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Gli Assiri e le guerre dell'impero



Siegmund Ginzberg




Questo articolo è apparso sul quotidiano Il Foglio di sabato 15 marzo 2003 con il titolo First Strike e guerra giusta? Bush ha copiato dai re assiri.

La superpotenza militare assoluta, al momento senza rivali sul piano planetario, si guarda bene dal glorificare le guerre che si appresta a fare. Il loro leader non nasconde la superiorità schiacciante delle proprie forze armate, da ogni punto di vista: strategico, tecnologico, organizzativo. Lo fa, dicono gli esperti, non solo per intimidire l'avversario, ma anche nell'estremo tentativo di evitare la guerra con la sola minaccia di guerra, la dimostrazione di forza. Insiste che darà l'ordine di attacco non perché gli piaccia la guerra, che anzi aborre, ma per il bene del mondo. Non fa guerre ingiuste, o per il gusto di farle, ma solo guerre sacrosante, inevitabili. Le fa non per il proprio tornaconto ma soprattutto per garantire la pace in futuro, liberare popoli oppressi dai tiranni sanguinari, per neutralizzare aggressori folli, assicurare pace, libertà, ordine, giustizia, benessere, prosperità, progresso e crescita economica a tutti. Le fa contro pazzie di criminali che si sono già rivelati capaci di ogni nefandezza, contro chi l'ha provocato e aggredito, ma anche per prevenire minacce che non si sono ancora realizzate ma incombono.

Dichiara che la vittoria consentirà di cambiare in meglio il mondo, di dare nuova vita, un nuovo inizio a un ordine mondiale meno minaccioso ed incerto per tutti. Dice che, se le guerre sono un male, talvolta sono necessarie per evitare un male ancora peggiore, il caos che minaccia la convivenza internazionale. Nega di avere obiettivi egemonici. Promette un politica costruttiva di pacificazione. Afferma che si tratta di una battaglia tra il Bene e il Male. Che sente il peso di una responsabilità che ricade interamente sul suo paese, perché nessun altro è in condizione di farlo. Spiega agli alleati che non si può stare in mezzo, pretendere neutralità: si è o con lui o coi nemici. Non lancia guerre di religione, ma non ha dubbi che Dio stia dalla parte giusta. Prega, e invita tutti a pregare perché finisca bene.

George W. Bush? No. Le Iscrizioni Reali degli antichi sovrani assiri, risalenti al terzo e secondo millennio avanti Cristo. Tradotte, commentate e presentate (assieme ai testi originali, non in cuneiformi ma in traslitterazione) in un imponente lavoro di Bustenay Oded, una delle massime autorità mondiali in questo campo di studi. War, Peace and Empire, giustificazioni per la guerra nelle Iscrizioni reali assire, si intitola il volume di 200 pagine fitte, pubblicato nel 1992 dalla Dr. Ludwig Reichert Verlag di Wiesbaden.

I testi, avverte lo studioso nell'introduzione sono in qualche modo risposte stilizzate alla domanda che l'economista J.A. Shumpeter si poneva nel suo classico Zur Soziologie der Imperialismen del 1919 (una traduzione italiana uscì da Laterza nel 1972). "Cosa ci risponderebbe un re assiro se potessimo chiedergli: Perché non cessi di conquistare? Perché distruggi un popolo dietro l'altro, città dopo città? Perché cavi gli occhi al vinto e ne incendi la capanna?".
Non rispondevano: perché mi va così e me lo posso permettere. Offrivano argomentazioni solide e articolate sulle giustezza e la legittimità delle loro guerre.

Cè chi ha osservato che questi documenti di propaganda differiscono per molti aspetti dalle giustificazioni delle guerre moderne. Si tratta di spiegazioni fornite in genere dopo il conflitto, e quasi sempre dopo la vittoria assira. Di norma, le sconfitte non venivano registrate negli annali, e la propaganda degli scribi di palazzo dell'Assiria non sentiva il bisogno di fornire analisi di guerre perse. Inoltre, si tratta di testi scritti per le audience del futuro, più che per i contemporanei. Lo scopo non era tanto quello di fornire un resoconto dei fatti reali, quanto riflettere i principi guida dell'ideologia politica assira. C'era l'elemento dell'incutere calcolatamente timore ai potenziali nemici. Quello di consolidare un consenso interno. Ma, soprattutto, il bisogno di dare giustificazioni comprensibili e accettabili. Se ne ricava una casistica straordinaria di pretesti per la guerra, non necessariamente una spiegazione delle cause, evidentemente assai più complesse. Ci sarebbero voluti ancora un paio di millenni perché Tucidide ci spiegasse che le guerre si fanno non per beneficenza ma per onore, paura, interesse.

Negli antichi commentari dei re dell'Assiria la guerra non viene concepita come l'antinomia della pace, ma come un suo pre-requisito. "La pace non si concluderà senza combattere, le buone relazioni non si produrranno senza battaglia" si legge nell'Epica di Tukulti-Ninurta I. Sargon I proclama che fatto guerre per portare stabilità in Sumeria e Accadia. Lugalzagesi di aver portato "pace e tranquillità al mondo abitato". Assurbanipal si proclama "pastore, protezione del mondo intero", spiega le sue campagne contro l'Egitto come dedicate al ristabilire l'ordine in quelle terre e restaurare i legittimi principi egiziani. Promettono pace, benessere, abbondanza e affari per tutti, una ritrovata armonia cosmica come risultato della lotta contro le forze del caos e dell'anarchia. L'abbondanza viene spesso qualificata come garanzia di bassi prezzi. Sargon I fece una campagna in Anatolia solo per portare aiuto ad una colonia commerciale contro un oppressore straniero. Aver schiacciato la potenza aggressiva dei nemici ha avuto per Assurbanipal il risultato che "il mondo intero è diventato gradevole e liscio come l'olio. "Il regno del re è buono: anni di giustizia, piogge abbondanti e un tasso di scambio favorevole", commentano gli scribi.

