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          Divina Commedia secondo Botticelli 
 
 
 Andrea Criscenti
 
 
 
 
 
 
 Arrivano a Roma per la prima volta e tutte insieme. Sono le 92
          pergamene vergate in punta d’argento da Sandro Botticelli ad
          illustrazione della Divina Commedia, realizzate su commissione di
          Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino del Magnifico. Saranno
          esposte alle Scuderie Papali al Quirinale dal 20 settembre al 3
          dicembre nella mostra “Sandro Botticelli illustratore della Divina
          Commedia”.
 
 E’ un’occasione eccezionale e irripetibile. Non solo perché
          questi disegni sono solitamente accessibili soltanto agli studiosi, ma
          soprattutto perché è la prima volta che il corpus è visibile
          al completo. Attualmente infatti i disegni botticelliani sono
          conservati in due differenti archivi: nella Biblioteca Apostolica
          Vaticana (otto), e nel Kupferstichkabinet di Berlino (ottantaquattro),
          dove peraltro sono stati riuniti solo dopo la caduta del Muro; mentre
          prima erano ulteriormente divisi tra la parte Est e quella Ovest della
          attuale capitale tedesca.
 Novanta dei novantadue disegni arrivati fino a noi illustrano un
          episodio di un singolo canto; gli altri due sono una visione d’insieme
          del Cratere dell’Inferno e una raffigurazione di Lucifero.
 
 La mostra ha il merito di presentare le pergamene accanto ad una
          completa veduta d’insieme dell’ambiente in cui esse vennero alla
          luce, quella eccezionale stagione culturale che fu la Firenze
          Laurenziana.
 Davanti agli occhi dei visitatori sfilano tutti i protagonisti di quel
          mondo, a cominciare dal volto corrucciato di colui che ne fu il centro
          propulsore, Lorenzo il Magnifico. Quindi gli umanisti, da Marsilio
          Ficino, a Cristoforo Landino, da Pico della Mirandola, al Poliziano, e
          i loro testi, giunti sino a noi in incunaboli, codici miniati,
          manoscritti e rare, preziosissime stampe, anch’essi in esposizione.
          Ci sono le opere dei grandi maestri fiorentini che accompagnarono l’attività
          di Botticelli: i Pollaiolo, Filippo e Filippino Lippi, il Verrocchio,
          Leonardo, Michelangelo, Piero di Cosimo. E poi i mecenati per i quali
          questi artisti lavorarono, il Magnifico e suo cugino, quel Lorenzo di
          Pierfrancesco de’ Medici che fu committente di molte opere di
          Botticelli, tra cui i disegni per la Commedia.
 
 Questo fu l’ambiente in cui tornò a fiorire la tradizione dantesca,
          un ritorno di cui l’impresa di Botticelli fu tra gli episodi più
          importanti. Ma tornò a fiorire con valori e suggestioni del tutto
          nuovi, e fortemente influenzati dal neoplatonismo, fenomeno culturale
          fondamentale per l’umanesimo fiorentino. Così, a partire dall’ultimo
          ventennio del Quattrocento, nella lettura che se ne dava, Dante smise
          i panni del combattente di Campaldino e del fiero difensore della sua
          libertà per indossare quelli del “poeta filosofo e teologo” e la
          sua Commedia divenne un “sacro poema” frutto di illuminazione
          divina.
 
 D'altronde non era difficile leggere nel viaggio ultramondano di Dante
          dall’inferno al paradiso una grande illustrazione poetica della
          teoria neoplatonica di Marsilio Ficino secondo cui l’anima umana,
          per via di conoscenza e amore, poteva risalire dalle cose terrene alla
          pura contemplazione di Dio e della sua infinità. E cos’era l’ “Amor
          che move il sole e l’altre stelle” di cui parlava Dante se non
          appunto quel principio infinito e presente in tutto l’universo
          predicato dalla teologia platonica? Letto in questo modo, Dante poteva
          offrire diverse suggestioni a Botticelli, di certo ben introdotto ai
          misteri neoplatonici, come attestano le complicate letture delle sue
          opere più famose, in primo luogo le celebri La Primavera e La
          nascita di Venere, non a caso dipinte per lo stesso committente
          delle pergamene dantesche.
 
