Arancia Meccanica: Alex, Ludwig e
Gioachino
Giuliano Mascherpa
Moltissimi critici hanno rilevato, con piena ragione, quanto
fondamentale sia l’elemento musicale in Arancia Meccanica più che
in altri film di Kubrick. Qui, infatti, la musica viene a essere
parte integrante del racconto cinematografico delle gesta di Alex e,
addirittura, motivo del suo agire.
Pensiamo ad alcuni esempi: Alex e i drughi lungo il Tamigi: i drughi
hanno appena mancato di rispetto al loro leader e Alex, non appena
sente la Gazza Ladra di Rossini, diffusa da uno stereo nelle
vicinanze, SA quello che deve fare: è la musica (ce lo dice lo
stesso Alex) a diventare motore della sua azione. Oppure: Alex e la
cura Ludovico: Alex è emotivamente ferito più dalla musica che
dalle immagini delle quali gli viene imposta la visione.

Mi pare di poter, con buona pace di tutti,
scindere in due l’anima di Alex (come scindibile è il suo nome:
A-lex): una parte è lo specchio del suo vissuto personale e il suo
rappresentante musicale è Ludwig van Beethoven (il Ludovico Van,
come affettuosamente lo chiama Alex) con la Nona Sinfonia; l’altra
parte riguarda invece il rapporto tra Alex e il mondo esterno e suo
ambasciatore sonoro è il pesarese Gioachino Rossini con l’Ouverture
della Gazza Ladra alternata a quella del Guglielmo Tell.
Detto questo, si possono individuare rapporti ancora più
strutturati tra la musica che sentiamo (diegetica o extra-diegetica)
e ciò che Alex fa mentre la sentiamo.
Cominciamo con il Ludovico Van: Alex torna a casa, dopo l’attacco
allo scrittore e a sua moglie e, nella solitudine della sua stanza,
accarezzando quel simbolo fallico che è il pitone che tiene nel
cassetto del comodino, si mette ad ascoltare il secondo movimento
della Nona, esaltante inno all’uomo (e dunque al suo ego): tanto
che la mente di Alex, stimolata da quelle magnifiche e possenti
note, comincia a propinargli frenetiche visioni di violenza che
paiono tratte a forza dai B-movies dei quali, con buone
probabilità, il giovane protagonista si è massicciamente nutrito.
E mentre ascolta, Alex, verosimilmente posseduto dal suo flusso di
coscienza, si masturba con voluttà.

Il mattino dopo, altra conferma di questo stretto
rapporto: Alex apre la porta di camera sua (chiusa da una serratura
a combinazione numerica) e attraverso la zoomata all’indietro Alex
ci appare in relazione prospettica con il poster di Beethoven che
tiene appeso alla parete di camera sua.
La marcia dell’Inno alla Gioia, riletta secondo l’idea del
futuro dove è ambientato il film, accompagna Alex al negozio di
dischi, dove il ragazzo arriva vestito alla maniera di Beethoven e
dove fieramente ostenta il suo Ego beethoveniano (grazie al quale fa
conquiste). Ed è attraverso questo stesso brano di musica che i
responsabili della cura Ludovico (Ludovico, guarda caso!) instillano
ad Alex il ribrezzo di se stesso e delle sue malefatte (a riprova
della constatazione che la musica di Beethoven e l’anima di Alex
sono una cosa sola).
Anche lo scrittore, accortosi (sempre grazie alla musica!) che quell’Alex
capitatogli in casa è quello stesso che anni prima ha fatto
violenza a sua moglie e l’ha costretto su una carrozzina, tenta
vendicarsi con l’ausilio della Nona di Beethoven: tant’è che
Alex, cui ormai ripugna tutto ciò che gli ricorda lo spirito libero
che è stato, cerca la morte gettandosi dalla finestra della casa
dello scrittore, in cui è tenuto come ostaggio.
Passiamo ora a Gioachino Rossini, la cui musica, nel film,
accompagna le scene di violenza e di sesso: è, per dir così, la
colonna sonora dell’agire “sociale” (nel senso più lato del
termine) del nostro protagonista. La Gazza Ladra accompagna lo
scontro tra Alex e i drughi e la banda di Georgie Boy e il viaggio
verso la casa dello scrittore; il Guglielmo Tell, in versione
parodisticamente accelerata, scandisce le fasi dell’accoppiamento
tra Alex e le due ragazze incontrate nel negozio di dischi. E’
ancora la Gazza Ladra a far da motivo conduttore all’assalto, da
parte di Alex, alla signora dei gatti.

