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Cerimonie
Pietro Farro
Michele Serra, Cerimonie, Feltrinelli, pp. 136, Euro 12,50
La definizione di giornalista-scrittore ha l'aria di un patetico
tentativo di nobilitarsi da parte di giornalisti insoddisfatti,
pertanto meglio non usarla. Tuttavia accade sempre più spesso che
bravi giornalisti cimentandosi con la letteratura ottengano
pregevoli risultati: Scalfari, Pansa, Riotta, tanto per citarne
qualcuno. A questi va certamente aggiunto il nome di Michele Serra,
che ormai da diversi anni ha preso a misurarsi con le varie forme
della scrittura letteraria, dal racconto al romanzo, dalla parodia
alla poesia umoristica. All'inizio dell'estate è arrivata in
libreria la sua ultima fatica: Cerimonie (Feltrinelli).
Si tratta di dodici racconti brevi e intensi, tenuti assieme dal
fatto di narrare quei riti (le cerimonie del titolo, appunto)
attraverso i quali siamo soliti celebrare la vita e la morte: dal
funerale all'happy hour, dalle riunioni di partito al viaggio
in automobile. Ma il vero collante del libro è il tono complessivo,
l'atmosfera che vi si respira. Qualcosa che, nonostante la
differenza di ambientazione, ricorda il cinema di Woody Allen per
quel continuo interrogarsi sul senso dell'esistenza, sulla morte e
su dio (correttamente minuscolo in tutto il libro), abbondantemente
condito d'ironia e umorismo: in fondo l'unica maniera di riportare a
dimensione quotidiana e frequentabile le grandi domande della vita e
sfuggire alle trappole della retorica.
Il senso del libro è già tutto racchiuso nella prima frase: "Saletti
voleva pregare, ma non credeva in dio". Saletti, vecchio
emiliano laico e anticlericale, è semplicemente felice di esistere
e consapevole di quanto la vita sia straordinaria, ma non trova le
parole per dirlo: "Noialtri ci vorrebbe qualcosa per dimostrare
la nostra sensibilità. Altrimenti credono di averla solo loro, la
sensibilità. I preti. E ci trattano da gente arida". Alla
fine, troverà il suo personalissimo rito nell'immergersi nudo nel
fiume. Il fiume come metafora della vita e la posizione dell'uomo
non religioso di fronte alla vita e alla morte tornano anche
nell'ultimo bellissimo racconto, nel quale un padre non trova le
parole per rincuorare il figlio piccolo davanti al dolore per la
perdita della nonna.
Malgrado la presenza costante del tema funerario, leggendo il libro
si ride e sorride molto spesso. Talvolta si sorride anche in
presenza della morte, come nel funerale dal sapore felliniano che,
grazie ad una lapide che sborda, si trasforma in un operoso cantiere
nel quale le angosce metafisiche si sciolgono in una più prosaica
discussione sugli arnesi da usare per risolvere l'inconveniente.
Per concludere, nell'impossibilità di soffermarmi su ogni singolo
racconto, mi limiterò ad accennare - anche per non dar l'idea che
nel libro si parli solo di morti e funerali - all'esilarante e
sarcastica descrizione di quei "mostri" della modernità
che sono Manuel e Stefy Forever, personaggi che difficilmente il
lettore dimenticherà. Ragazzoni ipernutriti ed iperaccessoriati, ma
del tutto privi "di strutture mentali formate" e "di
quel barlume di personalità che gli permetterebbe di passare dalla
contemplazione all'interpretazione di sé", vivono in un
presente senza storia e potrebbero fare di tutto - nel male e
perfino nel bene - senza essere buoni né malvagi. Nei loro
confronti il narratore prova quasi orrore, ma anche la necessità di
stabilire un contatto, di trovare un terreno sul quale comunicare,
di capire cosa hanno dentro. La fatica fisica dello spaccare la
legna e il conseguente bisogno di rifocillarsi, costituiranno il
piano sul quale alla fine i tre personaggi riusciranno a trovare un
momento d'intesa. In fondo, il corpo non mente: per quanto
culturalmente diversi, abbiamo tutti la stessa fisiologia.
Quando un'opera narrativa commuove, diverte e fa pensare, vale
sempre la pena di leggerla. Certamente è il caso di questo libro.
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