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Quale modello governativo per l'Europa unita?



Paolo Ercolani




Un primo, quasi incredibile, risultato la non ancora politicamente unita Europa l'ha ottenuto: ha messo d'accordo, almeno in sede teorica, centrodestra e centrosinistra. Nella fattispecie rappresentati da Gianfranco Fini e Giuliano Amato, le due personalità più importanti del nostro Paese presso la Convenzione di Bruxelles. I due, infatti, martedì 11 febbraio presso la sala del tempio di Adriano a Roma, hanno partecipato al seminario organizzato dalla Fondazione Roma Europea (presieduta da Giuseppe De Rita, che ha fatto gli onori di casa, ndr.) insieme ad alcuni dei più importanti intellettuali e studiosi italiani: Angelo Maria Petroni, Stefano Rodotà, Pietro Scoppola, Sabino Cassese, Giovanni Lobrano fra gli altri.

La provocazione, nonché il tema portante e il messaggio della Fondazione organizzatrice, l'aveva lanciata lo stesso Giuseppe De Rita in apertura dei lavori: "Il timore che vorremmo scongiurare - ha affermato - è quello che si disegni una carta costituzionale che delineerà un Europa unita alla stregua di un super-Stato centralizzato, fagocitante le singole identità nazionali e, soprattutto, con meccanismi di burocratizzazione dall'alto che irrigidiscano il libero mercato. A fronte di ciò, ci sembra opportuno richiamare la storia e la cultura di cui Roma è portatrice, le quali spingono nella direzione di un modello federativo che consentirebbe di costruire un'Europa meno chiusa dentro i propri confini "nazionali", che possa ritagliarsi un ruolo di soggetto politico-economico centrale per il confronto - e non lo scontro - fra le civiltà".

De Rita, in questo ambito, si è richiamato alla tradizione liberale classica antistatalista e, seppur non citandolo espressamente, ai timori inglesi riassunti dalla parole di Blair di qualche tempo fa: "Not a super state but many several powers!", aveva tuonato il premier di quell'Inghilterra tradizionalmente così gelosa della propria identità nazionale e restia a confluire in un Europa che la depotenzi. La querelle è ormai un classico per gli addetti ai lavori: quale modello governativo per la futura Europa unita?

Un federalismo sul modello degli Stati Uniti (i many several powers di cui sopra), oppure una confederazione sul modello tedesco ed Europeo in genere, più storicamente legato alla tradizione del governo centrale? Concorde con i timori di Roma Europea si è detto, fedele alla sua posizione liberale, il prof. Angelo Maria Petroni, il quale ha sottolineato l'importanza di "evitare una verticalizzazione dell'organizzazione del potere nella futura Europa, a fronte di una orizzontalità della struttura istituzionale che consentirà maggiore libertà ai singoli governi e un terreno più fertile per lo svolgersi del libero mercato".

Di parere diverso il prof. Stefano Rodotà, il quale prima ha ricordato la centralità del Consiglio europeo tenutosi nel '99, che aveva superato il modello di costruzione intergovernativa dell'Europa per dare vita a una struttura più centralizzata (che poi sarebbe divenuta l'attuale Convenzione europea, presieduta da Giscard d'Estain), poi ha sottolineato un aspetto rilevante: "Non possiamo non ammettere che l'unità europea, fino a questo momento, è stata quasi esclusivamente un'unità economica, fondata sul mercato e sulla moneta unici. Se vogliamo costruire davvero un'Europa politicamente unita - ha detto Rodotà - non possiamo fare a meno di una struttura centrale, in cui sì convivano i governi nazionali (che sia quindi espressione anche dei vari parlamenti), ma che sia anche sufficientemente autonoma per divenire espressione di una politica estera unitaria e decisa". Ovviamente il pensiero di tutti i partecipanti al seminario è corso all'Iraq e alla recente spaccatura in seno alla Nato e all'Europa, sull'appoggio o meno alla politica di guerra statunitense: un evento che ha lasciato il segno e che, se mai ce ne fosse bisogno, ha messo in evidenza tutti i limiti di una ancora lontana unità politica dell'Europa.

Alla fine del seminario, abbastanza inatteso, il colpo di scena con gli interventi dei due protagonisti: Giuliano Amato (vice presidente della Convenzione) e Gianfranco Fini (esponente ufficiale del governo italiano alla Convenzione medesima). Prima Amato ha rigettato l'impostazione data da De Rita: "L'idea che stiamo costruendo un super-Stato terrorizza Toni Blair e il Daily Telegraph, ma è assolutamente immotivata e ingiustificata qui in Italia. La sovranità e le competenze degli stati non sono in discussione e non lo saranno mai, mentre anzi appare indispensabile proprio in questi giorni la costruzione di una politica unitaria e decisa sulle grandi questioni internazionali. Lo ripeto, non c'è alcun rischio di super-Stato europeo, anzi, per ora assistiamo a una totale assenza di un governo europeo unitario e coeso. La vicenda Iraq insegna, e se corriamo dietro ai timori interessati di Blair & C. non facciamo certo gli interessi dell'Europa".

"Sono assolutamente d'accordo con Amato - ha tenuto a precisare Gianfranco Fini, non senza suscitare sguardi sorpresi fra gli astanti - tanto che penso che stiamo vivendo un momento storico, in cui la Convenzione può davvero dare vita a una cittadinanza europea che ci unisca tutti per essere più forti di fronte alle sfide della globalizzazione. L'unità europea va costruita con impegno, perché quasi nulla ci unisce a priori: non certo la lingua, non le molteplici culture nazionali, mentre non dobbiamo dimenticare che l'Europa, nel secolo trascorso, è stata il centro e l'origine di due conflitti mondiali. La Convenzione può costruire un demos europeo e, a tal proposito, penso sia un errore non codificare quello che veramente ci unisce come cittadini europei: la religione giudaico-cristiana".

I lavori stavano ormai giungendo al termine perché i relatori potessero iniziare un dibattito anche su questo tema scottante (che riguarda la laicità delle istituzioni, in primo luogo), ma è certo che il discorso non è finito lì. Anche perché dal primo maggio del 2004 l'Europa sarà composta da 25 paesi, fattore che nessuno degli studiosi ha rubricato fra quelli che potranno rendere le cose più agevoli.

 


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