La giustificazione più comune per la guerra è por freno a un'aggressione. "Punire" il nemico che ha osato dissacrare il sacro suolo e i templi degli dei dell'Assiria. Ma non necessariamente respingere un'invasione militare che abbia violato i loro confini, tra le cose da punire ci sono anche solo le intenzioni aggressive, cospirazioni vere o presunte, l'aver fomentato rivolte, la corruzione di funzionari assiri, il tradimento, l' abbandono di trattati e alleanze precedentemente stipulate, il venir meno ad un giuramento o ad un tributo dovuto, la minaccia rivolta nei confronti di un alleato, l'accorrere in soccorso di questi, gesti ostili che oggi verrebbero qualificati come "terrorismo". Il nemico è sempre cattivissimo: "assassini, criminali, malfattori, bugiardi, disonesti, perfidi, maledetti, inaffidabili, codardi, peccatori, fuorilegge, ribelli che non sanno quel che gli conviene, gente che pensa solo al tradimento, ingrati, stupidi, pazzi, gente che ha perso il lume della ragione, non possiede né senso della realtà né intelligenza". In almeno un caso, l'accusa è aver osato attentare alla vita del padre del sovrano in carica, inviando degli assassini.

L'argomento più ricorrente è che la guerra non è una scelta degli assiri ma un atto di autodifesa. Il ricorso alla forza è sempre l'ultima risorsa. Ma non si limitano a rivendicare il diritto di rappresaglia. Gli antichi re assiri sono anche i primi ad avere esplicitamente teorizzato, con 5000 anni di anticipo, la guerra preventiva. Furono tra i più spietati conquistatori di tutti i tempi. Eppure, lo stesso Oded, che pure non ha particolare simpatia nei confronti del suo oggetto di studio, riconosce che il loro "imperialismo difensivo" dà l'idea che "l'impero assiro non era conseguenza diretta di un piano e un disegno precostituito per dominare gli altri popoli, ma il risultato di un lungo processo storico motivato inizialmente da ragioni chiaramente difensive: prevenire che forze ostili attaccassero l'Assiria e sedare i disordini perpetrati dai nemici". Perseguirono una politica di espansionismo militare. Ma si ritiene che "nella prima fase fosse più per difendere che per estendere l'impero". Quando sostengono di non avere ambizioni territoriali, ma perseguire il "bene" comune, non è detto che mentano.

Un altro eminente assirologo, Mario Liverani, che insegna Storia del Vicino oriente alla Sapienza, ha osservato che quel che gli importava difendere non era tanto una distesa di territorio, ma una rete di comunicazioni attraverso cui sono trasportati i beni materiali. Il passaggio da network empires a imperi territoriali sarebbe occorso solo molto più tardi. Che ci sia anche qui una sorta di ritorno alle origini?

Avevano più volte assediato, raso al suolo Babilonia, massacrato i suoi abitanti. Sennacherib la fece inondare. Il giogo assiro ci ha lasciato alcune delle pagine più toccanti della Bibbia ebraica (libro di Isaia). Ma era, ci dicono i commentari, per liberarli dai loro tiranni. Un accento particolare viene messo sugli sforzi di pacificazione e ricostruzione dopo la guerra. Tra gli obblighi del re c'è quello di portar pace a coloro che sono in difficoltà e riparare le rovine.

"Ho riportato indietro quelli che erano stati ingiustamente perseguitati, banditi e tratti in schiavitù...ho ripopolato le città abbandonate e fatto sì che gli abitanti vi vivessero in pace", proclama Salmanazar III. "Ho liberato dai loro ceppi gli abitanti di Sippar, Nippur, Babilonia e Borsippa, che vi erano imprigionati, li ho resi liberi e gli ho dato la luce", dice Sargon. "Portano oscurità, non luce, morte, non vita", gli rispondeva il profeta Isaia (5: 29-30). Ma non era puro arbritrio, seguivano regole. "Ho deportato i nemici, così ho portato sicurezza e prosperità", scrive Ammurabi in conclusione delle sue leggi, il primo testo giuridico scritto di tutti i tempi.

Non ignoravano la necessità di convincere in qualche modo anche gli alleati e i non allineati della bontà delle loro guerre asimmetriche. Anche se, spesso, a fatti compiuti. Sarebbe la ragione principale dell'intero monumentale corpus dei commentari reali assiri. I sovrani assiri si proclamano re dei quattro angoli del mondo. Sono severissimi nei confronti degli alleati che tentennano o li abbandonano. Non lasciano loro la scelta di restare neutrali, chi non è con loro viene considerato contro di loro. Ma il rapporto tra centro e periferia non viene dato mai come semplicisticamente scontato. Fanno estrema attenzione a collegare la rivendicazione di supremazia e la richiesta di obbedienza all'illustrazione dei vantaggi reciproci fondati su comuni interessi, vantaggi per tutti. "Tutte le terre cercano pace assieme a me nelle loro preghiere e suppliche", dice Assurbanipal. O almeno ci provano, anche se non sempre ci riescono. Non riescono ad evitare che gli alleati troppo zelanti si trovino talvolta anche loro in difficoltà. "Il re sa bene che tutte le contrade ci odiano, rimproverandoci la nostra fedeltà all'Assiria. Non siamo sicuri da nessuna parte; dovunque andiamo rischiamo di farci ammazzare", scrivono da Nippur a Ninive.
"L'atmosfera qui è costantemente ostile, ma io non sono negligente nella mia guardia", riferisce un ufficiale assiro di guarnigione in Siria.

 


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