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Attualita'



Il mondo in una stanza



Paola Casella




Mettete un luminare americano ideatore di un rivoluzionario metodo di valutazione dell'opinione pubblica nella camera ovale (in quanto proprio di forma ovale) di un prestigioso ateneo italiano e chiedete ai docenti e ai migliori laureati di quell'ateneo di porre allo studioso americano una serie di domande pepate: le provocazioni si sprecheranno, così come si moltiplicheranno gli avvocati del diavolo.

E' quello che è successo martedì 27 maggio, quando un gruppo di docenti e di brillanti studenti post laurea della Luiss di Roma, capitanati da Sebastiano Maffettone e moderati da Alessandro Ferrara, hanno posto a James Fishkin una serie di quesiti che, fra le altre cose, tenevano in conto le peculiarità della società, della politica e della coscienza civile italiane, mettendo a dura prova l'idealismo yankee dell'inventore dei sondaggi deliberativi.

Ecco una sintesi dello scambio di domande e risposte, semplificato (ma non depauperato) per sfrondarlo di gergo accademico e tortuosità linguistiche (il seminario si è svolto interamente in inglese, con Fishkin lanciato verso il superamento della barriera del suono, quanto a velocità espositiva).

I sondaggi deliberativi implicano la costruzione di una "messinscena" artificiale, quella di un "mondo in una stanza" intento a informarsi e a discutere su un determinato argomento, per poi esprimere la propria opinione al proposito. Come possiamo essere sicuri che il processo di "messa in scena" non condizioni a monte i risultati dei sondaggi?

E' vero, la procedura è costruita, come una "messa in scena". Ma a ben guardare i sondaggi deliberativi sono meno artificiali di altri metodi di valutazione statistica dell'opinione pubblica, ad esempio i focus group, in quanto la realtà entra più spesso e più prepotentemente nella discussione. Abbiamo tenuto sondaggi in cui si discuteva di assistenza sociale o di sanità pubblica, e fra i partecipanti c'erano persone che avevano un'esperienza diretta di entrambi, e che erano in grado di raccontare agli altri che cosa si prova a sopravvivere grazie ai sussidi governativi, o a beneficiare solo della minima assistenza medica.

A chi è affidata la responsabilità di mantenere un criterio imparziale nel mettere insieme il campione? Chi fa le selezioni, chi sceglie gli esperti, chi modera?

Il processo di selezione iniziale del campione è estremamente scrupoloso, e consiste di una quantità enorme di interviste ripetute, fino a 32 colloqui con gli stessi soggetti. Di questi soggetti, circa un terzo si presenta spontaneamente a costituire il campione finale. All'interno di questo campione, le differenze sono altrettanto statisticamente significative di quanto non succeda nella popolazione in generale. Il microcosmo non è dunque più distorto di quanto non lo sia nei sondaggi tradizionali.

Per informare i partecipanti al sondaggio deliberativo, ci avvaliamo di un ampio gruppo di consulenti esterni al fine di assicurare una grande imparzialità dell'informazione offerta ai partecipanti attraverso un attento equilibrio fra gli interventi degli esperti. E ai moderatori viene richiesto di non esprimere mai la propria opinione sull'argomento di discussione.

Come ci assicuriamo che questi standard vengano mantenuti? Svolgendo tutte le attività di selezione e discussione con la massima trasparenza, ad esempio rendendo consultabili attraverso Internet i contenuti dei materiali informativi offerti ai partecipanti al sondaggio. Il fatto poi che le discussioni fra i partecipanti siano teletrasmesse rende i sondaggi ancora più accessibili al pubblico scrutinio.

In sintesi, facciamo semplicemente del nostro meglio per consentire ai partecipanti di pensare con la propria testa alle migliori condizioni, che è più di quanto si possa dire di molti sondaggi tradizionali.

E' possibile che coloro che accettano di partecipare al sondaggio abbiano motivazioni diverse da coloro che non partecipano? Questo non creerebbe difficoltà nell'estendere i risultati del sondaggio all'"universo"?

La nostra garanzia, all'interno del processo di autoselezione dei partecipanti, deriva dalla grande varietà delle motivazioni che spingono i singoli a partecipare, e dalla varietà di incentivi che noi forniamo loro: c'è chi partecipa per soldi, chi per trascorrere un weekend lontano da casa a nostre spese, chi per apparire in televisione, chi infine solamente per far sentire la propria voce. Una signora, che viveva in un appartamento senza acqua calda, ha accettato di fare parte del campione solo dopo che le avevamo assicurato che l'acqua calda ci sarebbe stata.

