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Ritratto e figura nei protagonisti dell'Impressionismo



Maria Teresa Benedetti




"Il mio lavoro mi induce a guardare attentamente i volti, le fisionomie che incontro sul mio cammino, e voi sapete quale gioia si possa trarre da questa facoltà, capace di rendere ai nostri occhi la vita più viva e ricca di significato"
Charles Baudelaire, La Corde, (dedicato a Manet)

Quando alla metà degli anni 1860 i futuri impressionisti cominciano ad esporre le loro opere al Salon, il giudizio della critica, ancora incerto verso Manet, è piuttosto ostile nei loro confronti. Ciò non toglie che si rimproveri anche a pittori come Cabanel o Bouguereau, detentori del potere culturale e alfieri della cosiddetta "art pompier", una stilizzazione arida e eccessiva, e si sostenga, da parte della critica più aperta, il lavoro di ritrattisti come Baudry, Bonnat o Carolus- Duran, meno convenzionalmente accademici, più vicini alla rappresentazione del reale.


L'influsso di Ingres, violentemente stigmatizzato da Baudelaire e ormai privo dell'autorità del maestro, può considerarsi esaurito con la scomparsa nel 1865 di Flandrin, l'ultimo dei suoi discepoli. Contemporaneamente declina la maniera elegantemente mondana di Wintherhalter e dei suoi seguaci -da Dubufe a Chaplin- che ha conosciuto grandi successi alla corte di Napoleone III negli anni 1850 e, pure capace di dispiegare gradevolezza e abilità, ha troppo spesso proposto figure dotate di un formalismo eccessivo, sullo sfondo di una stucchevole natura da atelier.

A ciò succede un gusto più libero, pronto a trascurare l'esecuzione troppo finita, a denunciare un partito preso "positivista" nella trascrizione del costume e dell'espressione, a posare uno sguardo indulgente sulla modernità. E' a questa pittura parigina alla moda, che i futuri impressionisti si affiancano e con essa iniziano a misurarsi. Si rivelano subito molto più radicali nel dispiegare una ricca serie di strategie pittoriche, tese a individuare con nettezza l'identità del mondo in cui vivono. E ciò in consonanza con un'idea di modernità, già designata da Baudelaire come ".il segreto di distillare dalla moda ciò che essa può contenere di poetico nella trama del quotidiano".

Le norme del ritratto si allargano, fino ad autorizzare la resa di figure tipiche o di scene d'insieme, nelle quali l'individuazione dei personaggi vale come garanzia di veridicità. Scompaiono le distinzioni fra i generi, tanto che diventa difficile assegnare ad alcuni dipinti un ruolo specifico, il ritratto di un individuo diventa tema pittorico, né si distingue da quello di un modello professionale, assunto per definire una figura della vita dell'epoca. Ad esempio Camille (1866, cat. n), ritratto della compagna di Monet è, al contempo, secondo un'affermazione dello stesso artista, un'immagine tipica del suo tempo. "E' la signora Monet, la mia prima moglie che ho utilizzato come modella, e nonostante non abbia avuto assolutamente l'intenzione di farne un ritratto, ma una figura parigina dell'epoca, la somiglianza è perfetta".

Ritratto e figura insieme, dunque, racchiusi in una elegante immagine di donna dipinta in toni verde bruni, fra Courbet e Manet, atteggiata come le protagoniste dei dipinti di Baudry o di Carolus-Duran. E, inoltre eseguita in una tela di grandi dimensioni, come si conviene ad un'opera destinata al Salon Analogamente Manet, verso il 1865, dipinge un whistleriano ritratto della moglie Suzanne, ma qualche anno più tardi aggiunge sullo sfondo il profilo di Léon Koella, figlio naturale di lei. Così il ritratto diviene La lettura e con questo titolo verrà poi esposto.

Anche La Famiglia Bellelli di Degas, pure in modo diverso, non è un semplice ritratto di gruppo, ma secondo un'affermazione dello stesso artista, "un quadro", nel quale, come dirà Paul Jamot, si individua" quel gusto del dramma domestico, quella tendenza a scoprire un'amarezza nascosta nei personaggi… anche quando essi sembrano esserci presentati soltanto come ritratti". Si potrebbero citare tanti esempi, a testimoniare come il ritratto non sia più soltanto la riproduzione di una fisionomia o l'analisi di un carattere, ma l'istantanea di un essere umano in un quadro familiare o sociale, circondato da quelli che incidono sulla sua vita.

Il modello, non più fissato in una convenzione fuori dal tempo, è vivo nel mondo. Si afferma inoltre un particolare tipo di ritratto di gruppo en plein air o in interno, inaugurato da Manet con Musica alle Tuileries (1862), dipinto che raffigura, con la rapidità di un'istantanea, la Parigi intellettuale e mondana del II Impero. Baudelaire, la cui effigie compare, insieme ad altre nel quadro, ha definito "vero pittore colui che sa afferrare il lato epico della vita di ogni giorno e sa farci vedere quanto siamo grandi e poetici nelle nostre cravatte e nelle nostre scarpe verniciate" E Manet, con tecnica ellittica, eleva a documento di un'epoca ciò che fino allora era stato soggetto di illustrazioni di periodici e di incisioni popolari.

