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Se Vattimo non è una velina
Elisabetta Ambrosi
Si è tenuta nei giorni scorsi a Modena, Carpi e Sassuolo la
seconda edizione del “festival della filosofia”, organizzato
anche quest’anno dalla Fondazione Collegio San Carlo di Modena.
Parola chiave della manifestazione, la bellezza:
sostantivo popolare ma senz’altro assai più ambiguo di quello
- felicità - dello scorso anno.
Uguale alla passata edizione, invece, il poderoso schieramento di
filosofi (ma anche teologi e psicoanalisti) invitati a presentare
una relazione. Tra gli altri, ricordiamo Massimo Cacciari, Remo
Bodei, Sergio Givone, Gillo Dorfles, Francisco Jarauta, James
Hillman, Mario Perniola, Emanuele Severino, Alfonso M. Iacono,
Francesca Rigotti, Gianni Vattimo, Enzo Bianchi, Bruno Forte,
Zygmunt Bauman, Fernando Savater.
Filosofi come popstar
La straordinaria novità della manifestazione modenese sta senz’altro
nell’aver riunito insieme due elementi che, in genere, hanno poco
a che fare tra loro: e cioè da un lato la filosofia, e dall’altra
le persone, la “gente”. che infatti era tanta, anzi tantissima.
Nonostante che le maestose e meravigliose cornici nel quale gli
incontri erano organizzati (chiese, cortili, chiostri, palazzi)
fossero pensate per centinaia di persone, spesso neanche le sale
aggiuntive con i maxischermi, messe a disposizione dall’organizzazione
del Collegio, sono bastate per ospitare tutti.
Emblematico il caso della lezione di Umberto Galimberti a Palazzo Ducale di
Sassuolo: oltre alla sala dell’incontro, alla sala aggiuntiva con
lo schermo, anche il grandissimo cortile del palazzo, dove erano stati
posizionate le casse per la trasmissione audio, era stracolmo di
famiglie con bambini, anziani, signore, che sono accorsi in massa -
alla fine dell’incontro - a chiedere autografi al (sudato)
relatore.
Anche il clima, che di volta in volta si è creato con i
relatori, è stato singolarissimo. Un Vattimo in grande forma ha
scambiato a lungo battute con il pubblico, in una sorta di grande
“seduta” collettiva: lo stesso è valso nel caso di tanti altri
incontri, come quello con Odifreddi, logico ma soprattutto
intrattenitore, o con il vero proprio mattatore Savater.
Il “marchio” filosofia?
Insomma, il singolare rapporto tra filosofi e “masse”, che
sempre problematico è stato nel corso della storia, sembra aver
trovato un felice equilibrio nella “tre giorni” emiliana. Il
successo di folla è stato poi accompagnato da un’altra piccola
rivoluzione: la filosofia è diventata un marchio vero e proprio. Il
“logo” del convegno era stampato su cappelli, borse, poster.
Divertentissimi gadget hanno fatto sorridere anche seriosi
accademici e altri che ritengono la filosofia una faccenda piuttosto
elitaria: magliette con scritte, “collane (non di libri)
filosofiche” (“un filosofo è per sempre”: ma al posto del
diamante un ciondolo con scolpiti i nomi di Kant, Hegel, e altri
massimi filosofi), bustine antivomito contro la nausea di sartriana
memoria. E tante altre idee ancora (dopo il grande boom dei “museum
shop” avremo ora dei “philosophical shop”?).
Ma esiste un risvolto negativo di questo grande successo di folla?
Forse, essendo la filosofia una disciplina che comporta fatica, mediazione,
riflessione; essendo la filosofia una forma complessa di pensiero, c’è
il rischio che eventi come questi finiscano per proporre riflessioni
banalizzate, “edulcorate”, preparate per il grande pubblico. Un
tema così ambiguo come quello della bellezza, in particolare, ha
una ancor più alta probabilità di essere equivocato: che cosa si
intende veramente con “bellezza”? E che cosa si può
sensatamente dire a proposito del tema a un pubblico che ormai lega
la parola non tanto all’estetica, quanto e soprattutto alla
cosmetica?
Il bagno di folla dei filosofi popstar sembra
ancora più contraddittorio se pensiamo al fatto che - proprio come
l’anno scorso è avvenuto per il tema della felicità - tutte le
lezioni del festival non hanno fatto altro che mettere in luce
un profondo divario tra la bellezza così come è intesa non tanto
nel senso comune (del quale la filosofia ha abbastanza rispetto) ma
nel circuito della comunicazione e dei media.
“Il bello è lo splendore del vero”: così recitava, secondo una
frase attribuita a Platone, un manifestino del festival. Se, come l’anno
scorso una filosofa italiana, Roberta De Monticelli, ha
sottolineato, la felicità - al contrario di quello che si crede -
non ha affatto come suo contrario la sofferenza, quanto piuttosto l’apatia,
l’anestesia (e quindi la felicità non consiste in un sentimento -
labile e volubile - ma in una realtà); così, allo stesso modo,
molte voci quest’anno si sono affannate nel cercare di argomentare
la tesi per cui la bellezza non solo è qualcosa di opposto alla
ricerca della forma fisica da esibire nei concorsi, ma anche
qualcosa di assai lontano da una semplice riflessione sull’armonia
e la “concordia” visiva nell’arte.
Proprio come la felicità, la bellezza non è affatto un dato, ma
spesso un risultato; ancora, la bellezza non è assenza di
conflitti, ma anzi è generata dallo scontro, dalla tensione;
infine, la bellezza non ha come suo contrario la bruttezza, quanto
piuttosto l’incapacità di utilizzare la pienezza dei sensi, e
dunque di nuovo l’anestesia, l’assenza di emozione e dunque di
riflessione (dal momento che i due aspetti sono inscindibilmente
legati).
Sempre come lo scorso anno, per concludere, è venuta infine fuori
con forza la valenza politica della bellezza, intesa come
forma di protesta verso l’esistente così come semplicemente è
dato e come conquista di una realtà altra
da quella che il vissuto quotidiano ci consegna.
In conclusione
In che rapporto sta dunque, questa idea di bellezza - che rimanda a una faccenda personale, individuale (ma non nel senso di una
questione monologica, autoreferenziale) - con una manifestazione di massa, se nuovamente
intendiamo quest’ultima nel senso di evento che mette in atto
meccanismi collettivi di identificazione, emulazione, riproposizione
passiva? Eppure…
Eppure, l’evento del festival resta un evento interessante, significativo, resta insomma una buona, ottima, iniziativa. Ascoltare Galimberti, Vattimo, Cacciari invece
che, ad esempio, i Lunapop, oppure Totti e Montella, non è
esattamente la stessa cosa. Riproporre, magari anche in formula
stereotipata, le loro frasi, battute, idee è senz’altro comunque
positivo, perché si tratta di frasi, battute, idee, appunto, che,
facendo emergere una “struttura” del reale dove le cose sono in
messe in relazione tra loro in maniera diversa, invitano a guardare
la realtà da un punto di vista inedito, e dunque producono un
positivo effetto “straniante”.
All’anno prossimo dunque, con un altro festival su un tema
ancora più cruciale e importante: la vita, la sua negazione,
la sua protezione, la morte, temi di cui senz’altro molte persone
- noi tutti compresi - avranno voglia di sentir parlare.
Il link:
Tutte le informazioni sul festival sul sito del festival: www.festivalfilosofia.it
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