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Addio Hemingway



Leonardo Padura Fuentes con Paola Casella




Che Leonardo Padura Fientes sia cubano, è fuori dubbio: presenta infatti tutte le caratteristiche psico-fisiche che siamo abituati ad associare, a torto o a ragione, ai connazionali di Fidel. E' bruno, intenso, passionale, spiritoso, comunica calore umano, mette allegria. Ne ho elencati abbastanza, di stereotipi? Padura Fuentes mi darebbe il suo ultimo libro sul capo - con simpatia, ovviamente - perché lui gli stereotipi li detesta.

Ed è per questo che ha raccontato Ernest Hemingway, nel suo ultimo romanzo poliziesco Addio Hemingway (Marco Tropea Editore), come un personaggio che per Cuba ha rappresentato una via di mezzo fra l'eroe popolare e il piazzista. E ha affidato al suo protagonista ricorrente, Mario Conde, ex poliziotto e neo scrittore, il compito di scoprire il vero Hemingway - anche perché, nel romanzo, proprio il celebre scrittore viene sospettato di aver commesso un efferato omicidio.

"Hemingway si è trasformato in un mito che poi è diventato un'attrazione turistica, una voce in più offerta dai tour organizzati, che invitano i visitatori a prendere un drink dove lo prendeva Hemingway, a gustare un pranzo nel suo ristorante preferito, a frequentare la spiagga dove pescava lui", dice Padura Fuentes. "E a me interessava stanare il personaggio reale, oltre lo stereotipo".

"Hemingway ha vissuto a Cuba per più di vent'anni e vi ha scritto alcuni dei suoi romanzi, ambientati proprio nell'isola, come Il vecchio e il mare e, in parte, Avere e non avere", continua lo scrittore. "Fra lui e Cuba si è sviluppato un rapporto non solo geografico, ma anche umano e letterario, e lo scrittore ha instaurato rapporti di amicizia molto importanti con i pescatori locali, dai quali ha ascoltato molte delle storie che poi ritroviamo nei suoi romanzi.

"Purtroppo Hemingway ha fatto poco per conoscere veramente la realtà quotidiana dei cubani, anche perché aveva delle possibilità economiche rilevanti. Né ha mai cercato di avvicinarsi alla cultura locale: praticamente non ha avuto alcun rapporto con gli scrittori cubani della sua epoca.".

Nel suo romanzo lei traccia una forte similitudine fra il lavoro dello scrittore e quello dell'investigatore.

"Credo che le due professioni si assomiglino molto. Ed effettivamente nei due romanzi che ho scritto ultimamente, Addio Hemingway e La storia della mia vita, che ancora non è uscito in Italia, ho dovuto lavorare con metodi da investigatore. Nel caso di Addio Hemingway esistevano già diversi indizi, per usare un termine poliziesco, e attraverso la lettura dei testi che avevo a disposizione e una ricerca approfondita su Hemingway ho potuto scrivere un romanzo assai preciso dal punto di vista dell'attendibilità storica".

Il tenente Mario Conde, già protagonista del suoi romanzi precedenti (Maschere, Paesaggio d'autunno, Passato remoto e Venti di quaresima, tutti pubblicati da Marco Tropea, ndr), fa venire in mente un altro mito letterario, Philip Marlowe. E' d'accordo?

"In una genealogia letteraria possibile, Mario Conde sarebbe nipote di Philip Marlowe e figlio di Pepe Carvalho. Sono un grande estimatore della letteratura poliziesca anche perché per molti anni sono stato un critico letterario specializzato proprio in questo genere, sul quale ho scritto anche un corposo saggio. E come scrittore devo molto a Raymond Chandler e Vasquez Montalban, per citare i padri letterari di Marlowe e Carvalho.

"Le mie principali influenze però non stanno nel poliziesco ma nella letteratura in generale. Sono stato molto influenzato da Hemingway, Salinger e tutti i romanzieri nordamericani del Ventesimo secolo, e anche dagli scrittori ispano-americani e dagli spagnoli. Amo leggere chi usa bene lo strumento della parola, come Garcia Marquez, Vargas Llosa, Carlos Fuentes o Julio Cortazar, e quegli scrittori americani che scrivono in lingua spagnola, come Guillermo Cabrera Infante o Alejo Carpentier, che nella seconda metà del secolo scorso hanno contribuito al boom del romanzo ispano-americano.

Autori italiani?

"A Cuba ne vengono pubblicati parecchi, e altri ne ho letti fuori da Cuba. Io mi sento simile a Sciascia, soprattutto per un motivo: Sciascia ha espresso nelle sue opere un forte sentimento di insularità, di appartenenza a un'isola. Ma ho anche letto Vittorini, Pavese, Pasolini, e fra i contemporanei Stefano Tassinari, Bruno Arpaia e Carlo Lucarelli, con cui ho anche rapporti di amicizia. E naturalmente, Andrea Camilleri".

Perchè ha scelto il genere poliziesco?

"Credo che qualsiasi genere letterario, come anche cinematografico, sia utile per esprimere una preoccupazione che molta gente non è abituata ad affrontare in modo diretto. Blade Runner, per citare un classico, non è solo un film di fantascienza: è un grande film, e Ridley Scott si serve di quel mondo futuribile per comunicare al pubblico la propria visione del destino dell'uomo, come Stanley Kubrick in 2001: Odissea nello spazio.

"La letteratura poliziesca spesso usa il genere come strumento di critica sociale, anche perché inevitabilmente mette il lettore a contatto con un mondo dove imperano la corruzione, la violenza, gli omicidi, la droga, e quindi lo costringe a confrontarsi con la parte oscura della realtà. Negli autori contemporanei, fra i quali includo me stesso, c'è una volontà manifesta di trasformare la letteratura di genere poliziesco in una letteratura di carattere sociale. Nel caso di quello che viene chiamato il noir mediterraneo e del neopoliziesco ibero-americano c'è una forte vocazione alla partecipazione sociale.

I suoi romanzi raccontano una quotidiantà realistica, non glorificata. Per un lettore cubano non sarebbe più confortante staccarsi ogni tanto da quella realtà, almeno quando legge un testo di fiction?

Credo che l'incontro dei lettori con la vita quotidiana, che raramente si verifica nell'arte, sia al contrario uno dei motivi per cui i lettori apprezzano i miei libri, che vengono pubblicati a Cuba senza problemi di censura e che là vendono molto bene. Sia la letteratura che il cinema e il teatro cubani sono molto seguiti dal pubblico proprio quando si occupano di problemi legati all'attualità, a patto che questi problemi vengano raccontati attraverso una prospettiva critica diversa da quella ufficiale.

"A Cuba l'arte cerca di ovviare alla mancanza di una visione alternativa a quella proposta dal governo, dato che invece tutto il sistema di informazione - la stampa, la radio, la televisione - sono funzionali alla propaganda dello stato. La realtà che viene presentata dai mezzi di comunicazione è edulcorata ed enfatica, l'arte invece cerca di problematicizzarla. E i lettori o gli spettatori vanno in cerca di questa problematicità, hanno bisogno di operare una riflessione sulla realtà che stanno vivendo, per cui si crea un processo di identificazione molto forte fra i lettori e il prodotto letterario, cinematografico o teatrale. L'arte si confronta con quei fenomeni della quotidianità cubana come la prostituzione, la droga, la corruzione che cominciano a diffondersi e che vengono trattati dai mass media solo dopo che ne ha parlato la letteratura".

 


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