Giovani come Bazille, Monet, Renoir, scoprono la novità di un dipinto che, più ancora della famosa Colazione sull'erba (1863), è all'origine del movimento che si è deciso poi di chiamare "impressionismo". Da un lato, sulla scorta dell'esperienza di Courbet, si vuole fondere la pittura di figura e la pittura di paesaggio nel contesto della vita moderna, dall'altro si documentano, con tono grande, episodi della quotidianità, attribuendo loro il ruolo fino ad allora assegnato alla pittura di storia. I primi successi e le prime discriminazioni, sono vissute dai giovani artisti in un'altalena di entusiasmo e di delusione.

Accade che una volta le loro opere vengano accolte al Salon, al cui standard cercano di conformare alcuni aspettì, se non lo spirito, dei loro dipinti, ma la volta successiva vengano respinte. Ciò è destinato a fomentare una ribellione verso le strutture ufficiali, che sfocerà nella mostra indipendente presso Nadar nel 1874. Naturalmente non ci si riferisce ad un gruppo unitario, ma a personalità che, pure analizzate alla luce di intenti comuni, rivelano differenze significative.

Ma tutti, ad esclusione di Sisley, affrontano il ritratto la figura, la scena d'interno o en plein air con spirito innovatore e senza porsi vincoli o limitazioni di generi. Afferma Zola nel suo resoconto sul Salon del 1868 " sono pittori che amano il loro tempo …cercano prima di tutto di penetrare il senso esatto delle cose.. Le loro opere sono vive perché le hanno prese nella vita e le hanno dipinte con tutto l'amore che provano per i soggetti moderni".

Non bisogna dimenticare però che la rappresentazione degli esseri umani e del loro associarsi ad opera di artisti che non sono semplici trascrittori della cronaca, ma compiono, nella evoluzione della loro esperienza, una fondamentale rivoluzione nel corpo della pittura occidentale, individuando un nuovo linguaggio inteso come valore in sé (con tutte le conseguenze che avrà per gli sviluppi dell'arte futura), può generare qualche equivoco. In particolare se si pensa alla loro opera in termini di processo esclusivamente ridotto al rapporto con la realtà. Se alcuni di loro coltivano esigenze più specificamente narrative, altri perseguono scopi che le travalicano.

Comunque, tutti accolgono le ragioni di un genere, ma ne reinventano, ciascuno con il suo linguaggio, il carattere, configurando in modo nuovo l'identità del mondo che li circonda. Fino ad allora il ritratto, diversamente dal paesaggio, non ha raggiunto il cuore dei dibattiti estetici, lo stesso Ingres, che pure è stato grandissimo ritrattista, ha definito quell'attività come un mezzo per guadagnarsi da vivere e potersi dedicare alla pittura di storia. Un giudizio che riflette la sua volontà di dissociarsi dal gran numero di dipinti scadenti presenti al Salon, fenomeno da collegare alla vanità dei borghesi, disinteressati nei confronti dell'arte, ma sospinti unicamente dal desiderio di celebrare la propria presenza nel mondo.

Il problema che si pone l'artista innovatore non è semplicemente di sottrarre il ritratto alle angustie di un genere, ma anche di rinnovare le convenzioni della posa, storicamente legata al decoro. La posa costituisce un indizio chiaro dell'identità e del rango sociale del modello, la tradizione del ritratto la vuole degna, cioè moralmente e esteriormente corretta Un codice frequentemente trasgredito dai protagonisti della "Nouvelle Peinture". Bazille rappresenta Renoir con i piedi su una seggiola e la testa di profilo, riprende Monet dopo un incidente, a letto, con la gamba rigida, Renoir ritrae Monet, con una barba ispida, un cappello in testa, la pipa fra i denti nell'atto di leggere un giornale spiegazzato. Manet dipinge Nina de Callias, personalità di punta del cenacolo artistico e intellettuale parigino sdraiata su un divano contro uno sfondo di ventagli giapponesi, mentre si volge allo spettatore con aria complice ed ironica.

E Degas ritrae Eugène Manet, fratello del pittore, disteso con noncuranza su un prato, segnando una sorprendente rottura rispetto al contesto abituale, un assoluto disinteresse per i codici che hanno regolato fino a quel momento la rappresentazione della buona società. Animati dalla volontà di testimoniare la loro identità di vedute con gli individui presi a modello, gli artisti dipingono ritratti-manifesto, come quello di Zola ad opera di Manet (1867), omaggio allo scrittore che ha sostenuto pubblicamente la sua opera, ma anche pretesto per la dimostrazione delle sue idee. Dato confermato dallo stesso Zola nella descrizione delle sedute di posa " guardavo l'artista chino sulla tela, il viso teso, l'occhio chiaro… mi aveva dimenticato, non sapeva più che ero là, mi dipingeva come avrebbe dipinto una qualunque "bête humaine".

