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Una questione di geopolitica?



Francesco Tampoia




Da qualche mese, da quando Valery Giscard d'Estang affermò che se la Turchia fosse entrata nell'Unione Europea questa si sarebbe sfasciata, è riesploso più acceso, vivace, controverso il dibattito su questo delicato tema. Se ne parlò nel 1999 quando il Consiglio Europeo riunito a Helsinki riconobbe alla Turchia le precondizioni di una sua candidatura per entrare nell'Unione. Se ne è occupato diffusamente, a Dicembre scorso, l'Economist che, tra l'altro, metteva avanti, con disinvoltura, la convenienza militare e strategica dell'entrata della Turchia nell'Unione. Negli stessi giorni Romano Prodi ripeteva l'invito a integrare di più l'attuale Europa, ad approfondire, più che in passato, il discorso dell'identità europea.

Di sicuro, chiuso il negoziato per l'allargamento ai nuovi dieci partner, preme ritornare a parlare di geopolitica dell'Europa, in vista di ulteriori, anche se lontani, futuri allargamenti.

L'attualità della questione geografica.

Partendo ab ovo sappiamo che il termine Europa fu usato dai geografi antichi per designare l'estremità occidentale del continente asiatico. Pur avendo conoscenze incerte e approssimative, furono essi che sollevarono per primi la questione dei confini. In seguito fu posto l'interrogativo: se a Nord, a Ovest e a Sud il mare costituisce la frontiera naturale dell'Europa, qual è la frontiera a Est? Le steppe dell'attuale Russia, il paese degli Sciti nell'Antichità, il Bosforo e gli altipiani, che separano l'Anatolia dalle valli dell'Eufrate e del Tigri, sono zone indefinite, in cui l'Europa emerge dall'Asia. Il mito e la poesia ci dicono di questa relazione, del continuo scambio di donne tra l'Asia e l'Europa. Per una donna spartana i greci fecero guerra a Troia. Ci dicono che l'epicentro del Mediterraneo orientale, della civiltà greca e occidentale fu l'europea Creta, l'isola del minotauro, da cui discese la ninfa Europa.

Oggi questa indefinitezza ripropone la grande questione dell'appartenenza o meno allo spazio europeo della Turchia a Sud-est o della Russia a Est. I geografi antichi ritenevano che la frontiera tra l'Europa e l'Asia fosse costituita dal fiume Tanai - l'attuale Don - che sfocia nel Mare d'Azov, il che include la Bielorussia e l'Ucraina attuali, ma lambisce appena la Russia. In epoca moderna, con validi argomenti, si è sostenuto che la frontiera segue la zona assiale dei monti Urali a Est, il Caucaso a Sud, ancora più a Sud le valli del Tigri e dell'Eufrate, includendo, quindi, la Russia europea e l'attuale Turchia. Ma si tratta pur sempre di distinzioni geografiche più o meno arbitrarie a fronte di un problema che è essenzialmente politico.

Il fattore umano

Il periodo decisivo per la nascita e la prefigurazione dell'Europa è il Medioevo, meglio il basso Medioevo in cui si definisce la fisionomia geopolitica dell'Europa. Nella retrospettiva di una probabile costruzione europea, prima del secolo scorso, registriamo avanzamenti e arretramenti geopolitici, fasi di chiarimento e oscuramento della coscienza europea, conseguenza della divisione dell'Europa in nazioni chiuse in sé stesse. Scopriamo eredità che a poco a poco hanno costituito il patrimonio dell'Europa, come notò, all'indomani della prima guerra mondiale, P. Valery nei suoi noti "Saggi quasi politici", scrivendo che si possono chiamare "europei tutti i popoli che nel corso della storia hanno subìto tre tipi di influenza: quella di Roma, quella del Cristianesimo, quella greca".

J. Le Goff, a sua volta, ha ritrovato tra i principali lasciti dell'Antichità le lingue greche e soprattutto quelle latine, che costituiscono il nucleo più antico e più solido della cultura e del sapere europei. Vi ha aggiunto la filosofia, l'architettura, la scultura, il teatro e lo sport, lasciati come eredità dai Greci, il diritto e le arti liberali, in particolare la retorica, dai Romani, i diversi regimi alimentari e altro. Prima di lui Marc Bloch ha scritto: "L'Europa è nata quando l'Impero è crollato" e Lucien Febvre, riprendendo la stessa frase, ha aggiunto: "Diciamo piuttosto che l'Europa diventa una possibilità nel momento in cui l'Impero si disgrega". In altri termini ciò che rese possibile l'Europa fu che la parte occidentale dell'Impero si separò dalla parte orientale, e che questa parte occidentale si aprì ai popoli Rbarbari' del Nord e dell'Est - Celti, Germani e più tardi Slavi - per dar vita a quei popoli meticciati che sarebbero poi divenuti gli Europei.

Indubbiamente contribuì all'ideale europeo il fatto che tutti i suoi abitanti si convertissero gradualmente al cristianesimo, che fornì loro il cemento religioso, ideologico e culturale necessario alla realizzazione di un'unità di idee, di sentimenti e di pratiche. Ma l'Europa di oggi e di domani non può essere soltanto un'Europa cristiana, perché sin dal Medioevo l'Europa, a prezzo di lotte, guerre sante, errori ha acquisito ormai la libertà in materia di credo, e il convincimento che la fede religiosa, le fedi religiose possono coabitare con la laicità.

