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Bambini, armi e impegno nel sociale



Simona Ambrosio




Il Torino Film Festival o Cinema Giovani è arrivato alla sua ventesima edizione. Dal 7 al 15 novembre 2002 si è visto un festival rinnovato e ampliato rispetto alle edizioni precedenti. Stefano (Steve) Della Casa ha deciso di lasciare quest'anno lo scettro della direzione con una manifestazione proposta senza falsa modestia come la "migliore edizione".

Innovazione e ampliamento sono stati facilmente riscontrabili: il festival si è trasferito dalla storica sede del cinema Massimo nella multisala del Lingotto (l'ex padiglione Fiat, ora centro commerciale in parte ristrutturato da Renzo Piano); le sale in cui si è svolta la programmazione sono undici.

Il Torino film festival è nato dalla generazione dei cineclub. Una generazione che ha privilegiato la visione diretta rispetto al filtro dell'accademia e che dalla critica accademica è sempre stata guardata con sospetto. Il pubblico del festival è ancora un pubblico da associazioni culturali. Gli spettatori, più o meno giovani, sono riconoscibili da un atteggiamento di disagio nel ritrovarsi all'interno di un centro commerciale con neon e musichette non stop.

Il programma era enorme; impossibile scegliere un film senza rimpiangere di averne perso un altro. Gli ospiti sono stati tanti ed eccezionali, anche loro però apparentemente persi in quell'ambiente asettico, privo di quell'euforia che normalmente caratterizza un incontro con Monicelli o con Bertolucci.

Steve Della Casa afferma che nella parola festival è contenuto il concetto di festa. Si è cercato quindi di mescolare il sacro con il profano, di mostrare film apparentemente agli antipodi affinché lo spettatore si divertisse.

Il divertimento è una categoria dell'animo soggettiva; ci si può "divertire" con i western di John Ford o con il sadismo di Lucio Fulci. Inequivocabilmente però i film del 2002 presentati al festival non erano fatti per suscitare "risate" ma per emozionare in profondità, avvicinandoci talvolta al pianto.

Hukkle dell'ungherese Pàlfi è sicuramente una rivelazione tra i film dei giovani cineasti: elementi descrittivi apparentemente idilliaci della campagna ungherese nascondono una tradizione in cui i fiorellini vengono colti per produrre veleno.

I bambini sono i protagonisti di tutte le categorie del ventesimo Torino film festival. Bambini pronti a uccidere un compagno che, giocando, pretende di essere il diavolo (come nel cortometraggio polacco Antychrist); a impugnare pistole per far piacere al proprio papà (l'americano Gunplay); a lasciarsi morire nell'acqua di un torrente per non scendere a compromessi con coetanei di un'altra razza (Watermark, Nuova Zelanda).

Bambini ancora nei documentari italiani del Premio Doc 2002. Bambini devastati dalle mine antiuomo e curati da Gino Strada per Emergency (in Afghanistan: effetti collaterali); bambine ucraine che, con la promessa di un futuro nella moda, vengono strappate alle proprie famiglie e indotte alla prostituzione in occidente (Chi non rischia non beve champagne).

Un documentario che, a mio avviso, si distacca rispetto al livello seppur alto degli altri è Un'ora sola ti vorrei di Alina Marazzi. La regista è costretta anche lei a tornare bambina per riconquistare la figura della madre morta quando aveva sette anni. Tramite i filmati amatoriali del nonno e i diari che la mamma le ha lasciato, la Marazzi ci ha regalato una sequenza di splendide immagini costruite come una fiction.

E sempre parlando di italiani, fra i tredici i lungometraggi in concorso, il pubblico ha applaudito Eccomi qua di Ciarrapico e Piovono Mucche di Vendruscolo. Nonostante alcune imperfezioni nella sceneggiatura i due registi sono riusciti a raccontare storie nuove ed emozionanti. Difficile la prova di Vendruscolo, alle prese con un cast di handicappati.