Come faranno i sondaggi deliberativi a sottrarsi al tipo di manipolazione politica già applicata ai sondaggi tradizionali, almeno in Italia?

Durante i 21 sondaggi deliberativi da noi già effettuati - più quello che si è svolto su Internet - personaggi politici anche molto noti, come Al Gore e Tony Blair, hanno partecipato alla fase informativa, anche se naturalmente il loro intervento è stato controbilanciato dagli interventi di rappresentanti dello schieramento opposto. Il nostro obiettivo è quello di creare conflitti di opinioni, consentendo ai partecipanti al sondaggio di decidere da che parte stare, dopo aver ascoltato le argomentazioni di tutti gli esperti.

Nessun politico può intervenire massicciamente e in modo unilaterale all'interno del processo costitutivo o informativo dei sondaggi. Quanto all'utilizzo politico dei risultati, certo, questo avviene, ma a valle, non a monte. Nessun politico sa, a priori, quale sarà l'esito del sondaggio, e non lo sappiamo nemmeno noi. Il nostro scopo non è quello di ottenere una determinata risposta dal campione, o di indirizzarlo verso ciò che riteniamo giusto, ma solo quello di informarlo in modo che la sua opinione finale sia più consapevole di quella iniziale.

Per noi, non esistono risposte giuste o sbagliate, solo condizioni più o meno favorevoli alle quali i partecipanti possano formare le proprie opinioni. Sta a loro, poi, completare l'esperimento. E in questo modo, l'opinione pubblica riesce a influenzare la volontà politica collettiva attraverso pareri ragionati e rappresentativi.

Forse la classe politica non è poi così interessata a confrontarsi con un'opinione pubblica informata.

Certo, è più facile manipolare la gente mantenendola nell'ignoranza, ma proprio per questo penso sia necessario iniettare all'interno del processo democratico l'elemento della discussione informata.

Esistono tre tipi di rappresentanti politici: quelli puramente paternalistici, che ritengono di sapere cosa è meglio per il loro elettorato, e si comportano di conseguenza, indipendentemente dall'opinione dell'elettorato stesso; quelli che si rimettono totalmente all'opinione del loro elettorato, espressa attraverso i sondaggi tradizionali, e adeguano via via il loro comportamento ai risultati dei poll; e infine quelli che farebbero ciò che il loro elettorato richiede, se tale elettorato fosse in grado di esprimere un'opinione ragionata.

Questi ultimi - quelli cioè che preferirebbero rappresentare le preferenze espresse da un elettorato informato piuttosto che dedotte dal proprio "istinto politico" o dai sondaggi tradizionali - sono i beneficiari ideali dei sondaggi deliberativi.

Forse il fatto che l'opinione pubblica rimanga in uno stato di letargia ha i suoi vantaggi: per esempio una minore asprezza dei conflitti sociali. Forse i sondaggi deliberativi, coinvolgendo il campione in uno scrutinio minuzioso e attento delle proprie opinioni, potrebbero rendere le divergenze più estreme. In altre parole: potrebbero seminare discordia.

I sondaggi deliberativi non sono pensati per rendere il processo politico più o meno stabile, ma di fatto rendono le preferenze politiche del pubblico più coerenti. Le divergenze di opinione non vengono risolte, ma nemmeno esacerbate: al contrario, i partecipanti trovano regolarmente un terreno di condivisione. Non necessariamente si raggiunge un maggiore consenso, ma sicuramente molti cambiano opinione.

Certo, l'opinione degli attivisti più convinti, in genere, non cambia: l'abbiamo verificato ad esempio al termine del sondaggio deliberativo sulla pena di morte.Tuttavia chi sapeva poco sull'argomento si è ritrovato alla fine più informato e ha spesso cambiato punto di vista.

Esistono situazioni politiche talmente complesse e ingarbugliate che un semplice aumento di informazione potrebbe non bastare a generare comprensione. Pensiamo ad esempio al conflitto fra israeliani e i palestinesi, o fra russi e ceceni.

Non tutti gli argomenti si prestano all'applicazione dei sondaggi deliberativi. Il conflitto in sé fa parte del processo democratico, ma discutere di contrasti così radicati e complessi come quelli citati costituirebbe una condizione di partenza del tutto sfavorevole a una serena discussione.

La maggior parte delle questioni pubbliche è meno complicata, e tuttavia il pubblico si mantiene rispetto a quelle questioni in una condizione di "ignoranza razionale" che gli impedisce di partecipare alla vita politica esprimendo un'opinione ragionata. I sondaggi deliberativi si prestano ad informare la gente su questi argomenti.