Spesso si dice che una identità collettiva si plasma attraverso fattori tanto interni quanto esterni. Nel caso dell'Europa un fattore esterno fu l'Islam, che nel giro di pochi decenni dall'Arabia, dall'Africa del Nord, prima latina, strappò all'Europa la penisola iberica, l'Italia meridionale. Una cronaca cristiana medievale, dopo la vittoria di Carlo Martello a Poitiers il 732, dice essersi trattato di una vittoria degli "Europei" sugli "Infedeli", dando prova che il termine "europeo" lungi dall'essere solo un'espressione geografica, esprimeva anche un sentimento religioso e culturale improntato a valori identitari. È anche vero che il cristianesimo occidentale-latino a sua volta si staccò dal cristianesimo orientale-greco. La rottura si consumò nel 1054, mentre l'evento più rilevante si ebbe alla fine del X secolo, con la conversione al cristianesimo greco-ortodosso di Vladimiro, principe di Kiev. A partire da Costantinopoli e da Kiev l'Europa orientale divenne cristiano-ortodossa.

A partire dall'anno Mille e fino alla metà del XIII secolo, una diffusa prosperità e un rilevante progresso coinvolsero più o meno tutte le regioni europee, comprese le regioni periferiche, contribuendo al rafforzamento di un comune sentimento europeo. A tale slancio è stato dato il nome di "prima rivoluzione europea'. Intenso fu sviluppo urbano, le città si accrebbero e moltiplicarono, con l'estensione di autonomie e di istituzioni consolidate e con i progressi dell'urbanesimo. Tra l'anno Mille e il XIII secolo un considerevole aumento demografico raddoppiò la popolazione europea; di conseguenza si dovettero ampliare le superfici destinate alle colture e introdurre perfezionamenti tecnici nei modi di lavorazione della terra, nei trasporti, nell'industria tessile e nella costruzione degli edifici e delle strade, dei mulini e delle imbarcazioni.

È bene, tuttavia, evitare di appiattirsi troppo sul passato, soprattutto remoto, perché l'Europa, come la intendiamo oggi, è una entità recente che si è definita appena dopo la Seconda guerra mondiale a opera di un gruppo ristretto di economisti e di uomini politici, il francese Jean Monnet, coadiuvato da un trio di democratici-cristiani rappresentato dal tedesco Konrad Adenauer, dall'italiano Alcide De Gasperi e dal francese Robert Schuman. Nonostante i progressi compiuti in questi decenni l'Europa deve ancora essere fatta, e il percorso non è certo rettilineo.

Passando all'età contemporanea e alla questione turca va ricordato che al successo della presa di Costantinopoli, il 1453, seguì un lento declino fino al termine del I primo conflitto mondiale, con il crollo dell'Impero ottomano.

Nel 1920 non era facile prevedere il destino di questo popolo. Quale territorio poteva restare turco nell'Anatolia rosicchiata da tutte le parti? Mentre i vincitori si stavano spartendo le spoglie dell'impero ottomano entra nella scena politica un uomo eccezionale, Mustafà Kemal Pascià. Questi convoca un'Asssemblea Nazionale il 23 Aprile 1920 che lo chiama rappresentante del popolo, Ataturk. Abolito il sultanato, salvato lo stato con il trattato di Losanna del 1923, l'Assemblea Nazionale proclama la repubblica con capitale Ankara, in segno di forte rottura con il passato, dà una nuova architettura allo stato, non più confessionale, con numerose riforme quali l'abolizione della poligamia, degli harem, del ripudio delle donne, il riconoscimento della parità tra uomo e donna, l'accettazione di molte norme di diritto europeo.

Tornando al quesito iniziale, siamo di fronte a un problema di confini fisici, geografici? Sembra di no. Le frontiere geopolitiche dell'Europa, poi, come ha scritto J. Derrida sembrano meno incerte di quelle geografiche se andiamo a riscoprire quelle spirituali: "intorno all'idea di filosofia, di ragione, di monoteismo, della memoria ebraica, greca, cristiana-cattolica, protestante, ortodossa, islamica, intorno a Gerusalemme, di una Gerusalemme a sua volta divisa, lacerata, intorno ad Atene, Roma, Mosca, Parigi, e bisogna dire: <>"(J. Derrida, Oggi l'Europa, Milano 1991, p.44).

Il dovere che si impone a noi europei è quello di assumere "il retaggio europeo, e unicamente europeo, di una idea di democrazia, ma anche di riconoscere che questa, così come l'idea di diritto internazionale, non è mai data, che il suo statuto non è neanche quello di un'idea regolativa in senso kantiano, ma è piuttosto qualcosa che resta da pensare e a venire".

L'accettazione della Turchia può lasciare perplessi i conservatori sotto l'aspetto ideologico, culturale, della identità, può e deve essere posta, invece, in un'ottica di apertura, di innovazione, di eventuale rischio.

 


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