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Attualita'



Il nuovo disordine globale



Guido Carandini*



Quella che segue è la prima parte di una ricerca sul modo occidentale di concepire la globalizzazione e di indirizzarne gli sviluppi. La seconda e terza parte appariranno sui prossimi numeri di Caffè Europa.

 

Il diavolo e un suo discepolo passeggiando incontrano un uomo. Dice il discepolo “quell’uomo conosce un po’ di verità”. “E allora?” chiede il diavolo. “E allora è pericoloso per noi” risponde il discepolo. “Non ti preoccupare” dice il diavolo, “la organizzerà”.

PREMESSA

Per molti anni sono stato impegnato sia in una impresa agricola che nello studio dell’economia e della scienza politica. Dapprima ho ritenuto che nelle due attività si potesse applicare la medesima logica: cercare la soluzione appropriata di ogni dato problema. Solo successivamente mi sono reso conto che l’attività di ricerca sui temi sociali e politici esige che venga applicato un diverso metodo suggerito da Platone nei suoi Dialoghi: invece di ricercare la giusta risposta per ogni domanda o la giusta soluzione per ogni problema, occorre chiedersi quale sia l’insieme delle domande (dei problemi) da porsi.

Questo è tanto più vero quando si considerano questioni complesse per le quali a una stessa domanda possono essere date più risposte altrettanto soddisfacenti, ciascuna in ragione del diverso punto di vista che è possibile considerare. In altri termini, nell’impresa, come nella matematica lineare, vi è una sola buona risposta per ogni domanda. E’ dunque un sistema deterministico. Mentre nelle questioni politico-sociali, come nella matematica non lineare, le corrette soluzioni dipendono altamente dalle condizioni iniziali, ovvero dal diverso sentiero che le cose possono percorrere nella loro evoluzione. Sono dunque sistemi “sentiero-dipendenti”, non deterministici. I matematici li chiamano sistemi stocastici nei quali le variabili non sono né completamente determinate né totalmente casuali: sono cioè “probabilisticamente determinate”.

Di conseguenza questa ricerca sul modo occidentale di concepire la globalizzazione e di indirizzarne gli sviluppi è organizzata attorno a un gruppo di domande. La loro scelta discende da alcune ipotesi sui probabili “sentieri” dei processi in corso, che espongo in via preliminare. Successivamente le stesse domande vengono riformulate in modo più problematico. Alla mutazione della politica, come conseguenza del nuovo disordine globale, dedico un breve accenno conclusivo.

1. LE CINQUE IPOTESI DI LAVORO

1.1 La prima è che la globalizzazione ha prodotto condizioni per le quali non conosciamo ancora né un nome né una risposta. Perché e in che senso? Si afferma generalmente che negli ultimi dieci anni, a seguito del collasso dei regimi comunisti e con la fine del sistema bipolare della guerra fredda, la globalizzazione è un evento che ha dato una forma nuova alle relazioni mondiali, agli equilibri delle potenze, alle economie, alle culture e alle politiche. Ma non vi è ancora consenso su cosa si debba intendere per globalizzazione.

Occorre ammettere che le attuali scienze politiche ed economiche sono chiamate a interpretare un mondo che è significativamente diverso da quello in cui erano state create. Inoltre ragioni ideologiche possono deviare la ricerca dai suoi presupposti critici. Per fare un solo esempio un certo sapere accademico ha ridotto l’economia politica da critica (liberale, socialista, marxista) della società a scienza dei “comportamenti razionali “ nell’ambito della “teoria dei giochi”. Quella che oggi predomina nelle scuole universitarie di “business management” è quindi la economia politico-informatica al servizio del mondo degli affari. E’ dunque essenziale, per tornare a indagare la politica e l’economia con spirito critico ma in consonanza con le trasformazioni in atto, porsi questa prima domanda : di cosa discutere parlando di globalizzazione? Di quale aspetto e da quale punto di vista?

