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Boncinelli, Lehmann
e Amato rispondono



Corrado Ocone




Hans Magnus Enzensberger non è solamente uno dei più importanti scrittori europei viventi: è qualcosa di più e qualcosa di diverso. E non solo perché da tempo ci ha abituato a sconfinamenti non di privi di efficacia nel campo della saggistica, ma perché, così facendo, è diventato una figura quasi paradigmatica, l'idealtipo vivente se si può dire, di un certo modo di essere e di stare in modo intellettualmente impegnato (a sinistra e da sinistra) nel dibattito pubblico. Ne consegue da una parte la sua "inattualità" patente in un mondo che non è più quello delle battaglie radicali degli anni Sessanta e Settanta; dall'altro la necessità, per tutti noi, di tenere comunque nella debita e necessaria considerazione le prese di posizione di questa sorta di monumento vivente della nostra cultura.

Enzensberger fa ora incursione, con tutto il suo armamentario concettuale di uomo moderno e tipicamente progressista, nel mondo postmoderno, cioè senza centro e senza facili certezze, delle avanzate e avveniristiche ricerche biomediche. E concepisce un pamphlet saggistico - politico su Gli elisir della scienza, che, dopo il fortunato volume sulla matematica di due anni fa, è destinato ancora una volta a spiazzare un po' coloro che con fedeltà o attenzione lo seguono ormai da anni. Per parlare non tanto del suo libro, ma più profondamente di un tema che gli sta a cuore e che è ora al centro dei suoi pensieri, lo scrittore tedesco è venuto in questi giorni a Roma, ospite del Goethe Institut e della rivista "Reset" diretta da Giancarlo Bosetti. E ha avuto fra l'altro modo di esporre le sue tesi in un affollato incontro, seguito da un lungo e interessante dibattito, significativamente intitolato: L'umanità di fronte alle promesse delle biotecnologie. Le scelte della scienza e della società tra speranze, utopie e rischi.

Sono temi quelli affrontati dall'odierno dibattito che, pur riguardando da vicino le nostre vite, sono di non sempre facile comprensione per i non addetti ai lavori (cioè per tutti noi). E che sono comunque composti di aspetti che, seppure intrecciati, sono strutturalmente diversi tra loro: vanno dalla biologia della riproduzione, cioè dalla fecondazione assistita ai vari tipi di clonazione possibile, alle tecniche migliorative del carattere offerte dalle neuroscienze, fino all'eutanasia. In ogni caso, se si potesse ancora oggi e anche su questi temi fare riferimento alla classica distinzione di Umberto Eco fra apocalittici e integrati, con non molti dubbi si potrebbe dire che Enzensberger sta nel primo campo.

Seguendo il suo ragionamento, così come è stato esplicitato con indubbia chiarezza e capacità sintetica nel dibattito romano, si potrebbe dire che lo scrittore tedesco teme che l'umano desiderio di utopia possa congiungersi a livello sociale con il desiderio di onnipotenza di scienziati sempre più sciamani e sempre meno sobri e razionali. E che, come passo solo logicamente successivo, gli interessi di controllo e di potere dei politici e delle classi dirigenti transnazionali possano trovare in questa saldatura un terreno fertile per l'esplicarsi della loro inesausta volontà di potenza. Non è un caso, osserva Enzensberger, che le direzioni della ricerca siano sempre più orientate e persino determinate, attraverso lo spostamento di ingenti investimenti, dalle esigenze del grande capitale e dell'industria delle multinazionali. La scienza, da classico strumento illuministico di emancipazione e liberazione dai poteri tradizionali e costituiti, sta perciò diventando un momento dell'ingranaggio di controllo e del sistema di potere sopranazionale che si va creando. Lo scienziato, da esempio vivente dello spirito critico e della libertà di ricerca, da figura cioè tradizionalmente critica dei poteri e fautore del metodo del "disinteresse" e dell' "obiettività", si configura ora come un "golpista" da laboratorio, un utopista a buon mercato. Scomparse le ideologie, le esigenze millenaristiche che vi erano associate potrebbero trasfigurarsi e diventare, nel nuovo contesto, null'altro che un insieme funzionale alla creazione del consenso e quindi del controllo sociale. Si potrebbe dire che nello smascheramento di questo tentativo di saldatura in atto Enzensberger individua il nuovo tema di un impegno libertario in verità mai dismesso o archiviato.

