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Qui ci vuole un board of governors



Pietro Farro




Vittorio Emiliani, Affondate la Rai, Garzanti, pp. 261, Euro 14

Ormai da alcuni anni, una delle principali preoccupazioni di ogni maggioranza politica sembra essere quella di occupare la Rai. Basta sfogliare i quotidiani dagli anni Ottanta ad oggi per rendersene conto. Del resto, il video è sempre più il luogo privilegiato dove la politica accade e si può tranquillamente affermare - come scriveva Furio Colombo in un suo saggio sul giornalismo - che "tutta la televisione italiana è politica, tutta la televisione italiana è commerciale, tutta la televisione proposta agli italiani è una televisione di eventi politici che accadono in diretta", gestita, però, secondo regole che non sono quelle della politica, ma quelle della televisione "nella sua versione commerciale". Tutto questo è ancora più vero dopo la vittoria elettorale di Berlusconi, che finisce per incarnare fisicamente la coincidenza di politica e televisione (pubblica e privata).

Come si è arrivati a questa situazione e come fare ad uscirne, è il tema centrale del libro di Vittorio Emiliani Affondate la Rai (Garzanti). Giornalista di vaglia, Emiliani ha fatto parte del Cda della Rai dal '98 al 2002, sotto la presidenza di Roberto Zaccaria. Il volume, documentatissimo, intreccia il racconto di quegli anni, delle difficoltà incontrate e dei successi raggiunti, all'analisi dei problemi strutturali dell'azienda.

Senza scendere in dettagli, i principali problemi della Rai secondo Emiliani sono due: il canone e l'assetto istituzionale. Il canone, dati alla mano, è il più basso e il più evaso d'Europa, situazione che inevitabilmente costringe la Rai a dipendere dagli ascolti e dai conseguenti introiti pubblicitari. Inutile lamentarsi della deriva commerciale della televisione pubblica se non si affronta il nodo di un robusto aumento del canone che porti l'Italia ai livelli degli altri paesi Europei (dove si va dai 285 euro dell'Islanda ai 110 della Francia).

Quanto agli assetti giuridici, la Rai è di proprietà di Rai Holding, società il cui unico azionista è il Ministero del Tesoro. Basterebbe questo a spiegare la sua cronica soggezione al mutare delle maggioranze politiche. Ma questo non è tutto, perché sulla Rai hanno voce in capitolo anche i presidenti delle Camere (che hanno il compito di nominare il Cda), il ministero delle Comunicazioni, la commissione di Vigilanza, l'Autorità garante per le comunicazioni, la commissione Infrastrutture della Camera e la Corte dei conti.

Per uscire da questo cul de sac Emiliani propone la creazione di una fondazione indipendente, sul tipo di quel che avviene in Gran Bretagna dove c'è un board of governors che "vigila su pluralismo, deontologia, qualità e diversità dei programmi, e allo stesso tempo difende la BBC dall'influenza diretta delle forze politiche, dei governi e delle loro maggioranze". Una buona soluzione che i governi dell'Ulivo, pur sollecitati, non hanno avuto la forza di attuare e che oggi non ci si può certo attendere da chi licenzia attori e giornalisti con una conferenza stampa.

 


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