No-global e realtà europea
L'opinione di un lettore
Tommaso, il nostro lettore, ha scritto questa breve riflessione
dopo eszsersi recato a Genova lo scorso fine settimana.
Se il movimento no-global non è una nuova veste per vecchie idee o
la conseguenza dei soliti pruriti rivoluzionari, allora necessita di
un salto di qualità per non sciogliersi come neve al sole. I rischi
che corrono i no-global sono la dispersione e l’assorbimento da
parte della partitocrazia. La dispersione si rischia mirando all’utopia
perché l’inconcludenza delle illusioni logora nel tempo anche gli
entusiasmi più accesi. Il movimento no-global mira ad un possibile
mondo migliore (chi non lo vuole?) e denuncia i drammi dell’ingiustizia
che affligge il mondo (chi, almeno a parole, non lo è?).
Il problema è come. Le questioni che sollevano i no-global sono
vere ma per incidere sulla realtà bisogna percorre un cammino
politico realistico. Ad esempio i no-global sostengono che da
cittadini del villaggio globale siamo tutti responsabili delle
ingiustizie del pianeta. Giusto, ma come si può pretendere che un
cittadino italiano diventi cittadino del mondo quando non è ancora
in grado di essere cittadino europeo? Partendo dalla realtà e
volendo restare con i piedi per terra, un obiettivo politico
realistico è l’integrazione politica e sociale europea e solo
allora proiettarsi a ragionamenti su scala mondiale. Salvo restando
l’impegno solidale allo sviluppo e all’emergenza anche come
testimonianza, fame e povertà sono i sintomi di un malessere che ha
spesso origine nel mondo ricco.

Per questo, la costruzione della democrazia
europea è la vera opportunità storica per capire come si possa
dare vita concretamente ad una società più giusta e articolata in
popoli diversi. L’Europa può divenire un laboratorio politico in
grado di sviluppare idee e soluzioni per un nuovo compromesso tra
economia e politica, pubblico e privato, particolare e generale e
tra nazionale ed internazionale
La seconda trappola per i no-global è venire assorbiti nella
profonda crisi che lacera la partitocrazia moderna, crisi a cui non
sembra esserci soluzione non esistendo alternative ai partiti in
democrazia.
Le istituzioni partito fanno acqua ma inefficienze, clientelismo,
elitarismo e inconcludenza sono attribuibili a scelte di uomini in
carne ed ossa e non ad una architettura istituzionale debole. Sono
gli uomini politici a dirigere la danza ed è a loro che si deve
rendere conto non permettendogli di sguazzare nei vantaggi garantiti
dalla loro posizione. Perché il cambiamento politico avvenga senza
traumi deve essere reciproco. Da una parte i partiti devono uscire
dalle segreterie e dialogare con la società civile attraverso
centri di ascolto e di ricerca permanente invece della solita
sterile riunionite. Dall’altra, la società civile non può vivere
di sola protesta e deve raccogliere consenso trasformandolo in
azione politica riformista attraverso uomini e partiti se vuole
incidere sulla realtà.
L’esperienza no-global evidenzia il dato politico di una società
civile insoddisfatta del presente e oppressa dal futuro. Una parte
di questa società civile fa riferimento in realtà a proposte ed
ideologie accantonate dalla storia, un'altra pone invece questioni
nuove che richiedono una risposta politica altrettanto nuova. Una
politica coraggiosa, internazionale, basata sulle cose concrete e
capace di riprendere il centro della scena aprendosi ad idee e
uomini nuovi e liberandosi dai fantasmi del passato e dal cappio
dell’economia. Una politica capace di trascinare la società verso
il futuro e non fungere da zavorra assecondando gli egoismi di
turno. Il cammino per il futuro porta all’Europa politica e
sociale, il resto è un film già visto.
Tommaso
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