La parte dell'integrato (o, se credete, dell'ottimista) la ha invece svolta, nel dibattito romano, Edoardo Boncinelli, scienziato impegnato sul campo della biologia molecolare e della genetica applicata da più di trenta anni, attualmente direttore della SISSA ( Scuola Internazionale di Studi Avanzati)di Trieste. Boncinelli ha rovesciato il ragionamento di Enzensberger.

Non solo lo scienziato non è certo oggi parte del potere, ma, a ben vedere, egli si trova, generalmente parlando, sempre più solo di fronte a un insieme eterogeneo e variegato di forze che si sono coalizzate contro la sua libertà. La scienza non ha abdicato al suo compito: continua a lottare contro le forze delle reazione, anche se ora fra queste ultime non c'è solo la Chiesa cattolica ma anche, ad esempio, buona parte dell'intelligentzia di sinistra. Fra le righe, ma nemmeno troppo, non passa inosservata la qualifica di reazionari che Boncinelli affibia sia a Enzensberger sia a Habermas. Il problema è, secondo lui, quello di fare chiarezza, di distinguere, di non ridurre tutto a tifo sportivo (favorevoli e contrari) o a liti da bar. In prima istanza, pur senza credere troppo nelle previsioni (che, come diceva Niels Bohr, sono difficili quando riguardano il futuro, cioè sempre), occorre scandire i tempi. La clonazione umana non è affatto dietro l'angolo. E, quando pure sarà possibile, plausibilmente fra una trentina di anni, essa riguarderà solo alcune caratteristiche e comunque non potrà creare per principio individui fotocopia come il nostro drogato meccanismo mediatico continua a far credere.

D'altronde, la stessa "natura" provvede da par suo a sfornare ogni anno migliaia di gemelli omozigoti, individui simili in modo tecnicamente ineguagliabile. Fra trent'anni sorgerà sì, per l'appunto, un problema politico, morale e sociale, ma non sarà certo quello di poter duplicare Giuliano Amato o Pippo Baudo (dei cui doppi in verità non sapremmo cosa farcene). Piuttosto bisognerà di capire chi decide e secondo quali norme in merito agli interventi migliorativi sul genoma umano (cioè non semplicemente terapeutici o negativi, ma in grado di indurre in modo positivo determinate caratteristiche sia fisiche sia morali). Un problema politico nel quale è di sicuro è insito un pericolo. Ma la scienza procede sempre in questo modo: ogni scenario va politicamente interpretato e può costituire a seconda, delle risposte sociali che si danno, un pericolo o un'opportunità (come dimenticare, ad esempio, che grazie alla scienza la vita media nelle nostre società avanzate è sensibilmente aumentata?).

Con il Cardinale Karl Lehmann, che forse Boncinelli non esiterebbe a includere con Enzensberger (il diavolo e l'acqua santa) nella categoria dei reazionari, il dibattito di "Reset" ha fatto un salto. Potremmo dire, sia verso l'alto sia verso il basso. Intendendo per alto il mondo etereo e indimostrato (perché indimostrabile) della metafisica cristiana e per basso le concrete scelte e la responsabilità (e libertà) di ogni umano. Scelte, queste ultime, non dello scienziato ma del cittadino in carne e ossa considerato, di colui cioè la cui vita dalle biotecnologie sarà ed è già sempre più trasformata. Di concretezza se ne sentiva l'esigenza dopo i discorsi di scenario di Enzensberger e Boncinelli: intenti a parlare di Scienza, Utopia, Libertà e Reazione, dimentichi di questo povero individuo solitario e globale del tempo che viviamo. Eppure, ciò che da una parte mette, dall'altra toglie il Cardinale Lehmann, che della Conferenza episcopale tedesca è l'autorevole presidente.