 Nella rinascita neoplatonica non mancavano anche precisi contenuti
          ideologici. Il neoplatonismo si configurava infatti come un generale
          rinnovamento culturale, spirituale e religioso di cui Firenze si
          poneva alla guida. Vederne in Dante un precursore significava
          innalzarlo a padre e primo glorioso indizio di quella Firenze Novella
          Atene che si sarebbe realizzata due secoli dopo, sotto e grazie
          alla dinastia medicea e al suo Magnifico principe in particolare.
 Così carico di valenze il poema dantesco doveva per forza avere una
          celebrazione importante. A questa esigenza rispose l’edizione del
          1481, corredata dal commento di uno dei maggiori umanisti, Cristoforo
          Landino, e illustrata da un artista del calibro di Botticelli.
 
 Ma se questo è lo sfondo su cui nascono le illustrazioni della
          Commedia, non meno significativo è il momento, nel percorso personale
          e artistico del pittore, in cui Botticelli venne a contatto con Dante.
 La collocazione cronologica dei disegni in mostra è molto
          controversa. Secondo gli studi più importanti farebbero parte di un
          gruppo diverso da quello da cui furono tirate le incisioni per l’edizione
          dell’81. E’ probabile che Botticelli vi lavorasse per molto tempo
          e che la loro realizzazione si inoltri negli anni ’90 del
          Quattrocento. L’ipotesi sembra suffragata da quanto dice Vasari: “Comentò
          una parte di Dante, e figurò lo Inferno e lo mise in stampa; dietro
          il quale consumò di molto tempo: per il che fu ragione d’infiniti
          disordini alla vita sua”.
 
 Ma la ragione più profonda che fa pensare questi disegni appartenenti
          ad un periodo, se non tardo, adulto è una ragione stilistica. Ad un
          certo punto infatti, e proprio negli anni ’80, qualcosa inizia a
          cambiare nella pittura di Botticelli. Qualcosa inizia a perturbare la
          soave grazia del suo universo estetico, così perfettamente espressa
          nei due più celebri capolavori: La nascita di Venere e La
          Primavera. La sua pittura si carica di una tensione drammatica che
          finirà per esplodere nelle ultime opere, La Crocifissione Mistica
          e La Natività Mistica, tutte permeate da un’atmosfera
          austera, grave e rigorosa su cui ebbe certo influenza la predicazione
          di Girolamo Savonarola.
 
 Quando Botticelli viene a confrontarsi con Dante il suo stile è
          quindi in un periodo di trasformazione. Molti disegni ci parlano
          ancora con un linguaggio elegante, a volte leggero. Le figure dei
          dannati, ad esempio, anche nelle più crudeli distorsioni,
          deformazioni, menomazioni, restano improntate a quell’ideale di
          bellezza per cui è tanto famoso. E nella sua leggerezza angelica la
          raffigurazione di Beatrice può ricordare una Venere o una Primavera.
          Ma in altri disegni la splendida linearità del tratto di Botticelli
          tende all’essenzialità, a quel crescendo emotivo astrattizzante che
          sarà la cifra della sua tarda produzione.
 
 Il dialogo tra Botticelli e Dante fu qualcosa di più di una semplice
          occasione di incontro tra un maestro della figurazione e un maestro
          della poesia. E certo la Commedia non poteva rappresentare agli
          occhi del pittore un qualsiasi testo da illustrare. Il contatto con la
          drammaticità dantesca avrebbe al contrario dischiuso a Botticelli
          strade ulteriori rispetto a quelle fino allora percorse, quelle degli
          abissi insondabili dell’animo umano. Su questa strada già aperta si
          inseriranno i temi cupi della predicazione di Savonarola che avrebbero
          portato la pittura di Botticelli agli accenti tesi e drammatici della
          sua tarda produzione, a quei quadri visionari e sofferti non lontani
          dalla terribilità delle immagini dantesche, che il pittore aveva
          avuto modo di conoscere molto bene.
 
 
 
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