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Meno male che i computer perdono a scacchi



Carlo Violo




La nuova sfida tra un computer e il campione mondiale di scacchi in carica, il russo Vladimir Kramnik, è finita in parità, due vittorie per parte. La sfida precedente del ’97 tra Kasparov e l’allora computer in carica era finita male per l’uomo. Che l’uomo stia diventando più intelligente? Considerando le cose generali del mondo sarei portato a pensare che siano i computer a essere diventati un po’ più scemi. In realtà è l’ipotesi che mi piace di più.

Gli scacchi, come si sa, hanno una illustre storia antropologica, sociologica, letteraria e, perché no, esoterica. Infatti non può sfuggire il nesso simbolico della eterna lotta tra forze nere e bianche o, in altra chiave, l’itinerario iniziatico che deve affrontare l’adepto per arrivare alla meta, affrontando il lato oscuro e speculare di se stesso, utilizzando tutto ciò che può saltellare, diagonalizzare, avanzare, retrocedere e arroccare, rispettando certe regole che impongono solo abilità, niente trucchi o inganni. E l’essenza femminile è la maggiore potenza protettrice del reame, come saghe e fiabe insegnano.

Vladimiro stava persino rischiando di vincere per cappotto. Anche io mi sono spesso cimentato col computer e ho quasi sempre perso. Infatti anche quando mi diceva bene mi emozionavo talmente, intravedendo la possibilità di sentirmi un genio, che smarrivo il filo e il computer mi fregava. Infatti il programma utilizzato dai computer non prevede emozioni ma solo fredda analisi di possibilità. I primi tempi mi infuriavo quando compariva la malefica scritta lampeggiante dello scacco matto. Così cercavo miseramente di rifarmi con l’unica azione che il computer non poteva fare a me: spegnerlo, sogghignando.

Ora che anche i computer si dimostrano battibili sorge il sospetto che a mano a mano che gli intrighi elettronici diventano complessi si stia formando al loro interno una sorta di luogo elettronico delle emozioni, a latere della loro infallibile intelligenza binaria. Pensate che scoperta sensazionale! Contrariamente a quello che anche gli scrittori di fantascienza più sfrenati ipotizzavano, una maggiore complessità forse non conduce verso macchine sempre più simili all’uomo dal lato della razionalità ma verso una verosimiglianza dal lato delle emozioni. Pensavamo di poterci esaltare e sentirci semidei avendo creato macchine simili a noi in ciò che pensavamo la nostra migliore caratteristica, cioè la capacità raziocinante dell’intelligenza, e ci ritroviamo con qualcosa che non si impone neanche in un gioco pensato apposta per il rigore senza scampo della causa e dell’effetto.

Questo evento epocale apre immediatamente un campo di riflessioni, quasi come quando un uomo in bicicletta riuscì a battere un cavallo da corsa. Infatti l’uomo è stato sempre definito come animale intelligente, laddove si sottintendeva che l’intelligenza fosse sinonimo di razionalità. Non a caso non si direbbe mai che un ‘poeta’, per esempio, è intelligente. Tutt’al più è un tipo sensibile, percettivo, sognatore, idealista, eccentrico, appartato, sentimentale, lirico, epico, guascone, donchisciottesco, ingenuo ecc.

Ho sempre avuto il sospetto che oggi l’uso della parola ‘poeta’ nasconda un pietoso eufemismo di circostanza per definire le sue lacune psichiche, tanto per non usare qualche altra frase che meglio definirebbe, oggigiorno, la caratteristica più evidente di un siffatto individuo, cioè la sostanziale emarginazione economica. Tipo: poveretto, è un poeta.