Per lui il dato di partenza e di arrivo, il presupposto indimostrabile ma non trattabile, è quello dell'indisponibilità della vita umana. Indisponibile per il semplice fatto che non ci appartiene. E indisponibile a ogni livello: in punto di morte, così come al livello degli embrioni in soprannumero che, come una sorta di non voluto esubero, continuiamo a produrre e al congelare nel mentre pratichiamo quella che con eufemismo chiamiamo "procreazione assistita". Il concetto della dignità della vita umana, che sulla sua non disponibilità è per i cattolici fondata, entra nel concreto delle scelte individuali, ma vi impone restrizioni non altrimenti sorpassabili. "Non è lecito fare tutto ciò che è possibile", dice Lehmann. Tuttavia la sua liceità non è fondata sull'etica laica della responsabilità (che, comunque, in casi di confine e complicati come questi non è facilmente individuabile), ma in inattuale ma a suo modo rassicurante etica della convinzione di tipo classico.

La voce laica, ma non disattenta alla sensibilità cristiana, di Giuliano Amato ha forse scombinato gli schemi fin troppo facili della serata. Ha dimostrato infatti che si può essere fautori della libertà della ricerca senza trascurare le domande radicali o morali; che si può essere di sinistra, ma senza arroccarsi in un atteggiamento di chiusura e di rimpianto (un atteggiamento in verità più che di sinistra da pigrizia indotta).

Del discorso di Enzensberger Amato ha condiviso la seconda parte, tutta improntata al discorso dei limiti della scienza. Mentre ha rigettato la prima sul rapporto ultimamente instauratosi, a detta del tedesco, fra scienza e utopia. Affidare alla scienza le speranze (non sempre utopiche) di un futuro migliore, ha osservato il Dottor Sottile, non viene dopo le religioni e le ideologie, ma è qualcosa di insito nella nostra storia. Il bisogno di ridurre l'ignoto (si pensi a Ulisse) e quello di migliorare il mondo (non è vero che la gente non si è accorta del fatto che la vita media si è allungata) sono nella nostra tradizione, anche se incombe sempre il rischio della hybris o di credersi onnipotenti. C'è tuttavia un problema di correttezza dell'informazione tipico dei nostri giorni: i messaggi sono spesso distorti e deformati dai media. Persino il titolo di un libro serio come l'ultimo di Habermas è stato modificato in modo che i rischi dell'eugenetica sono diventati tout court i rischi della genetica liberale (come la chiama il grande pensatore tedesco, alludendo in verità al solo liberalismo di mercato).

Quanto al problema dei limiti, Amato concorda, come dicevo, con Enzensberger. Essi, tuttavia, non riguardano solamente gli scienziati e i religiosi, ma tutti gli uomini di buona volontà. Ogni scelta umana è morale in quanto io che la compio devo pormi il problema del limite, di ciò che in conseguenza della mia azione può accadere agli altri. Il principio del rispetto umano è l'unico postulato non contrattabile: una sorta di Grundnorme della vita, l' "etica naturale" di Kant. Io non posso disporre degli altri, devo rispettarli come rispetto me stesso. Ciò significa che io non posso programmare il destino altrui, come avviene in alcune fictions di fantascienza (una forma d'arte che recepisce sempre più tematiche filosofiche) tipo Minority report. Una quota di casualità, come quella connessa alla nostra nascita, è necessaria alla nostra umanità e libertà.

Amato ha anche avvertito che c'è una profonda differenza fra etica individuale e collettiva (scelte umanamente comprensibili in sede di trapianti possono, ad esempio, dar vita a un insulso mercato degli organi) e che la democrazia non è per sua natura migliore della Chiesa che inquisì Galileo (la dittatura della maggioranza è sempre in agguato e potrebbe condannare scelte di libertà ma di minoranza). Ha poi concluso con un richiamo al legislatore: difficile compito il suo: sia per motivi oggettivi (la rapidità dei progressi scientifici e la complessità tecnica dei problemi affrontati), sia per la non riducibilità delle morali individuali nel nostro mondo plurale. Eppure, anche i piccoli interventi e i piccoli passi avanti servono. Essi sono, anzi, sono la più parte dell'esiguo (perché privo di certezze) bagaglio del laico.

 


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