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Da: Massimo Negri
A: <caffeeuropa@caffeeuropa.it
Data: Mercoledì, 16 aprile 2003 2:08
Oggetto: Tappa a Gualtieri (RE)

Cari amici di Caffe' Europa,

la ricorrenza del 25 aprile mi spinge a riflettere sulla fortuna che abbiamo, come italiani, di avere a disposizione un buon numero di scrittori che sapendo unire il piano letterario a quello storico contribuiscono a formare la nostra memoria civile e politica. Giorgio Bassani e Beppe Fenoglio, Carlo e Primo Levi, Cesare Pavese ed Elio Vittorini sono solo i primi sei nomi illustri che mi vengono in mente.

Vi sono però pure degli autori minori degni di menzione. Uno di questi è Mario Mantovani, uno scrittore-cantautore, bresciano e che ricordo per una bella serata (2 novembre 2001) a Casalmaggiore (CR) dove venne a presentare "Voci d'acqua" (Ed. Biblioteca del Vascello).

Chitarra in mano, alternava le canzoni con la lettura di brani del libro e con la proiezione delle diapositive di un viaggio in bicicletta da lui compiuto, d'estate, da casa sua sino alla foce del Po, "inseguendo le voci della memoria, alla ricerca dell' anima dei luoghi" (come recita il retro di copertina).

Prima di proporre alla vostra attenzione alcune pagine del libro, desidero spendere due parole su Gualtieri (RE), una delle tappe più suggestive della lunga pedalata. E' un piccolo borgo a ridosso dell' argine del Po, con una larga piazza a giardini ed un museo dedicato al pittore naif Antonio Ligabue che vale una gita.

Protagonista del dialogo con l'autore è Serafino Prati che ne è stato per 24 anni il suo Sindaco. Una biografia d' altri tempi. Sin da ragazzo inizia a lavorare alla monda ed al taglio del riso nel Vercellese. Nel 1922 è bracciante della Cooperativa di produzione e lavoro socialista. Bastonato dai fascisti nel 1925 emigra a Collegno (TO) occupandosi come manovale edile.

Disoccupato, ritorna a Gualtieri dove è operaio "a giornata" e dove si fidanza e si sposa con la mondina Olimpia Terzi. Partecipa alla Resistenza e nel dopoguerra a fianco dell' attività di Primo Cittadino pubblica diverse opere di poesia e di storiografia. Da "Alba sul Po" (Ed. Donati, Parma, 1963) traggo l'inciso: "la guerra non poteva ascoltare la paura della popolazione esposta ad eventuali rappresaglie. La guerra era dappertutto e la pietà o la prudenza, non avevano più alcun valore".

Infine, come anticipato, riporto una ampia citazione da Mario Mantovani "Voci d'acqua" (pag. 126-9): "Impiegò più di un' ora per rintracciare Serafino Prati, classe 1905. A casa gli avevano detto che a quell' ora stava al circolo a leggere il giornale, al circolo l' avevano visto allontanarsi verso l' argine in bicicletta, sull' argine c' erano dei bambini che si rincorrevano. Gli riuscì di trovarlo presso l' edicola del paese. Al piano terreno di una villetta popolare dove viveva con il figlio e la nuora, Serafino Prati gli raccontava della sua vita. Lo faceva stando in piedi, come un vecchio albero, dietro una scrivania di formica marrone, sicuro e pulito nel suo collo di camicia con cravatta. Mario, ammutolito, ascoltava i racconti sulla Torino degli anni venti. L' occupazione delle fabbriche e Gramsci. Il fascismo, la guerra e poi il matrimonio con Olimpia. Ritornava sovente il ricordo della moglie.

Senza di lei la mia vita sarebbe stata poca cosa. Olimpia negli anni cinquanta mi diceva che non dovevo trascurarla per la mia attività politica nel partito socialista. Si arrabbiò molto quando nel 1951 vennì eletto Sindaco di Gualtieri. Poi si abituò ed io ricoprii quella carica sino al 1975. A pochi mesi dalla mia elezione, mi ritrovai ad affrontare la terribile alluvione del 14 novembre 1951 quando, alle tre del mattino, saltarono gli argini del torrente Crostolo. Da parecchi giorni gli uomini lavoravano al rafforzamento degli argini ed il Prefetto mi esortava a resistere perchè il Po aveva rotto nel Polesine e quindi il livello della piena sarebbe diminuito. In poche ore tutto il paese venne invaso dalle acque mentre le famiglie fuggivano o riparavano ai piani alti delle case.

Io vivevo costantemente in Municipio e solo verso sera riuscivo a raggiungere mio figlio ed Olimpia, servendomi di una barca. Entravo in casa da una finestra del piano superiore. Il racconto di Serafino era intercalato da continue immagini poetiche, soprattutto quando parlava delle lunghe settimane di permanenza dell' acqua per le strade di Gualtieri. Le barche vi scivolavano sopra in un paesaggio da favola. Descriveva gli anziani che, attaccati come ostriche alle loro tradizioni, si erano rifiutati di abbandonare le case e trascorrevano le giornate alle finestre con lo sguardo perso sui tanti oggetti galleggianti. Grande era la disperazione e la malinconia, quasi da non vederne la fine.

