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Individuo e individualismo:
verso una "società di mercato"?



Andrea De Seta




Andrea De Seta è un docente di scuola superiore laureato in filosofia

Nelle analisi sulla globalizzazione vengono spesso evidenziati gli elementi di tensione, a volte di lacerazione, che subiscono le nostre società nella loro capacità di tenuta complessiva. Uno dei temi che ha avvertito maggiormente le trasformazioni e gli urti del tempo globale è sicuramente la concezione dell'individuo, e questo indipendentemente dalle categorie con le quali preferiamo giudicare questo termine della modernità.

Individuo e individualismo, deregulation, flessibilità e "società di mercato": sono queste le nuove parole d'ordine inevitabilmente imposte dalla globalizzazione, capaci di sostituire tutte quelle del nostro Novecento che si fondavano sulle grandi narrazioni collettive? E' dall'individuo e poi dall'individualismo che si deve ripartire per elaborare una proposta teorica meglio attrezzata di fronte alle sfide dell'epoca globale, oppure così facendo si starebbe ingenuamente imboccando una strada senza uscita per le sorti dell'intera civiltà umana?

Per rispondere, in parte, alle sollecitazioni delle teorie politiche contemporanee che orientano la loro prospettiva (con argomenti ragionevoli) sull'individualismo per la costruzione di una società ed una politica mondiale basate su livelli quanto più omogenei di libertà e giustizia, è forse opportuno tenere conto di alcuni test di legittimità, oltreché di efficacia politica. Per quanto riguarda la legittimità morale di un individualismo sociale ormai imperante, possiamo ritenere del tutto fondate le conclusioni del sociologo polacco Bauman (1999) - profondo studioso della globalizzazione e tutt'altro che neutrale verso i suoi processi disgreganti - quando nel rileggere la storia del novecento osserva che molte tragedie potevano essere evitate se invece dell'"unicità": unico partito, unica ideologia, unica verità", avesse prevalso "l'individualità dell'individuo e con essa l'affermazione di un soggetto morale come soggetto responsabile, cosciente della propria responsabilità".

Dal punto di vista della legittimità politica, invece, restano rilevanti problemi, e l'onere della prova spetta in primo luogo alle ambizioni, vecchie e nuove del pensiero liberale e riformista, chiamato a valutare se e quanto questo "nuovo" individuo, finalmente libero da legami ed appartenenze non scelte, debba comunque continuare a fondare e a far valere i propri diritti attraverso il medium della politica e delle reti di relazioni e di significati che essa contiene.

Il pensiero politico democratico d'ispirazione anglosassone da tempo giustamente ci avverte della superficiale ingenuità, se non della ottusa faziosità di quelle tesi che affidano alle sole leggi del mercato la cura dell'interesse dell'individuo e della sua stessa individualità. Da più parti inoltre si sostiene che la stessa tradizione liberale, che ha con indubbio merito sottolineato il primato dell'individuo, può ancora rappresentare qualcosa di valido per il futuro delle società pluraliste se tale primato viene esercitato, non in maniera isolata dal contesto politico interno ed internazionale, quel contesto che il politologo David Held (1999) definisce nei termini di una "struttura comune d'azione politica".

La visione di un individuo che non smette di essere cittadino democratico, responsabile verso le sorti della comunità intera, si segnala per la radicale distanza politica da quelle tesi estreme di segno ultraliberista, ove solo un individuo pensato nella più totale solitudine e spontaneità, potrà accarezzare quella ricercata dimensione utopico-anarchica (si veda in proposito R. Nozick). Se con la globalizzazione pensiamo di dover accettare e subire un individualismo che nega ogni significato e spazio d'azione al concetto di pubblico e a quello di appartenenza di ogni cittadino ai destini della comunità politica (R. Dahrendorf, 1995); se si fa strada con successo una ideologia del liberismo che intende attuare una sistemazione della realtà nei termini di una enorme ed indiscussa "società di mercato", non è escluso, a questo punto, che siano lo stesso Stato e la stessa funzione sociale e civilizzante della politica a compiere un pericoloso e definitivo passo indietro.

Eppure ci era sembrato, raccogliendo il messaggio di Amartya Sen (1997), che a determinare l'importanza di non abbandonare, proprio nell'era della globalizzazione, ogni riferimento a criteri di socialità e partecipazione politica, fosse la "consapevolezza" della realtà innegabile "dell'interdipendenza fra le vite di persone diverse all'interno di una società". Forse, tra le altre cause di questa inadeguata presa di coscienza collettiva circa la necessità di non dover sottrarre questo "nuovo" individuo, alle responsabilità e ai legami richiesti da ogni decente società democratica, si può anche richiamare (ma qui siamo nel campo della cultura politica e delle concrete strategie delle forze politiche) un aspetto presente nell'analisi del sociologo inglese Antony Giddens (1998).

L'autore della ben nota "Terza Via" individua proprio "nelle forze di progresso, l'incapacità di operare una netta distinzione tra un individualismo egoista e un nuovo individualismo", quell'incapacità che ha con ogni probabilità consentito per lungo tempo il predominio politico e culturale della politica marcatamente reazionaria attuata dalla famosa signora Thatcher. E' chiaro a questo punto che per Giddens, così come per il tedesco Beck (altro studioso delle dinamiche della modernizzazione post-industriale), è proprio la possibilità di una "cultura politica quotidiana dell'individuo" - intesa come estensione delle libertà politiche - che può farci sperimentare un "individualismo solidale" che non si estranea affatto dalla prassi democratica, ma che al contrario è capace di alimentarla e rinnovarla di continuo attraverso relazioni democratiche, questa volta meglio interiorizzate poiché sostenute dal valore della responsabilità.

Le conclusioni, seppure parziali, su un tema così denso di complicazioni, possono comunque evidenziare due elementi di valutazione. La prima è che se l'affermazione dell'individualismo - quale innegabile conseguenza delle libertà individuali e dell'emancipazione collettiva dalle appartenenze per destino - si è delineato in evidente parallelo con la storia del mondo occidentale (A. Laurent, 1993), la riflessione non può più essere semplicemente indirizzata verso la riproposizione stantia di vecchie categorie o di inadeguati giudizi morali. La seconda, più politica, è che la forza di questo percorso storico, non per forza ci mette al riparo da ripiegamenti riduttivi verso forme becere di egoismo edonista che nelle economie di mercato sembrano a volte dettare i loro tratti rilevanti alla nostre società cosiddette post-moderne.

E' chiaro, allora, che non è di un individuo ridotto alla sola funzione di consumatore - quindi sempre più solo - che l'impegno per una "globalizzazione dal volto umano" avrà bisogno in futuro, ma di un individuo, ancora cittadino politicamente attivo, che nel realizzare liberamente se stesso, sia nel contempo capace d'incontrare e riconoscere le domande degli altri.

 


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