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A Berlino la leggendaria Valie Export



Sara Fortuna





Lungo una strada affollata una donna giovane e bella porta a spasso un uomo al guinzaglio; la stessa donna seduta a gambe aperte in una tuta di pelle nera con un buco tra le gambe - ben visibili la vagina e i peli pubici - punta un revolver contro l'obiettivo; ancora la stessa donna in mezzo a una piazza invita i passanti a toccarle il seno nudo nascosto da una scatola che tiene attaccata al busto. Sono rimaste nell'immaginario collettivo le provocatorie performance dell'artista viennese Valie Export a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta e oggi Export, diventata una delle artiste più influenti del mondo (quest'anno farà parte della giuria della Biennale d'arte di Venezia), viene festeggiata dall'Accademia delle arti di Berlino con una grande mostra, Mediale Anagramme, che si concluderà il 9 marzo.


Assai azzeccata è la disposizione delle opere scelta dai curatori che intende sottolineare che Valie Export è anzitutto una artista mediale ("Multimedia e performance" è la disciplina che insegna all'Istituto d'arte di Colonia dal 1995) che ha raggiunto importanti risultati estetici e teorici nell'esplorare le potenzialità dei diversi media e delle loro interazioni. "Il mezzo non è il messaggio. O almeno è solo un messaggio", spiega l'artista in un attacco diretto al primo comandamento della teoria dei media con cui si apre anche il catalogo dell'esposizione.

Nella prima delle tre grandi sale troviamo video, documentari, fotografie, installazioni interamente dedicate a questo tema. In un video a tripla immagine "Dislocazioni aggiunte", documento dell'azione "Expanded Cinema", l'artista, con una cinepresa attaccata al petto e una alla schiena, riprende il paesaggio dentro cui si muove mentre un'altra cinepresa riprende lei: un video mette insieme i tre filmati documentando così le trasformazioni di prospettiva che ogni movimento anche minimo del corpo dell'artista produce sui due filmati.

In una serie di tre fotografie l'immagine in bianco e nero di un piede viene affiancata a un piede 'vero', a colori e poi questa foto viene di nuovo fotografata insieme a un altro piede 'vero': "Salto ontologico I, II, III" è il titolo dell'opera. L'idea che Export esplora infaticabilmente in tutti i lavori esposti nella prima sala è che il passaggio dall'uno all'altro medium produce uno scarto significativo nella rappresentazione prodotta ed è lì, in quella variazione simbolica, che va cercato il maggiore impatto estetico dell'arte.

Dopo questa iniziazione anche per i visitatori più sprovveduti le performance femministe ospitate nella seconda grande sale, oltre ad azioni e provocazioni politiche in spoglie che appaiono ormai un po' datate, si presentato soprattutto come opere artistiche accuratamente costruite dal punto di vista mediale. Ciò è vero anche per l'opera più dura dal punto di vista politico "Violazione - Tagli" del 1995 che denuncia la pratica delle mutilazioni femminili in Africa. Su un monitor si segue una ripresa della mutilazione compiuta senza anestesia su una bambina le cui urla disperate raggiungono qualsiasi punto dell'enorme sala (a questa si alternano efficaci momenti di silenzio e schermo bianco), nel secondo schermo si avvicendano decine di immagini di organi femminili che hanno subito l'infibulazione, ma una diapositiva torna con frequenza almeno doppia rispetto alle altre: è un'immagine enigmatica e tremenda, un pezzo di corpo senza più corpo, lo si direbbe piuttosto un oggetto tondo con due fori. Lo sguardo è ipnotizzato dal primo buco in alto e improvvisamente con un tuffo al cuore vede una cicatrice ripugnante. I visitatori sostano finché possono, e poi si allontanano rapidi con la faccia un po' contorta di chi ha ricevuto uno schiaffo inaspettato.

Avviandomi verso la terza sala mi stupisco che la sofisticata costruzione formale delle opere mediali di Valie Export coesista con un impegno politico altrettanto forte che dagli anni Sessanta evidentemente non si è mai attenuato. Ed ho la fortuna di avere una conferma inaspettata dall'artista stessa che sta finendo in quel momento una visita guidata in occasione dell'apertura dalla mostra. La cerco invano sommersa com'è da una folla di visitatori devoti. Solo alla fine ho l'apparizione deludente e straordinaria al tempo stesso: è una signora di sessantatre anni con un po' di pancia che poco o niente ricorda il corpo, nudo o vestito, che è stato parte centrale di tante sue opere: ad esempio della serie "Figurazioni corporee" in cui esso si fonde con paesaggi, zoccoli di edifici, angoli di strade, assumendo e sottolineando le curvature dell'ambiente.


E poi niente dell'abbigliamento, del trucco, della pettinatura e della tintura dei capelli farebbe pensare al posto eccezionale che Valie occupa oggi nel mondo dell'arte contemporanea. Mi viene in mente che l'artista è anche in questo coerente con il nome programmatico che si è scelto all'inizio della sua carriera: Valie Export, ossia esportatrice di valori, di trasformazioni, politiche e mediali al tempo stesso. Femminista radicale e creativa, è chiaro che Export rifugga quei modelli estetici statici e noiosi di bellezza femminile ancora così dominanti nel mondo mediale mediterraneo, italiano soprattutto, mi dico. Intanto lei, Valie Export, sta chiudendo la visita. Con voce del tutto priva di enfasi dice: "Nel salutarvi vi voglio ricordare che l'arte è anche politica, che può fare moltissimo per cambiare le cose, certo non miracoli, ma davvero può fare molto. Vorrei perciò invitare anche voi a dare un contributo a queste trasformazioni".

 

 


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