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Un leone contro i fanatismi



Paola Casella



Si è chiusa senza grandi scandali e senza eclatanti sorprese la 59esima Mostra del cinema di Venezia, con la vittoria annunciata (anche da Caffè Europa, nel precedente reportage dal Lido) del film di Peter Mullan, regista e attore scozzese, The Magdalene sisters, appena uscito nelle sale italiane sotto il titolo abbreviato Magdalene. Un film che era piaciuto a tutti, pubblico e critica, pur senza suscitare entusiasmi travolgenti. Un premio che, in qualche modo, è anche un piccolo atto di coraggio da parte di Moritz De Hadeln, il direttore di questa edizione della Mostra, e della giuria presidiata dall'attrice cinese Gong Li: perché The Magdalene sisters è un atto di accusa nei confronti di quella Chiesa cattolica che spesso chiude un occhio sulle brutture al suo interno, ma anche nei confronti di tutte le religioni che riservano un trattamento umiliante e oppressivo nei confronti delle donne.

Restano a mani vuote Takeshi Kitano, forse il regista più atteso al Lido (fra gli appassionati di cinema, non fra i fan delle star hollywoodiane), il cui Dolls è sembrato a molti noioso, didascalico, a tratti addirittura incomprensibile. Così come a bocca asciutta rimangono il Stephen Frears di Dirty pretty things, bellissimo racconto dal sottomondo che tratta il commercio illegale di organi come spunto narrativo, invece che come tema strappalacrime da tv-movie, e il Steven Soderbergh di Full frontal, che tornava alle origini indipendenti e psuedoartigianali del suo film d'esordio, quel sesso, bugie e videotape trionfatore al Festival di Cannes.

Forse la principale perplessità è stata destata dall'assegnazione della Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile a Stefano Accorsi, protagonista, insieme a Laura Morante, del film di Michele Placido Un viaggio chiamato amore, già sui nostri grandi schermi. Accorsi, interprete di qualità assai coraggioso nelle proprie scelte artistiche, in Un viaggio chiamato amore interpreta però il poeta Dino Campana in modo enfatico, rimanendo costantemente sopra le righe, e ansimando fra una battuta e l'altra come se la passionalità fosse comunicabile solo col fiatone.

Non è solo colpa sua: la sceneggiatura del film dettaglia la figura di Sibilla Aleramo (interpretata dalla Morante) in modo assai più completo, riservando ad Accorsi un ruolo sotto-scritto, con la motivazione (la scusa?) che la figura di Campana dovesse rimanere un enigma. Forse un grande caratterista avrebbe saputo supplire alle carenze del copione, ma Accorsi è, nel bene e nel male, un prim'attore, che sa dare corpo a personaggi complessi e dettagliati, ma non sa (o almeno, non ha saputo in questo caso) tirare fuori l'anima da un cameo mal scritto.

Altra perplessità per il Premio alla giuria ad Andrei Konchalokswi per il suo Dom Durakov, ambientato in un ospedale psichiatrico al confine ceceno, che vanta il surreale cammeo del cantante pop Bryan Adams - film visivamente coinvolgente (con frequenti omaggi al cinema visionario di Fellini) ma narrativamente caotico e inconcludente.

Azzeccata, invece, la scelta di Julianne Moore come vincitrice della Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile in Far from heaven, il melodramma in stile Douglas Sirk confezionato (un termine più giusto che "girato", visto il look bomboniera) da Todd Haynes. La Moore passa con disinvoltura acrobatica dalla caratterizzazione della perfetta society lady a quello di madre autoritaria a quello di moglie remissiva a quello, infine, di creatura smarrita alla ricerca di un frammento di verità nella prigione delle apparenze che era la vita nella provincia americana anni '50 ritratta in Far from heaven.Il film ha ricevuto anche il premio per il contributo individuale più significativo, assegnato al direttore della fotografia Ed Lachman.

Grande incetta di premi infine per il cinema asiatico, soprattutto nella sezione Controcorrente (quella che si è sostituita a Cinema del presente, nel dare spazio alla cinematografia in qualche modo sperimentale e innovativa): Premio San Marco a Springtime in a Small Town di Tian Zhuang Zhuang, Premio speciale della giuria a A snake of June di Shinya Tsukamoto, e menzione speciale a Public Toilet di Fruit Chan. Nella sezione Venezia 59, invece, due riconoscimenti importanti per Oasis del coreano Lee Chang-dong, già autore dei due film-culto Green Fish e Peppermint twist: il Gran premio della giuria e il Premio Mastroianni per la giovane attrice esordiente Moon So-ri,che insieme a Sol Kyung-gu era stata interprete anche di Peppermint twist.


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