Ciò coincide con l'intento più vero di Manet, che costruisce l'identità del suo modello con assoluta attenzione a valori della superficie e della forma. Altrove i pittori dipingono quanti, legati alla loro esperienza diretta, ispirano loro stima, affetto, solidarietà, amicizia, dando alle loro composizioni un'aria domestica e familiare, inserendo immagini di congiunti e di amici anche in monumentali testimonianze della vita moderna. Se scuole e accademie denunciano, la necessità di sottrarre il ritratto alla pericolosa contaminazione del quotidiano, tale posizione è destinata a tramontare. I critici progressisti insistono anzi sulla impossibilità di scinderlo dalla rappresentazione della vita contemporanea, incitano gli artisti a non occuparsi soltanto di dignitari e di personaggi pubblici, ma ad allargare lo sguardo verso una più vasta tipologia umana.

Proprio a causa del suo mestiere, il ritrattista non può evitare di comunicare direttamente con la parte più viva della società. E inoltre deve liberarsi da una dipendenza servile alla tradizione. Zola nel suo Salon del 1875, riconosce il ritratto quale fondamentale contributo alla rigenerazione dell'arte contemporanea, ma insiste ancora sulla mediocrità e sulla insincerità della gran parte dei pittori dell'epoca "I ritratti, questi dipinti della vita di ogni giorno, dovrebbero , per il loro stesso carattere, rappresentare la modernità. Ma ciò non è. Beninteso, i modelli sono presi dalla vita, ma quasi sempre l'artista mira ad imitare una qualche scuola….. invece di rappresentare sinceramente l'individuo che posa di fronte a lui".

L'estetica naturalista concede dunque un ruolo privilegiato al ritratto, incita il pittore a trovare un contatto diretto con la vita. E Edmond Duranty nel 1876, nel celebre scritto che, ispirandosi a Degas, esce in concomitanza con la seconda esposizione impressionista, afferma "ciò che ci occorre è il segno distintivo dell'individuo moderno, con il suo abito, nel mezzo delle sue consuetudini sociali, in casa come in strada…Con una schiena vogliamo che si riveli un temperamento, un'età, uno stato sociale; con un paio di mani dobbiamo esprimere un magistrato o un commerciante, con un gesto tutta una serie di sentimenti. La fisionomia ci dirà all'istante se questo è un uomo ordinato, asciutto e meticoloso, e quell'altro è l'incuria e il disordine in persona. L'andatura ci insegnerà che quel personaggio va ad un appuntamento di affari, che quell'altro ritorna da un appuntamento d'amore".

E aggiunge "la prima idea è stata di togliere la barriera che separa l'atelier dalla vita comune, ..bisognava far uscire il pittore dal suo guscio, dal suo chiostro, in cui egli è in relazione solo con il cielo, e ricondurlo tra gli uomini nel mondo" Quattro anni dopo, J.K. Huysmans reitera le raccomandazioni: "si dovrebbe dipingere la persona che si ritrae, nel suo ambiente, nella strada, in una inquadratura reale, dovunque tranne che al centro di uno sfondo inerte di colori vuoti". Tranne alcune eccezioni, i ritratti impressionisti non hanno nulla di ufficiale, per cui è necessario, come dirà Ephrussy, "fare in modo che le figure siano inseparabili da ciò che le circonda, che ne siano come il risultato…e che per gustare l'opera sia necessario abbracciarla nella sua interezza".

All'esposizione impressionista del 1879 Degas espone dieci ritratti, fra i quali le immagini di Edmond Duranty e di Diego Martelli, due intellettuali che difendono nei loro scritti il suo operare. Esse rispondono perfettamente ai principi enunciati, evocano l'intimità dell'uomo con il luogo in cui vive, il tratto speciale impresso su di lui dalla sua professione. Entrambi sono colti dall'alto, ma il primo emerge dai libri, disposti in ordine sugli scaffali e sulla scrivania, insieme alle carte; le due dita appoggiate alla testa, all'altezza degli occhi, sembrano mettere in evidenza l'atto del pensare e quello del vedere. Nell'immagine di Martelli sono sottolineate la corpulenza e le rotondità del modello, colto in maniche di camicia, in atteggiamento contemplativo, con intorno carte sparse e oggetti in disordine.

Ogni elemento è utilizzato per illuminare le specifiche individualità e le differenze fra i due. L'autoritratto, quel confronto esclusivo che pone l'individuo di fronte a sé, con tutto il carico di turbamenti e di introspezioni, che è stato fra le prove predilette del giovane Degas quando si ispira ancora a Ingres, perde terreno (dopo essersi raffigurato in tutte le fogge, egli si rappresenta un'ultima volta in compagina dell'amico Valernes nel 1865). La ricchezza e la varietà delle figure consente di attribuire allo stesso modello un'infinità di vite possibili; nasce la stanchezza della iterazione senza fine dello stesso motivo, si afferma il desiderio di volgersi verso gli altri, di affrontare una pittura capace di registrare il rischio degli incontri, la fugacità del tempo, l'istante, di fissare sulla tela la realtà di un momento. La figura consente agevolmente una esplorazione rapida del mondo circostante, lo stesso modello può interpretare i ruoli più diversi; il pittore convoca l'universo presso di sé, mette in piedi una vera e propria commedia umana.

 


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