1.2 La seconda ipotesi è che il processo che sta realizzando un unico mercato mondiale sia da considerarsi “globale” prevalentemente dal punto di vista degli interessi occidentali. Se la globalizzazione viene intesa come un processo di modernizzazione attraverso il quale il “capitalismo del libero mercato”, la sua cultura neo-liberista e il suo stile di vita vengono diffusi nel mondo intero, allora sarebbe più giusto definirla come “occidentalizzazione” almeno nel senso che l’economia capitalistica è stata originata in occidente. E poiché l’attuale sistema capitalistico mondiale è dominato dagli Stati Uniti d’America e l’Europa, finora, non è stata in grado di proporre un modello di globalismo sottratto all’egemonia americana, la globalizzazione potrebbe altrettanto bene essere definita “americanizzazione”.

Antagonistiche rispetto a questa dimensione unilaterale della globalizzazione sono le reazioni contro i modelli economici e i valori occidentali del neo-liberismo. Vi sono forze locali, divise e talvolta contrapposte ma di dimensioni mondiali, che si oppongono alla globalizzazione occidentale ed all’idea stessa che la trasformazione “globale” debba significare, ideologicamente e praticamente, l’accettazione universale di uno stile di vita occidentale, di valori occidentali, dell’estremo individualismo occidentale. In particolare l’opposizione al globalismo dell’occidente è alimentata, anche al suo interno, dalla constatazione della incompatibilità fra il modello della crescita economica capitalistica, l’esplosione demografica e il degrado ambientale.

Poiché il globalismo occidentale tende a oscurare questi problemi, la seconda domanda è allora la seguente: qual’è l’ideologia sottostante al neo-liberismo?

1.3 La terza ipotesi è che il globalismo si accompagna a una sempre maggiore subordinazione della politica al mondo degli affari. Che gli affari, soprattutto i grandi affari che sono l’anima del capitalismo, abbiano sempre avuto bisogno dell’appoggio pubblico e del potere statale per affermarsi è del tutto ovvio. Senza la protezione diretta o indiretta dello stato sarebbero impensabili i grandi oligopoli, i grandi profitti e la grande accumulazione. Ma oggi, nel mondo globale, la filosofia e la pratica del cosiddetto “libero mercato” - non soltanto all’interno del contesto occidentale ma anche nelle aree dell’ex sistema comunista, come per esempio la Cina e la Russia consiste nell’affrancamento degli affari dalla politica, cioè nella insubordinazione degli affari rispetto alle regole che non gli siano del tutto favorevoli.

In Italia come negli USA , la nuova destra ha vinto mediante il palese predominio neo-liberista degli affari aziendali sugli affari pubblici. Berlusconi è il diretto rappresentante in Italia di questa nuova destra come lo è Gorge W.Bush in America. La vittoria della destra è stata spiegata adducendo la ricchezza personale di Berlusconi e, nel caso del Presidente degli S.U., la potenza degli interessi economici che George W.Bush rappresenta in prima persona. Ma ritengo che sia probabilmente più saggio, dal punto di vista della scienza politica, cercare le ragioni reali del successo delle destre nelle pratiche del neo-liberismo su scala mondiale e nell’attrazione che la sua filosofia esercita su larghi strati sociali.

Le pratiche del neo-liberismo si collocano, anche nell’era della globalizzazione, in un sistema mondiale dell’economia che, sin dal suo affermarsi intorno al XVI secolo, è articolato nelle tre sfere dell’attività materiale di base a carattere elementare, del libero scambio nel mercato concorrenziale, dei grandi monopoli legati al potere statale. Quest’ultima sfera è quella che più propriamente è definibile come “capitalistica” perché in essa si generano i grandi affari e la grande accumulazione.

Allora una terza domanda può essere la seguente: qual è la dinamica specifica e quale il ruolo politico dei grandi monopoli nel capitalismo globale?

1.4 La quarta ipotesi è che il nuovo ordine globale transnazionale sta riducendo la democrazia a un inganno. La globalizzazione produce una società mondiale senza uno stato mondiale e senza un governo mondiale. Cosa dire delle istituzioni “supplenti” come l’ONU, la Banca Mondiale (WB), il Fondo Monetario Internazionale (IMF), l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO)? La prima è evidentemente in difficoltà malgrado stia assumendo compiti nuovi di mantenimento della pace in aree molto rischiose come il Kossovo e l’Afganistan. Le altre sono perlomeno non governate in modo democratico e palesemente dominate dagli USA. Nell’ IMF, per esempio, solo gli USA hanno il potere di veto. Inoltre le decisioni che coinvolgono milioni di persone vengono prese dai soli ministri economici e dai governatori delle banche centrali. Dunque molto c’è da fare per migliorare il livello democratico di quelle istituzioni economiche dominate dall’ideologia neo-liberista.

