Senza sangue
Francesco Roat
Alessandro Baricco, Senza sangue, Rizzoli, pp.105, Euro 10,00
Dopo City, prolisso ed estenuante esercizio di stile da
scuola di scrittura creativa, Baricco torna al romanzo breve - sulla
falsariga di Seta - con Senza sangue, che è forse il
suo testo narrativo più convincente dai tempi andati di Castelli
di rabbia. Il racconto è scandito in due capitoli. Il primo:
breve, fotografico, essenziale, tutto risolto nell’azione. Il
secondo: più ampio e dal ritmo lento, giocato su un lungo dialogo
fra i due personaggi principali e uno spiazzante finale a sorpresa,
difficilmente prevedibile dal lettore.
La storia, ambientata in un non meglio precisato Paese ispanofono
vari decenni or sono, ha un avvio coinvolgente da thriller ben
studiato. È notte. Presso una fattoria sperduta nella campagna
giunge una Mercedes con a bordo quattro uomini. Il proprietario
della fattoria, fiutando il pericolo, nasconde la propria bambina
sotto una botola e, pistola alla mano, si prepara a difendersi. I
quattro, sparando a più non posso, fanno irruzione nella casa. Per
farla breve, l’uomo - accusato di essere stato un torturatore
durante la guerra appena conclusasi - viene ucciso. Il più giovane
dei killer, prima di abbandonare la fattoria, si accorge della
botola e la apre, ma alla vista disarmante della ragazzina decide di
non ucciderla. Fine della prima parte.

Sin qui nulla di speciale. O, meglio, come ci si poteva aspettare
dal Nostro, il racconto rivela mestiere e buona padronanza del mezzo
espressivo, uniti alla consueta abilità nel tener desta l’attenzione
del lettore grazie ad una scaltra sceneggiatura western. Ma il bello
viene col prosieguo. Con uno stacco che ci proietta in un altro
luogo e in un altro tempo, il secondo atto riprende dopo che sono
trascorsi circa una cinquantina d’anni dalla feroce uccisione;
inoltre lo scenario è cittadino.
Un’avvincente descrizione cinematografica della protagonista
(ormai divenuta un’anziana seppur ancora avvenente) apre il nuovo
capitolo in cui la vediamo, rintracciato l’omicida di suo padre
(un vecchio costretto, per campare, a vendere biglietti di
lotteria), costringerlo più che a una confessione a un confronto
serrato con lei, nel quale ognuno dei due narra all’altro la
propria verità su quell’uccisione e quel lutto mai rielaborato.
Ma non solo: nell’alternarsi delle versioni dell’uomo e della
donna, essi ripercorrono e si raccontano a vicenda le loro vite,
segnate entrambe in modo irrimediabile dal tragico legame che le ha
paradossalmente affratellate.
Dal punto di vista spettacolare e narrativo la trovata dell’incontro
dopo mezzo secolo fra l’ex killer e l’ex bambina della fattoria
è davvero vincente/convincente. Che poi la storia sappia ancora una
volta da film (meglio da telefilm) importa fino ad un certo punto.
Sarà pure un feuilleton, però il testo scorre, appassiona e
soprattutto si fa divorare d’un fiato. Ci sono, è vero,
invenzioni teatrali che Baricco poteva evitare; tipo quella di
raccontare che il padrino della bambina, dopo averla cresciuta, se l’è
giocata a carte con un nobile, o sentenze in odore di filosofia come
quella di pagina 75 (“alla vita manca sempre qualcosa per essere
perfetta”), oppure lo scialo di puntini di sospensione (a
indicazione dell’improvviso ammutolire di lei o lui), ma lasciamo
perdere, sono inezie da critici, l’importante è che il racconto
tenga.
E veniamo al finale, intenso ed emozionante al punto giusto che mi
verrebbe voglia di raccontarlo, tanto è ben congegnato. Ma non
posso per non guastare il piacere di leggere, che è quanto riesce a
indurre nel lettore Baricco, e non ditemi che è cosa da poco.
Insomma, sarà pure un costruttore di storie a tavolino, uno
sceneggiatore, un fabulatore attento soprattutto all’intreccio e
in più uno strappalacrime; se il risultato è un romanzo godibile
come Senza sangue, diamogli atto di aver raggiunto un
risultato molto lusinghiero: chapeau!
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