Intanto il tempo passava e l'acqua cambiava colore. Molte persone erano rimaste ai piani alti delle case e la sera li vedevi ai davanzali che guardavano le stelle tra i veli della nebbia. Passando con la barca potevi sentire i loro sospiri. Ogni rumore era attutito, poche persino le parole. Se qualcuno avesse brontolato, le sue frasi sarebbero finite in acqua senza far rumore. La torre si ergeva maestosa e solitaria tra il cielo e l' acqua, a guardia dei valori passati e delle nostre tradizioni. Essa ricordava alla gente che passava sulla sommità arginale del Po, la fede conservata dalla gente dei campi, fiduciosa, nonostante tutto, in un futuro che non poteva essere peggiore del presente. Le parole uscivano dalla bocca di Serafino con cadenza costante. Le immagini si accavallavano. Le alluvioni, i tedeschi che nell' aprile del '45 non sapevano come traghettare il Po, la morte di Ligabue.

Ligabue morì alle ore venti del 27 maggio 1965 in una corsia dell' infermeria Carri, mentre fuori tramontava il sole. Feci subito affiggere un avviso funebre in paese e poi, in qualità di sindaco, pronunciai il discorso commemorativo al cimitero, davanti alla sua bara. Al funerale, con me ed il maresciallo dei carabinieri, c' erano due o tre persone. Qualcuno in paese mal digerì tutto quell' impegno del sindaco per la morte di un matto. Sorrideva parlando di Ligabue. Si abbassò sul cassetto della scrivania e ne trasse un foglio scritto a macchina.

Ecco, questo è il testo del discorso commemorativo. Serafino, mentre parlava, guardava il grande argine verde che, appena dietro la casa, sembrava entrare dalla finestra aperta. Mario gli chiese spiegazione di quel riferimento ai tedeschi.

Il mese di aprile del '45 arrivò sopra l'argine maestro di Gualtieri che la primavera sembrava più primavera del solito. Le boschine golenali erano già fiorite ed il Po si gonfiava lentamente come succede nel periodo primaverile. Numerose compagnie di militari tedeschi, sotto l'incalzare dell'avanzata alleata, invasero quella zona con tutta l'intenzione di organizzare, proprio a ridosso degli argini, una disperata linea di difesa. Questo avrebbe consentito, nel frattempo, di predisporre l' attraversamento del Po. I bombardieri inglesi avevano distrutto tutti i ponti fino a Torino, tagliando in due la pianura padana. Gli ufficiali tedeschi, per fare più in fretta, avevano coinvolto anche gli italiani che lavoravano per la TOD, ma tutto fu inutile perchè gli americani erano ormai arrivati a pochi chilometri da Gualtieri. I soldati tedeschi giravano per il paese con i fucili spianati, sempre più atterriti dalla morsa che li stava stritolando. Il fiume sempre più in piena e gli alleati in avanzata dall'altra.

Bussavano alle porte, entravano nei cortili alla ricerca disperata di qualcosa che li aiutasse ad attraversare il Po. Cercavano in particolare i coppertoni di gomma di qualsiasi dimensione, di macchina o di bicicletta, da usare come salvagente. Il fiume stava ad osservare tutto quel trambusto sulla riva destra. Aveva l' aria furbesca di chi stava per combinare qualcosa. Guardava i militari buttare elmi e fucili, li spiava mentre si avvolgevano nei coppertoni, mentre immergevano i piedi nelle sue acque aggrappati alle fascine di legna, alle balle di paglia. Si buttavano trattenendo il respiro, chiudendo gli occhi, incoraggiandosi l'un l'altro.

Fu immane la tragedia, l'ennesima. Le boschine golenali si riempirono di grida dure ed incomprensibili, di nomi strozzati nelle bocche che si riempivano d'acqua. Pochi riuscirono a raggiungere il fiume nel mezzo. La balle di paglia si gonfiavano d' acqua e si scioglievano in tanti fili gialli. Decine di mani si aggrappavano all'acqua, ad inconsistenti e fragili appigli. C'erano ragazzi avvolti nei coppertoni delle biciclette di Gualtieri che annaspavano e maledivano la Germania.

In poco tempo la superficie del fiume si disseminò di lugubre forme galleggianti. Centinaia di cadaveri venivano lentamente trasportati verso il mare, confusi tra gli improbabili appigli. Pochi, i migliori nuotatori, i più fortunati che avevano recuperato un solido galleggiante, vedevano ormai la riva mantovana avvicinarsi. Si chiamavano per nome, si incoraggiavano a vicenda. Era biondo quel ragazzo che sembrava ormai prossimo a toccare un enorme salice ricurvo sull' acqua. Si considerava il più fortunato. Gli si riempirono gli occhi di stupore quando vide un partigiano sporgersi da dietro il tronco del salice e puntargli, dritto negli occhi, il suo fucile. Un colpo ed il Po si tinse di rosso.

Poi altri partigiani dalla sponda mantovana, altri colpi e altri cadaveri a galleggiare. Non è dato sapere se qualche ragazzo tedesco riuscì a raggiungere l'argine mantovano, solo si sa che per giorni e giorni il fiume nascose nei suoi anfratti, nelle sue lanche, una infinità di poveri corpi. Grande ne fu il fetore tra le boschine di golena. Toccò agli abitanti di Gualtieri recuperarli e dare loro lontana sepoltura. Dalla scala che porta al piano superiore, arrivava un malizioso profumo di pietanze. Serafino Prati ne approfittò per accennare al suo ottimo appetito.

Se intendi ripassare a trovarmi, non devi lasciar trascorrere troppo tempo. Ormai ogni giorno è buono per me. Mario ripresa la bicicletta in direzione del mare. Non era stato facile lasciare quella casa e soprattutto non sarà possibile dimenticare Serafino Prati".

Cordiali saluti
Massimo Negri - Casalmaggiore (CR)

 


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