
persone diviene ancora più intimo, più riflessivo e privato, pur
consumandosi in spazi pubblici; sullo sfondo di normali pub, nei
negozi o sui mezzi pubblici gli sguardi s’incrociano, restando poi
sospesi, stanchi, persi in sé stessi.
Altro ritmo anima le immagini del fotografo indiano Raghubir Singh,
ove il colore domina la scena e trasforma le metropoli asiatiche in un
luogo di cui è possibile sentire i suoni e gli odori; la
comunicazione fra gli uomini è caotica, frenetica, scivola sui corpi
delle città e sulle loro millenarie architetture sacre, adagiate e
immobili nell’osservare il tempo che passa e gli uomini che corrono,
instancabilmente. Frenetica è la vita che viene ritratta da Henry
Bond, attraverso piccoli frammenti disordinati di scorribande urbane,
di bianchi e neri e colori che il fotografo londinese compone in una
sorta di diario senza un vero inizio né fine; la città entra e esce
continuamente nelle sue fotografie, appartiene “naturalmente” alle
persone che appaiono e scompaiono, alle volte lasciando su di essa
solo tracce del loro passaggio.
La città come sfondo di ben altre avventure è quella che, al
crepuscolo, ci racconta Boris Michailov. Un luogo del passato dove le
persone vanno rarefacendosi, sfumano, come le loro paure e le loro
angosce, nel viraggio bluastro acido che avvolge senza speranza ogni
panorama urbano; è una città che appartiene alla memoria dell’artista
ucraino, ai suoi ricordi e alla Storia.
Nel presente, invece, vivono e si affermano le donne della ceca Jitka
Hanzlovà, nelle cui immagini la città giace dietro le figure
femminili riprese così come vengono trovate per strada; nei suoi
piccoli ritratti l’ambiente urbano, le architetture, sembrano quasi
scomparire, ritornare sotto il dominio dell’uomo e un nuovo,
spontaneo e immediato rapporto sembra prevalere, in perfetto e
delicato equilibrio, in ogni parte del mondo ove esso si manifesti.
Completano il progetto espositivo due progetti speciali realizzati per
la grande sala sotto all’anfiteatro da Luca Andreoni, Antonio
Fortugno e Francesco Jodice, considerati fra i massimi rappresentanti
delle ultime generazioni di artisti italiani, a cui il museo pratese
continua a dedicare con interesse la propria attenzione.
La mostra sarà infine l’occasione per presentare in anteprima il
video ”ARAKI IN ITALY”, realizzato dall’artista giapponese in
occasione della sua permanenza in Italia - a Prato, Firenze, Roma e
Napoli - durante lo scorso mese di aprile 2000.
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