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Frau, le Colonne d'Ercole e il Pensiero Meridiano



Antonio Carnicella




Sergio Frau Le Colonne d'Ercole, un'inchiesta, NurNeon, Euro 30

È uscito oramai da qualche mese, ma sarebbe bene tornare a spendere due parole su Le Colonne d'Ercole, un'inchiesta, il libro con il quale l'ispirato Sergio Frau rimescola le carte della storia antica del mondo mediterraneo. Partito per affrontare un'indagine sul mito di Atlantide, l'autore finisce per aprire una sacca dei venti, come quella che il buon Eolo aveva dato ad Ulisse per tornare a casa, trascinando se stesso ed i lettori in un viaggio degno del mitico re di Itaca.

Dove sono le Colonne d'Ercole? Questo è la domanda da cui parte l'inchiesta del cinquantaquattrenne giornalista di Repubblica, domanda per cui l'unanime risposta sarebbe "a Gibilterra". E invece no. Mettendo a confronto, in un forum aperto e libero, le opinioni di autori antichi, come Omero, Euripide, Erodoto, Platone, Strabone e via una carrellata di classici, con quelle di studiosi contemporanei, come Donadoni, Lilliu, Ugas e tanti altri, Frau le ripristina lì dove sono state per secoli, nel Canale di Sicilia, in quella strozzatura tra la Trinacria e la Tunisia che per secoli ha rappresentato il limite ultimo del mondo greco e l'inizio del mare fenicio.

Le Colonne erano, dunque, intorno all'VIII secolo avanti Cristo, una sorta di Cortina di Ferro, un limite di spartizione territoriale come la Rraya, la linea immaginaria che dividerà molti secoli dopo le scoperte del nuovo mondo tra Spagna e Portogallo, e lo restarono fino all'Età ellenistica, quando Alessandro Magno allargò le terre conosciute verso est e Strabone, il padre della Geografia, per dovere di simmetria, le spostò a Gibilterra.

Ma questa è solo la prima delle rivoluzionarie tesi di Frau, quella da cui deriva la seguente domanda: se Atlantide era al di là delle Colonne e queste sono al Canale di Sicilia, dove potrebbe essere stata quest'isola tanto favolosa quanto sfortunata? Frau la identifica nella Sardegna, la terra che, nel XIII secolo prima di Cristo, era la patria di uno sconosciuto popolo costruttore di torri, gli Shardana o Tyrsenoi, già navigatori dell'epoca micenea che un evento catastrofico farà confluire in quella sorta di Grande Coalizione, chiamata "Popoli del mare", che attaccherà la Grecia ed il regno dei Faraoni.

Senza proseguire oltre nell'illustrare il contenuto del libro, per lasciare sia la suspance sull'ipotesi "fraudiana" della fine della civiltà di Atlantide - d'altronde già avallata dalla trasmissione televisiva "Gaia" - sia il piacere di seguire l'autore nelle sue analisi circostanziate, approfondite, suffragate da testi e testimonianze importanti e supportate da un grande amore per la ricerca, che si respira in ogni pagina, vorremmo qui evidenziare alcune considerazioni che scaturiscono dalla lettura.

La prima riguarda direttamente il metodo utilizzato da Frau, un metodo evidentemente platonico, o socratico, vale a dire dialettico, per il quale l'eguale viene analizzato nelle sue tantissime sfaccettature, per poi riportare tanta molteplicità ad un'unità che mantiene distinte le sue componenti, non schiacciandole. Questo modo di procedere appare decisamente contrario al riduzionismo parcellizzante che impera in tutti i campi del sapere, mentre ripropone un tipo di studio che trovò il suo apice nel Rinascimento, nella "pluralità delle vie" di Pico della Mirandola, quando grandi studiosi si dedicavano, per accoglierne le istanze, a vari campi della conoscenza.

Grazie a questo metodo Frau riscopre filoni trascurati, ascolta testimonianze dimenticate, fa parlare non soltanto gli storici, ma anche poeti, artisti e filosofi, da voce ai miti ed ai loro cantori, che nel Tardo Bronzo ed anche in epoche più vicine a noi, malgrado la scrittura, hanno trasmesso non solo favole e fantasie, ma storie e avvenimenti, che hanno condotto nei luoghi più remoti per la fruizione delle genti più disparate, facendo di poesia ed arte vere forme di conoscenza.

E se queste storie si concatenavano tra loro, se i miti costituivano un gioco di specchi, di vasi comunicanti, così le pagine del libro di Frau sono tanti link a cui sono collegate altre tesi, altre storie, altri interessi, fino a fare de "Le Colonne d'Ercole" una vera opera polifonica, una sorta di grande mosaico, un viaggio, "un itinerario nel tempo e nelle trame" come lo definisce Sergio Ribichini, che per gli specialisti della materia equivale, come scrive Maria Giulia Amatasi Guzzo, "a ripensare di nuovo e con una testa un po' diversa a problemi accantonati da tempo…a riflettere con occhi nuovi e angolature diverse".

In secondo luogo, Frau mostra come la storia del Mediterraneo, di questo mare chiuso "che è stato l'origine di tutto", come ha affermato il filosofo-sociologo Edgar Morin in un'intervista concessa proprio allo stesso autore, è fatta di scambi, di incontri, di contaminazioni, così come di guerre e tragedie. Nel Mare Nostrum, ricorda Ferdinand Braudel nel suo Memorie del Mediterraneo "il plurale ha sempre avuto il sopravvento sul singolare: esistono dieci, venti, cento Mediterranei, e ognuno di essi è a sua volta suddiviso…Ma a terra è la stessa cosa, siamo sempre nel Mediterraneo".

