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Vita di paese



Dario Morelli




C'era una volta Carmela, un'anziana vedova che da svariati decenni viveva la sua lenta e modulare vita in un paese dell'entroterra siculo, perennemente irrorato di sole, lontano da ogni via di comunicazione, autosufficiente e fine a se stesso. Per Carmela il mondo era il paese, e la sua vita si svolgeva in un lungo stradone senza nome dove da secoli campeggiava placida la sua grande dimora. La casa dove viveva Carmela era stata costruita a metà della propria vita dal nonno Gaetano, la cui nascita si perde nella notte dei tempi, e da allora era rimasta immutata dentro e fuori.

Nello stradone di Carmela vivevano soltanto due persone, oltre a lei, entrambe donne, entrambe parenti, entrambe vecchissime e vedove. Una era la zia Concetta, donna placida e serena dedita all'uncinetto e alla preparazione di mediocri biscotti di pane. L'altra era Vincenzina, detta la Quercia per la sua proverbiale resistenza fisica e longevità. I rapporti fra la Quercia e Carmela erano sempre stati buoni: da decine e decine di anni le due andavano a trovarsi spesso nelle reciproche case, si raccontavano notizie dei parenti - tutti partiti e sistematisi in luoghi sconosciuti e lontanissimi dal paese - si prestavano le cose e prima o poi se le restituivano sempre, a volte anche a distanza di interi lustri.

Un giorno però, verso l'ora del tramonto, mentre le due anziane comari stavano sedute a non fare nulla davanti alla porta di casa di Carmela, la Quercia se ne uscì con una frase infelice: "Carmela - disse - a me mi chiamano la Quercia perché sono più robusta di te. Io, infatti, ti seppellirò."

Lì per lì Carmela non aveva fatto commenti a questa dichiarazione programmatica, e se n'era rimasta invece zitta a fissare il cielo rosseggiante che spuntava da sopra il tetto della casa di zia Concetta. Si sarebbe detto che la cosa si fosse conclusa così, ma si sa quanto possano essere influenti certi piccoli avvenimenti per delle donne dalla vita così tranquilla e ripetitiva. Tanto vera è questa cosa che non sarebbe per nulla eccessivo dire che, con quella frase, la Quercia aveva compiuto una vera e propria rivoluzione. Per le due anziane vedove, infatti, niente più avrebbe avuto lo stesso significato di prima: era iniziata all'improvviso una gara fra Carmela e Vincenzina, l'ultima gara di sopravvivenza.

Da quel momento, e per i lunghi anni seguenti, non passò più giorno che la Quercia e Carmela aprissero gli occhi la mattina senza felicitarsi di essere ancora vive e senza sperare che l'altra invece fosse stata presa dalla Morte durante la notte. Invariabilmente, tutte le mattine alle sei e cinque minuti esatti, le anziane cariatidi si affacciavano al balcone per constatare il reciproco stato di salute. "Buon giorno Vincenzina" "Buona giornata a te Carmela". Ogni giorno la stesse due frasi ipocrite, per dodici gennai consecutivi.

Capitò però che, alle ore sei e zerocinque del primo di gennaio del tredicesimo anno, Vincenzina non vide più Carmela affacciarsi al balcone per salutarla. Per la Quercia fu senza dubbio l'avvenimento più sconvolgente mai vissuto; rimase attonita e sgomenta per alcuni minuti, prima di cominciare anche solo a intuire cosa fosse successo. Poi, nel silenzio dello stradone abbandonato all'ora in cui sorge il sole sul paese, capì che il giorno tanto atteso era finalmente arrivato. Dopo dodici, lunghissimi anni di attesa ossessiva, aveva vinto. Era ancora viva, e quella notte la Morte, alleata sua e non degli altri, si era presa la comare Carmela.

Il fatto in sé era assolutamente tragico, si trattava in fondo della morte della compagna di una vita intera. Con Carmela - pensò la Quercia - se n'è andata metà della mia stessa vita. Come farò a sopravvivere senza più la sua presenza?

Si rattristò così tanto a questo pensiero che sul suo volto rugoso e insensibile Vincenzina sentì scorrere una lacrima, soltanto una. Poi la vecchia si accasciò su una sedia senza fare rumore e, stanca, vittoriosa e disperata, morì. Il suo ultimo, confuso pensiero andò a quel giorno in cui aveva detto a Carmela che l'avrebbe seppellita: avendo avuto ragione, poteva adesso trapassare in pace.

Quella stessa mattina del primo gennaio del tredicesimo anno dal giorno della fatidica scommessa, dopo tre anni di progettazione e accorta meditazione, e senza avere dormito per tutta la notte, Carmela - per la prima volta in tutta la sua vita - si alzò dal letto alle ore sei e quindici minuti. Con il cuore in gola e l'animo del rivoluzionario, l'anzianissima donna aprì la finestra e vide la Quercia morta sul balcone dirimpetto.

A quel punto si fermò un attimo a pensare. Poi, con la saggia lentezza degli avi, sorrise e fece il gesto dell'ombrello: "così la prossima volta impara a tenere la bocca chiusa…"

 


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