Qualcuno potrebbe pensare che i sondaggi deliberativi comportino un pregiudizio politico di partenza. Che l'idea stessa di consentire alla gente di formulare ed esprimere liberamente e collettivamente le proprie opinioni faccia parte dell'agenda di una certa parte politica, o quantomeno di un orientamento ideologico: quello della sinistra.

Quasi ogni politico è convinto che, se il pubblico fosse adeguatamente informato sugli argomenti di attualità, voterebbe per lui, o almeno per il suo partito. E i risultati dei sondaggi deliberativi condotti fino ad ora hanno talvolta fatto piacere alla destra, talvolta alla sinistra. Il processo deliberativo non va necessariamente verso l'una o l'altra direzione.

Personalmente, non faccio pronostici su chi saranno i miei nemici: finora, a favore dei sondaggi deliberativi si sono schierati i grandi esperti di opinione pubblica, spesso chiedendo di far parte del mio team di consulenti, mentre a contrastarmi sono stati soprattutto i sondaggisti che lavorano secondo metodi tradizionali. Con eccezioni: qui in Italia, ad esempio, Renato Mannheimer ha definito i sondaggi deliberativi "un antidoto contro l'ignoranza pubblica".

Come fate ad essere sicuri che sia proprio il processo di discussione a generare il cambio di opinione? Avete pensato a confrontare i risultati dei sondaggi deliberativi con quelli di un gruppo di controllo?

Ne sono certo: è proprio la discussione informata e civile a portare i partecipanti a formulare un'opinione ben ragionata, è lei il fulcro, il motore principale del cambiamento. L'ho accertato anche attraverso il confronto con i gruppi di controllo, naturalmente, per esempio nel corso del sondaggio deliberativo che si è svolto in Danimarca a proposito dell'opportunità di adozione dell'euro.

Il motivo per cui l'opinione di un individuo cambia meno facilmente nel corso della sua vita quotidiana risiede nel fatto che è più facile e immediato acquisire informazioni che sostengano il proprio punto di vista: la gente tende ad accompagnarsi a persone simili a sé, e in famiglia e fra amici spesso si minimizzano i conflitti - ad esempio un partner può dare ragione all'altro solo per quieto vivere, e così via.

Lei sembra ritenere che un cambiamento di opinione sia di per sé un risultato positivo?

Il parere ragionato al quale approdano i partecipanti ai sondaggi deliberativi non è necessariamente migliore di quello iniziale, ma è sicuramente più informato, più completo. E ogni partecipante ha una maggiore conoscenza delle ragioni della parte opposta. Il sondaggio deliberativo non deve necessariamente far cambiare idea ai partecipanti, ma deve sempre far mettere loro in gioco le proprie opinioni, e, idealmente, dare loro la capacità di argomentare in modo convincente opinioni opposte alle proprie.

I sondaggi deliberativi non si limitano a modificare le preferenze dei partecipanti ma promuovono la comprensione reciproca, sia in termini di chiarezza che di tolleranza. In questo senso incoraggiano sempre una trasformazione positiva, perché le opinioni finali dei partecipanti non sono più faziose, e diminuisce il rischio che essi si rendano colpevoli di ciò che viene definito "tirannia della maggioranza".

Forse, al di là delle informazioni ottenute e della discussione di gruppo, a cambiare opinione sono soprattutto coloro che erano comunque, magari caratterialmente, disposti a farlo. E al contrario magari c'è chi resiste al cambiamento "ragionato" per partito preso, ritenendo più importanti, al fine del "farsi un'idea", fare leva su fattori irrazionali.

E' impossibile prevedere chi cambierà opinione e chi no. Secondo i risultati dei nostri primi 22 sondaggi deliberativi, non esistono fattori determinanti a priori: non il livello di istruzione, né lo status economico o sociale.

Tuttavia, dopo svariate ore di apprendimento e di discussione a proposito di un determinato argomento, i partecipanti ai nostri sondaggi arrivano a capire che la loro opinione comporta costi e benefici, e che dunque non può essere delegata solo all'ambito emotivo e irrazionale. Questo succede perché trattiamo questioni pubbliche di interesse generale, che coinvolgono tanto i singoli quanto la società. Fondamentale, comunque, è che il partecipante abbia la percezione che la sua voce possa contare. Solo in quel caso il sondaggio deliberativo può funzionare.

 


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