Anche il clima, la vegetazione, la morfologia, le usanze, i volti, ritornano, parlano un linguaggio comune, perché, come rileva Predrag Metvejevic ne Mediterraneo. Un nuovo breviario, "l'estensione dello spazio, la peculiarità del paesaggio, la compattezza d'assieme creano l'impressione che il Mediterraneo sia ad un tempo un mondo a sé e il centro del mondo: un mare circondato da terre, una terra bagnata dal mare. Il sole che gli sta sopra e lo illumina generosamente come fosse il cielo solo per amor suo o appartenesse unicamente ad esso. L'effetto dei raggi solari provoca determinati atteggiamenti psicologici, di durata stabile o passeggera. L'apertura e la trasparenza della volta celeste provocano stati di misticismo e paura dell'aldilà. Il Mediterraneo ha innalzato monumenti alla fede e alla superstizione, alla grandezza e alla vacuità".

Il libro di Frau ricorda a chi vuole erigere una nuova cortina di ferro tra la ricca sponda nord e la povera sponda sud, che, fin dall'antichità, il Mediterraneo alla purezza ha sempre preferito l'impuro, il meticcio, la mescolanza di razze. Afferma ancora Braudel che il Mare Internum "non si è mai rinchiuso nella propria storia, ne ha rapidamente superato i confini", che la sua caratterista più evidente del suo destino è "l'essere inserito nel più vasto insieme di terre emerse del mondo" e che "gli uomini hanno trovato, in quei tre continenti saldati insieme, il grande scenario della loro storia universale. Là si sono compiuti gli scambi decisivi….elemento essenziale di un passato svoltosi sotto il duplice segno del movimento: esiste ciò che il Mediterraneo dà, e ciò che riceve, e i "doni" scambiati possono essere, all'occorrenza, calamità o benefici. Tutto si mescola, e la brillante apparizione delle prime civiltà, nel Mediterraneo, si può già spiegare come una confluenza".

Esemplari, tra le pagine dell'Inchiesta, sono quelle che riguardano il periodo del Tardo Bronzo, dove pare quasi di vedere i vascelli della cosiddetta civiltà Micenea, cui Frau attribuirebbe volentieri un altro nome, solcare il Mediterraneo da una parte all'altra scambiando merci, ovviamente, ma anche dèi ed eroi, che venivano ripresi dagli uni e dagli altri con un nome diverso, magari, con la semplice lettura al contrario - come parrebbe per il fenicio Milquart, che in alfabeto greco, letto da sinistra verso destra, diventa Erakles. È su queste rive che è nata la prima Globalizzazione, un fenomeno che non esportava una cultura universale indifferenziata, malgrado le invasioni e le guerre, ma imponeva un confronto faticoso, un equilibrio precario, a volte irraggiungibile, il quale, tuttavia, ha dato luogo ad una cultura straordinaria.

Scrive Metvejevi? che "in ogni periodo, sulle varie parti della costa c'imbattiamo in contraddizioni: da un lato la chiarezza e la forma, la geometria e la logica, la legge e la giustizia, la scienza e la poetica, dall'altro tutto ciò che a queste particolarità si contrappone. I libri sacri della pace e dell'amore e le guerre dei crociati o le Jihad anticristiane. Il messaggio ecumenico e l'ostracismo particolarista. L'universalità e l'autarchia. L'agorà e il labirinto. La gioia dionisiaca e il macigno di Sisifo. Atene e Sparta. Roma e i barbari. L'Impero d'Oriente e quello d'Occidente. La costa settentrionale e quella meridionale. L'Europa e l'Africa. Il cristianesimo e l'islam. Il cattolicesimo e l'ortodossia. La tradizione giudaica e la persecuzione degli Ebrei. …Il Mediterraneo è tentazione continua, è difficile possederlo."

A questa sapienza s'ispira forse Frau, quella uqche Morin definisce "l'Essenza profana del Mediterraneo" e Franco Cassano, riprendendo Albert Camus, che per primo ne ha parlato cinquant'anni fa, chiama "il pensiero meridiano". Questo è un pensiero della diversità e della complessità che mette in questione il paradigma dominante dello sviluppo tecnologico e l'indiscutibile tirannia del suo braccio armato, il mercato finanziario. Ad un sistema che dà valore assoluto alla regola dell'efficacia, alla crescita continua, dunque a valori impalpabili cui ci si può solo conformare, come funzionari, come addetti, tutti uguali, indistinguibili come cloni (il paradiso dei raeliani), e che ha come correlato la deresponsabilizzazione del singolo, la cessione di questi al sistema stesso di diritti, doveri e responsabilità, e che si crea nemici speculari armati di fondamentalismi altrettanto distruttivi, il "pensiero meridiano" oppone quello che Camus definisce una sorta di "contrappeso" , uno spirito che "misura la vita", l'accettazione del "limite, non in una cieca rassegnazione, ma in una tensione dell'intera persona che coincide con l'equilibrio".

E sempre con Camus, da quello che Frau chiama Mare del Tramonto, del giorno che muore, il mare rosso, fenicio (termine che proprio "rosso" sta a significare), possiamo ricordare alla luce accecante dei fondamentalismi che "siamo nel mondo che non dura. E tutto ciò che non dura è nostro".

 


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