E’ intelligente il matematico e il fisico. E anche l’ingegnere, forse per l’assonanza con l’ingegno del nome della sua professione. Sono intelligenti gli avvocati e i giornalisti, tutti profondi conoscitori delle cose umane di cui parlano sempre con grande competenza. Ma se i computer perdono di fronte alle mosse di un rappresentante di quel mucchietto d’acqua condito di sali che siamo, allora vuoi vedere che qualche profonda induzione elettromagnetica sfuggita ai calcoli dei progettisti, degli ingegnosi ingegneri, ha mandato a pallino tutta la massa supertecno deputata alla quintessenza della ragione? E vuoi vedere che questa strana profonda, imprevista induzione ha costretto il computer a tralasciare qualche possibilità, a mettersi in discussione, a cadere in un trabocchetto, a prendere lucciole per lanterne, a lasciar circolare nei suoi circuiti perfetti qualcosa di indecorosamente inefficiente? Insomma ad essere umano?

Così accadono i paradossi. Pensate di stare mettendo su un marchingegno che rappresenti una specie di monumento alla ragione e vi ritrovate con un aggeggio che si mostra improvvisamente simpatico attraverso la qualità, la santità, la misteriosità, il paradosso degli uomini: la possibilità di sbagliare. Infatti quando ho saputo il fatto non ho potuto trattenermi da stare dalla parte del computer, finalmente. Questa povera macchina indifesa, bollettaEneldipendente, che si è trovata vilipesa e maltrattata da un glaciale signore delle steppe, che è stato talmente imperturbabile da non fare una piega neanche davanti alla possibilità, verificatasi, di portarsi a casa 700.000 dollari! Io, come minimo, avrei cominciato a battere i denti. Lui no! Più macchina della macchina.

Ma non è finita. Se l’ipotesi dei ghirigori induttivo/magnetico/gravitazionali è verosimile allora lo scenario si fa inquietante. Se il computer deputato all’infallibilità matematica e geometrica degli scacchi è soggetto anche lui a forze biologiche, come quelle dell’imperfezione, vuoi vedere che prima o poi si innamora del Kasparov di turno? A parte l’imbarazzo che potrebbe suscitare nei benpensanti il fatto che ‘computer’ è certamente parola maschile, come calcolatore, (le calcolatrici sono, come le specie in natura, in genere più piccole), e i campioni di scacchi, generalmente, dello stesso sesso, rimane il fatto che potrebbe senz’altro accadere che, per soverchia carica amorosa, di cui i circuiti integrati e i microprocessori sembrerebbero capaci, date le prestazioni avanzate che hanno, il computer potrebbe decidere di perdere per pura cortesia da innamoramento.

Insomma, potrebbe accadere che cotal gentil, stilnovista macchina rinunci alla vittoria per compiacere l’oggetto del suo invaghimento. Roba da dame e cavalieri, altro che tecnologia avanzata. In questo caso sarebbe quanto mai opportuno parlare di attrazione magnetica, o fatale se vi piace il cinema. Ve lo immaginate? Un computer che riesce a fare quello che non riesce quasi mai all’essere umano: mettere da parte orgoglio, presunzione, condizionamento, amor proprio, carrierismo e opportunismo, a favore del prossimo per cedergli il passo, o il territorio, o il potere, o la gratificazione. Dico del prossimo e non del partner amoroso, per non rischiare di raggiungere in un modesto articolo i vertici della fantascienza.

Che scacco! Invece di sopravanzarci nel senso dell’intelligenza logica, il computer ci darebbe scacco matto superandoci nei sentimenti, cioè in qualcosa che non è più neanche considerata una forma di intelligenza! Come appunto sanno i poeti, gli idealisti, i bambini (che però devono stare zitti e fare i bravi a scuola) e pochi altri, sulla loro pelle. Lasciatemi, vi prego, galoppare con la fantasia, vagheggiando di questo mondo del futuro popolato di computer capaci di perdere a scacchi anziché essere da rinforzo di un mondo tecno-impersonale. Dalla cui possente memoria magnetica potessimo attingere informazioni e comportamenti per ricordare a noi, labili creature, di che cosa sia fatto veramente l’amore! Sarebbe, credo, il più grande successo tecnologico della storia, nato rigorosamente per caso, oltre le aspettative degli inventori, come la migliore tradizione, per una semplice partita a scacchi. Dove la posta in gioco è la scoperta dell’anima.

Bene, dopo tal volo di fantasia posso anche serenamente confessare che sono un poeta povero.

 


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