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Kompliment, Konvent! Merci Monsieur Giscard et copains!



Daniele Castellani Perelli




Berlino. Valery Giscard d'Estaing non ha mai avuto in grande simpatia né l'istituzione della Commissione europea né il suo attuale presidente Romano Prodi. Deputato europeo dal 1989 al 1993, a lungo membro del Consiglio, l'aristocratico presidente della Convenzione aveva inizialmente preferito il dialogo con gli "intergovernativi" piuttosto che con i "federalisti", quanti cioè spingono per una più decisa integrazione e sono quindi a favore di un rafforzamento della Commissione.

La bozza presentata il 26 maggio scorso da VGE (come lo chiamano i giornali francesi) aveva praticamente scontentato tutti, tanto che lo stesso vicepresidente della Convenzione Giuliano Amato aveva espresso "un forte margine di insoddisfazione", mentre i "federalisti" avevano vivacemente criticato quello che secondo Romano Prodi era un progetto "deludente" e senza ambizione, che rischiava di "paralizzare l'Europa". La rivista tedesca Der Spiegel si faceva interprete di questa delusione, titolando "Nazioni forti, debole Europa" e riportando i commenti negativi anche dei conservatori della Cdu. Le Monde, rappresentando una certa ambiguità della Francia, da un lato prendeva un po' di mira uno dei più accesi "intergovernativi" all'interno del "Presidium" della Convenzione, lo spagnolo Alfonso Dastis, e dava inoltre voce ai "federalisti", come il commissario francese Barnier che dichiarava di vedere una contesa tra "chi vuole che l'Europa abbia delle ambizioni politiche, e chi no"; dall'altra parte, però, il quotidiano parigino portava, a difesa del connazionale Giscard, l'autorevolissima voce dell'ex presidente della Commissione europea Jacques Delors, sorprendentemente schierato dalla parte di VGE.

I più soddisfatti di quella bozza risultavano Spagna e Gran Bretagna (gli alleati di George W., non a caso). La prima vedeva confermati il numero di voti e seggi, a lei favorevole, deciso dal Trattato di Nizza. La seconda, attraverso il ministro degli esteri Jack Straw, si riteneva soddisfatta della conferma del "primato degli Stati-nazione", ma a dirla tutta gioiva del fatto che venissero confermati i contributi dei singoli paesi al budget comunitario del periodo 2007-2013 decisi anch'essi a Nizza. Se The Sun aveva strillato in prima pagina "L'Europa dirotterebbe la nostra economia", Liberation< segnalava, con un certo fastidio, la contentezza dei giornali britannici, che vedevano cancellata dal primo articolo della Costituzione la "F…word", cioè Europa "federale", ma anche, con scarsa simpatia, la "fottuta parola". Il quotidiano francese citava anche Peter Hain, il rappresentante britannico alla Convenzione, che sintetizzava: "Non ci sarà armonizzazione fiscale. Al governo rimarrà il potere di decidere la politica estera e quella interna, visto che paesi come la Gran Bretagna dispongono di un potere di veto. Seppelliamo una volta per tutte i deliri di un super-Stato di Bruxelles". Era proprio il diritto di veto a fare la differenza. Grazie ad esso la Commissione veniva indebolita, e qualsiasi Stato avrebbe potuto paralizzare l'Europa in politica estera, fiscale e di difesa, così come, in opposizione all'asse franco-tedesco, chiedeva la Gran Bretagna di Tony Blair. Gli "euro-scettici" portavano a casa un bel risultato, mentre nel campo opposto aumentava il nervosismo, tanto che la Sueddeutsche Zeitung accusava la Francia di "boicottare l'Europa" con la sua guerra dichiarata al patto di stabilità europeo.