Bambini e armi, purtroppo. E' strano vedere un documentario sulle bombe americane in Afghanistan e subito dopo ritrovarsi in Red dawn, Alba rossa di John Milius. Il regista americano ha immaginato che nel 1984 ci fosse un'invasione sovietico-cubana nel deserto texano, con campi di concentramento e partigiani. Alla vigilia di una possibile guerra la sala ha reagito ridendo (questa volta non si poteva far altro), ma l'analogia/divario tra la realtà dei documentari e la finzione di alcuni film americani ha lasciato gli spettatori con l'amaro in bocca.

Milius, a Torino per la retrospettiva che la manifestazione gli ha dedicato, nell'incontro con il pubblico dopo la proiezione di Big Wednesday, Un mercoledì da leoni, ha dichiarato di non poter vivere in uno stato dove non sia legalizzato l'uso delle armi per la propria difesa personale.

Il festival è stato anche quest'anno una vetrina per l'impegno nel sociale. Per i Sopralluoghi Italiani Armando Ceste ha presentato insieme a Don Ciotti e a Sergio Cofferati il documentario Libera terra, viaggio dal Piemonte alla Sicilia per comprendere i risultati della legge 109 del 1996 che prevede il riutilizzo delle aree confiscate alla mafia.

Al Festival non poteva mancare un incontro con i rappresentanti sindacali della Fiat, che hanno preceduto la proiezione di un deludente film torinese, Un Aldo qualunque di Dario Migliardi, vincitore nel 1997 per il miglior cortometraggio con La lettera.

Steve Della Casa ha regalato al pubblico una splendida retrospettiva su Gianni Amico, regista televisivo e cinematografico, morto prematuramente e attento all'aspetto etico e sociale. Il suo Tropici in 35mm è un viaggio nel Brasile della povertà in cui, come affermò lo stesso regista, il sottosviluppo è tante cose ma è soprattutto il sottosviluppo della coscienza.

Un altro regalo inedito è stato fatto agli amanti dell'unico film di cui Charles Laughton ha firmato la regia, The night of the Hunter, La morte corre sul fiume, 1954. Un film ombra dell'originale è stato realizzato con le pellicole non utilizzate per il montaggio. Il documentario di Robert Gitt ha mostrato il lavoro preventivo di fotografia e regia che Laughton ha sviluppato per il suo capolavoro e racconta come Rober Mitchum e Shelley Winters furono sottoposti ad un grande stress emotivo per raggiungere i livelli di tensione necessari alla storia.

La sezione retrospettiva Americana non ha mai deluso il suo pubblico. L'iraniano Amir Naderi con Marathon ha seguito nella metropolitana di New York una giovane donna intenta ad un una maratona di cruciverba per vincere se stessa. Le categorie fuori concorso hanno presentato ottimi esempi di utilizzo del digitale. Un dibattito con i responsabili di Cinecittà ha nuovamente proposto il grande dilemma: pellicola e video possono essere considerati alla pari? Bell'Amico di Luca D'Ascanio, forse il miglior lungometraggio italiano fra quelli visti a Torino, non è stato ammesso al concorso perché girato in digitale. Ma solo il digitale, come mezzo estetico, poteva trasmettere i conflitti interiori del protagonista.

Un grazie a Steve Della Casa per questo ventesimo Torino Film Festival, per la varietà di emozioni che ha ancora una volta proposto ad un pubblico di cinefili. In molti sperano che cambi idea e che resti ancora per continuare la tradizione di un festival che non ha mai avuto rotture. Tra i possibili candidati per la direzione del prossimo anno Carlo Freccero ed Enrico Ghezzi (più volte sorpreso a sonnecchiare in sala). Entrambi personaggi troppo televisivi, forse. Ci auguriamo solo che il Torino film festival possa ancora riunire migliaia di ragazzi da tutta Italia con un'unica passione, il cinema.

 


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