Caffe' Europa
Attualita'



Il riso abbonda



Guido Martinotti




Il nostro primo ministro fa spesso cose che in qualsiasi italianissimo gruppo di amici verrebbero definite una “figura”. E che in ogni cittadina di provincia procurerebbero rapidamente la patente di scemo del villaggio. Prendi la storia dell’inglese all’ONU, raccontata in modo esilarante da Merlo sul Corriere. Forse io sono di un’altra generazione (o forse di un altro pianeta) ma di uno che passa due giorni chiuso in un albergo per mandare a memoria un discorso in una lingua ignota, a casa mia si sarebbe detto che era un fesso. E tutti si sarebbero sbellicati dalle risa quando poi la pronuncia della prima frase viene fuori con un clamoroso “Ui men end vuman of Italy” (i bambini della prima lezione di pronuncia sanno che il plurale “donne” non si pronuncia vuman ma uìmen. A sentirlo fa una bella differenza, ve lo garantisco).

Siamo ritornati alla famosa barzelletta del Ministro democristiano che va a Parigi a una importante conferenza internazionale e, partendo in vagone letto, si accorda con il proprio segretario per approfittare del viaggio per esercitarsi un po’ in francese, lingua a lui ignota,. Risultato: la mattina il segretario bussa alla porta della cabina del Ministro, toc toc. “Qui busse?”, “Je”, "Avant". Tutto sommato, però penso che il tentativo di fare "bella figura" parlando in inglese, anche se il risultato è stato poi quello che nei circoli accademici è noto come “japanese english”, sia un tratto simpatico del nostro, che dimostra voglia di imparare e fare bella figura. Certo ci si sentirebbe un po’ più tranquilli se i nostri uomini politici cercassero meno di assomigliare a dei personaggi dei Sopranos.

Molti anni fa è venuto a trovarmi un amico francese con il quale alle isole Glenans avevamo stretto una di quelle amicizie estive che poi rapidamente inaridiscono durante i mesi invernali. Ma quella era in qualche modo rimasta, con uno scambio epistolare che aveva superato le secche di un mio francese raccogliticcio. Un giorno l’amico Pierre passa da Milano, senza avvertimi, io non sono in casa e lui e la moglie vengono ricevuti nel salotto buono da mia madre. La quale, non sapendo bene cosa dire, si mette a raccontare della morte di mio padre avvenuta non molto tempo prima.

Il mio amico non capisce una parola di italiano e per essere gentile continua ad assentire ridendo beato, finché sua moglie non riesce a fargli capire che si sta parlando di morti. Mia madre mi ha poi raccontato che sono finiti a ridere tutti e tre, ma certo l’amico non l’ho più rivisto. A Camp David, mentre Bush, (che è un tipo che ride poco, anche se ha un suo senso campagnolo dello humor che qui definirebbero horsesense) faceva il suo discorso durissimo diretto a Saddam, dicendo cose gravi e pesanti, Berlusconi si girava verso tutti quelli che stavano intorno, ridendo e assentendo. Era chiarissimo che non aveva la più pallida idea di cosa si stesse parlando, ma giuggiolava come un cagnone felice di stare vicino al suo padrone. Il fou-rire degli astanti è rimasto, per ragioni di etichetta, sotto il pelo dell’acqua, mentre il pubblico televisivo ormai digerisce senza ridere anche se gli vengono a raccontare che ci sono patatine fritte senza grasso. Peccato che mia madre non prenda la CNN, perché si sarebbe molto divertita.

Ma poi perché ridono? In questo devo dire che preferisco di gran lunga Bossi e Fassino. Infatti cosa c’è da ridere? Ma li guardate bene? Da piccolo ho fatto le elementari un una scuola alla Don Milani: prima, seconda e terza in un’aula con la maestra Pivetta, veneta, magra allampanata con i capelli di filo elettrico come le bamboline Beanies. Quarta e quinta nell’aula accanto, con la maestra Ruschetta, veneta di prammatica anche lei, ma inevitabilmente piccoletta e rotonda. Posso assicurare che erano classi infernali che venivano spesso trattate con i dovuti mezzi di coercizione fisica. Soprattutto dalla maestra Pivetta che aveva l’agilità per saltare sui banchi tenendosi la gonna con la sinistra, in modo da poter menare accuratissimi fendenti di destra con una colossale verga.

Nei momenti migliori dimostrava una mira di precisione tirando uno di quei bei calamai che la saggezza dei funzionari ministeriali avevano reso assolutamente infrangibili sulle teste rapate e già abbondantemente cicatrizzate dei più riottosi. Ma l’attività collettiva in cui tutte le classi eccellevano era il fou-rire, un nonnulla bastava per scatenare delle risate fiume, irrefrenabili e assordanti, che la maestra Pivetta con il suo accento veneto rinfocolava con un “Semi, semi, il riso abbonda sulla bocca degli stolti”. E tutti giù a ridere sempre più forte finché non arrivava il calamaio. Questo proverbio però, mi è rimasto impresso e ha trovato molte conferme nel corso della mia esistenza. Giro l’invocazione a quei politici che ridono sempre, a volte senza rendersi conto che in quel momento si sta parlando di morti.


 


Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio Attualita'


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 2001

 

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier | Reset Online | Libri | Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media | Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo