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La storia di mia moglie



Francesco Roat




Milán Füst, La storia di mia moglie, Adelphi, pp.415, euro 18,00.

"Che mia moglie mi tradisse lo sospettavo da un pezzo". Inizia così, venendo senza tanti preamboli al cuore della vicenda, La storia di mia moglie dell'ungherese Milán Füst: scrittore fra i più originali e innovativi nel panorama letterario magiaro del secolo appena trascorso. Si tratta di un romanzo divertente, vivace e scorrevole nonostante la mole delle sue oltre quattrocento pagine, ma che comportò per l'autore un impegno di stesura davvero lungo: ben sette anni trascorsi in totale isolamento. E sembra davvero incredibile che alle spalle di questa narrazione così briosa e solare (nonostante essa sveli al lettore attento fugaci tracce d'inquietudine), contrassegnata dalla continua presenza di un protagonista amante della vita ed estroverso, specie con le donne - quantunque egli ami definirsi solitario e scorbutico - vi sia stato per Füst il travaglio d'una così annosa e claustrofobica reclusione/esclusione rispetto all'umano consorzio.

Ma veniamo alla storia, che è senz'altro una storia d'amore fra due coniugi peraltro assai dissimili fra loro. Lei minuscola, delicata e gentile; lui massiccio, sanguigno e brusco. Lei sempre sorridente e chiacchierona; lui serio e taciturno. Ma soprattutto: lei aperta e tollerante; lui diffidente e gelosissimo fino alla paranoia. Questo è infatti il tratto distintivo del capitano di lungo corso Jacques Stoerr: un attaccamento alla sua Lizzy segnato in modo ossessivo dal sospetto, anzi dalla certezza dell'infedeltà della moglie, "ragazza francese molto civettuola" che "guazzava nell'allegria come un maialino". Un'ossessione che tuttavia non fa mai perdere al corpulento lupo di mare la voglia di vivere e soprattutto di correre dietro alle sottane pur non smettendo mai di amare la consorte. Del resto in un momento di rara lucidità egli giunge persino ad ammettere senza mezzi termini: "Né è escluso che mia moglie fosse effettivamente innocente".

Sebbene, qualora d'un barlume di vera consapevolezza si tratti, essa è certo passeggera o vana, come i reiterati tentativi di razionalizzazione che il protagonista mette in atto per liberarsi da una gelosia probabilmente ingenerosa (nemmeno a fine libro ci è dato sapere se Lizzy sia stata fedifraga sul serio). Vi è dunque in Stoerr un rimuginare continuo, pari solo al suo insaziabile appetito. Più volte - come un Leitmotiv - egli crede di aver individuato la causa di tutte le sue "disgrazie" in questo o quell'evento; ma ogni volta il lettore s'accorge ben presto che non è così. Però risulta simpatica questa idea di illuminare razionalmente le proprie sragioni nell'illusione di fugarle da parte di chi, per tutto il romanzo, non riesce ad avere la minima cognizione dei propri vissuti, né è mai comunque in grado di trarre qualche insegnamento dalle esperienze fatte.

Sì, perché il nostro capitano non conosce bussola per orientarsi nel mare tempestoso delle passioni in cui naufraga più o meno ad ogni pagina: siano esse caratterizzate dalla smodata attrazione il cibo, l'alcool, le belle femmine o anche solo i viaggi avventurosi transoceanici. "Il mondo è meraviglioso! Il mondo vuole risplendere, le donne soprattutto vogliono risplendere!" proclama estasiato Stoerr, ebbro di gioia; eppure questo suo canto in lode delle donne e della vita talvolta si incrina strozzandosi in un afono grido di dolore per la tristezza dell'esistere. E' la fase depressiva che segue quella maniacale, intessuta di affari strampalati, eccessi, amorazzi e puntate notturne in bettole di porti. Tra le quali trova spazio il continuo alternarsi di discordie/riappacificazioni, di sconforti/idilli coniugali con la solita Lizzy. Infine la rottura che separa, all'apparenza definitivamente, i due sposi, il cammino dei quali non si incrocerà più, se non in modo assolutamente imprevedibile e surreale.

La storia di mia moglie però non racconta solo le dis-avventure di una coppia: ci sono cento e cento altre micronarrazioni in questo libro dal tono scanzonato e agrodolce, accattivante anche per gli snodi (o i nodi) inaspettati di una trama variegata per la miriade di eccentrici personaggi e situazioni; per la freschezza di una scrittura da grande affabulatore: oltremodo ironica, gioiosa e scoppiettante, quantunque attraversata quasi in filigrana da una sottile vena malinconica. Forse anche perché nonostante gli amori più intensi, come confessa con lieve amarezza Stoerr, tutti quanti "siamo sempre fatalmente, definitivamente soli".

 


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