Il ministro degli Esteri francese de Villepin toglieva però alla fine il proprio paese da una certa ambiguità e si diceva pronto, pur di non ritrovarsi con una "Europa al ribasso", a promuovere un "nocciolo duro" di paesi avanguardisti che aprisse la strada all'unione politica, proposta subito benvenuta dalla Germania. A questo punto persino il governo italiano, rappresentato da Gianfranco Fini, evitava di accodarsi agli "euro-scettici" spagnoli e britannici, e veniva esplicitamente incontro alle esigenze franco-tedesche. Così i sei paesi fondatori (Francia, Germania, Italia e Benelux) si ritrovavano nella comune sostanziale opposizione al ritorno del diritto di veto. In pochi giorni cambiava tutto. Giscard verificava la fermezza dei rappresentanti di Spagna e Gbr e davanti alla loro chiusura, davanti all'evidente irrigidimento di Peter Hain, che contraddiceva la collaborazione che lo stesso Blair aveva personalmente promesso tempo prima al presidente della Convenzione, Monsieur Giscard cambiava strategia. Spagna e Gbr volevano che non venisse toccato il Trattato di Nizza del dicembre 2000, ma "la Convenzione è nata proprio per superare quel Trattato", chiariva VGE.

La nuova proposta presentata il 6 giugno scontenta solo la Spagna. Il diritto di veto viene cancellato (al massimo si potrà richiedere una maggioranza "superqualificata" dell'80% per questioni delicate, anche se Irlanda e Gran Bretagna insistono sul veto almeno per il fisco), e questo, che era il punto più controverso, ha fatto parlare Romano Prodi di "risveglio delle teste e delle coscienze", mentre Fischer ha dichiarato che il fumo che avvolgeva le proposte della Convenzione è ormai "più grigio che nero". Il buon compromesso raggiunto dalla Convenzione non è stata comunque l'unica prova dell'esistenza dell'Europa nelle ultime settimane. In Congo, dove una guerra tribale ha già fatto più di due milioni di morti in quattro anni, sarà l'UE, sotto mandato dell'Onu, a condurre l'operazione militare e umanitaria "Artemide", che ha lo scopo di riportare l'ordine e la pace tra l'etnia Hema e i più poveri agricoltori Lendus. Si tratta della prima operazione militare dell'UE fuori dall'Europa condotta senza i mezzi della Nato, e sembra rispondere al monito di Eco della settimana scorsa, che chiedeva fosse l'Europa a dialogare con quei paesi che ha imparato a conoscere nella lunga esperienza coloniale. Saranno impegnati 1700 uomini tra francesi e belgi, ma anche la Germania potrebbe fare la sua parte, come è stato ripetuto anche l'11 giugno a Berlino da Chirac e Schroeder. Nel frattempo "Mars Express", la prima sonda spaziale europea diretta su Marte, aveva lasciato con successo la stazione Baikonur, in Kazakistan, e domenica 8 giugno infine, come è noto, la Polonia ha votato sì all'ingresso in Europa.

Il compromesso raggiunto dalla Convenzione, felicemente accompagnato da questi altri tre fatti, può oggi dirsi soddisfacente. Lo stesso modo in cui i maggiori giornali europei hanno trattato i lavori finali della commissione la dice lunga su quanto ancora conti, naturalmente, il sentimento nazionale. I tedeschi hanno sempre ricordato come per il nuovo ruolo di ministro degli Esteri europeo il loro Fischer sia il candidato oggi più autorevole. I francesi hanno difeso a spada tratta il loro VGE, con Le Monde che gli ha dedicato infine un ritratto tra l'eroico e il patetico (del tipo: "Lo charme di Giscard d'Estaing è all'opera. Guarda da distante ma sa sedurre, con humour. L'uomo è così temuto che impone un silenzio totale"). E' vero che era necessaria una chiave di lettura "nazionale" per poter interessare il lettore, ma cos'è questa se non la dimostrazione che non ci troviamo di fronte ancora ad una opinione pubblica di "nazionalità" europea? Il lavoro della commissione, che verrà passato il 20 giugno al Consiglio Europeo di Salonicco e dal 15 ottobre alla Conferenza intergovernativa guidata dalla presidenza italiana, è solo un primo passo, che potrebbe anche essere ribaltato nei prossimi mesi. "E' certo un compromesso, come sempre in Europa, ma presentabile", ha scritto Die Zeit in un articolo intitolato "Kompliment, Konvent!" ("Complimenti, Convenzione!"). E comunque, ha concluso il settimanale tedesco, "sappiano gli Aznar ed i Blair, gli Schüssel e gli Chirac o come si chiamano: i bei tempi della sovranità nazionale sono finiti".

 


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