Ma il problema più difficile per la democrazia è la globalizzazione delle imprese trans-nazionali. Essa libera sempre più quelle imprese dagli obblighi imposti entro uno Stato territoriale. La totale mobilità dei capitali garantita nei mercati globali finanziari telematici, legali e illegali, aperti o clandestini nelle banche off-shore, sottraggono alle politiche nazionali il controllo sugli investimenti e sulla occupazione. Il “compromesso” fra le forze sociali, i vincoli sindacali, le garanzie dello Stato sociale vengono scavalcati. Il capitale si sposta liberamente in base al puro calcolo dei rendimenti e nessun provvedimento politico può attualmente impedirgli di creare disoccupazione in un’area mentre accresce la sua presenza in un’altra. Viene così fortemente indebolito il ruolo statale legato a una situazione in cui le masse dei cittadini (organizzate nei partiti) condividevano e imponevano progetti di contenimento del potere capitalistico attraverso azioni collettive, cioè politiche e sindacali. La “cittadinanza trans-nazionale” entra così in conflitto con i diritti civili e di cittadinanza conquistati in passato dalla sinistra e per questa via la democrazia deperisce.

Da questa ipotesi deriva quindi la domanda seguente: come ridare forza alla democrazia e come introdurla negli organismi internazionali ?

1.5 La quinta ipotesi è che la globalizzazione del capitalismo conduce a una sempre maggiore divaricazione tra ricchezza e povertà. L’economia trans-nazionale esige dagli Stati una politica di demolizione dei vincoli sindacali e fiscali per avere mano libera nel mercato del lavoro e dei capitali. Come afferma Ulrich Beck: “il contratto sociale della prima modernità viene rotto (…) e riscritto secondo le direttive proprie dell’agire economico”. E ancora: quando la polarizzazione fra ricchezza e la povertà diventa globale “non ci sono più i nostri ricchi e i nostri poveri. Il rapporto di umana pietà che finora era alla base di tutte le forme storiche di disuguaglianza viene a cadere nel nuovo <<non-luogo>> della società.”

Il capitalismo globale dissolve i valori di solidarietà e di sicurezza che sono alla base dell’alleanza storica, conquistata dalla sinistra, tra capitalismo, Stato sociale e democrazia, cioè fra economia di mercato e i fondamentali diritti politici, sociali ed economici. Trascurare questa realtà, non misurarsi con queste trasformazioni, costituisce il peccato capitale della sinistra, anche quando solidarizza con il movimento dei no-global, dato che non è la globalizzazione che deve essere combattuta con una battaglia contro i mulini a vento, ma il “globalismo” fondamentalista dell’occidente che vuole l’applicazione del neo-liberismo al mondo intero. Perché la globalizzazione non è solo negativa. Infatti non produce soltanto contrasti drammatici fra grandi ricchezze e grandi povertà ma anche identità e culture cosmopolite, occasioni di contatti e di circolazione delle idee che ampliano la democrazia, movimenti trans-nazionali che rimettono in discussione le ideologie del libero mercato e spingono nella direzione di una maggiore democrazia globale. Se il neo-liberismo vuole produrre un unico “mondo di merci” è possibile opporgli, usando proprio le risorse culturali ed economiche della globalizzazione, un “mondo di uomini liberi”.

La domanda diventa allora: vi è una globalizzazione che, producendo crescita economica, non determini anche la crescita delle disuguaglianze?

*Guido Carandini, nato nel 1929, è stato imprenditore e studioso di problemi economici e sociali. Fra le sue pubblicazioni sono da ricordare gli studi sulla teoria marxiana degli anni '70 e alcuni saggi politici sulla sinistra in Italia degli anni '90. Nel 1972 è stato chiamato a insegnare storia delle dottrine economiche all'Università di Macerata. Nel 1976 e nel 1979 è stato eletto Deputato del PCI alla Camera.

 

 


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