Beethoven - la sua musica - è l’anima stessa di
Alex, la sua componente più intima e pura; Rossini è colui in cui
questa componente si trasforma una volta varcata la soglia di casa.
Del resto, questa diversa funzione della musica dei due grandi
compositori ha una ragione anche storica, se Schopenhauer poteva
definire il suo tempo corrotto a partire dal fatto che egli stesso
apprezzava più la musica di Rossini che quella di Beethoven:
Beethoven, in effetti, ha distrutto gli argini della forma sonata a
partire dalla rivoluzione interna dell’individuo, ha fatto del suo
messaggio un messaggio universale proprio per l’attenzione e l’amore
riservati all’Umanità e all’individuo, all’eroe sorto dalle
ceneri della Rivoluzione Francese: quel puro e intatto spirito,
insomma, che aleggiava nelle pagine dei romantici tedeschi e del
quale Beethoven è stato senz’altro il più potente interprete.
Anche Rossini ha operato la sua bella rivoluzione, è fuor di
dubbio: solo che, per l’appunto, era rivolta all’esterno, aveva
quale perno l’altro da sé, tutto ciò che l’Uomo circonda.
Rossini è il creatore dell’assurdo, del demenziale: la follia che
permea tutte le sue opere è di carattere comunitario, è pazzia
generalizzata (penso al coro Nella testa ho un campanello, dall’Italiana
in Algeri): e proprio per questo aspetto di rottura delle regole
sociali, Rossini può e deve essere considerato uno spirito libero.
Dunque, quale utilizzo migliore dei due, in Arancia meccanica?
Beethoven per il sé e Rossini per l’altro da sé.
Per chiudere il discorso sulla musica, accennerò, anche se
brevemente, ad alcune delle altre musiche che accompagnano il film:
- Ancora Beethoven, in un ruolo importante: le quattro perentorie
note che formano la cellula melodica della Quinta Sinfonia, sono
trasfigurate nel suono del campanello d’ingresso della casa dello
scrittore. Lo scrittore di cognome fa Alexander e già questo
richiama la sua "parentela" con Alex: egli è, come Alex,
un rivoluzionario, ma è troppo politicizzato, ha scelto di essere
di sinistra più per posa che per un sincero modo d’intendere la
politica e la vita. Ci ricorda certi antipatici snob dei giorni
nostri che predicano bene e razzolano male. Ecco quindi l’intento
irrisorio di quella parodia beethoveniana. Quando qualcuno suona
alla porta dello scrittore, sente un motivo che dovrebbe essere
eroico, ma che, così trasformato (e applicato a un individuo che di
eroico non ha più nulla), suona come ridicolo: la sua libertà è
finta, il suo grido di rabbia rivoluzionaria è soffocato e
stemperato dall’agio e dalla ricchezza che lo circondano. Perciò
è “giusto” che il vero spirito libero, Alex, si vendichi sullo
scrittore.
- Rimaniamo in casa dello scrittore: Alex usa violenza allo
scrittore e a sua moglie canticchiando la famosa canzone Singin’
in the Rain e accompagnandola con passi di danza alla maniera di
Fred Astaire. Solo che qui gli innocui passi dell’attore-ballerino
si sono trasformati nei violenti calci che Alex sferra in faccia
allo scrittore e nei poderosi ceffoni che appioppa alla sua
consorte. Ecco, sono quasi certo che Kubrick abbia scelto questa
canzone per sottolineare la componente ludica della violenza di Alex.
Per lui, fare violenza è come giocare: offendere il proprio
prossimo è dunque possibile anche mimando i passi di una danza
gioiosa. Quanto possa la musica, in questo film, è sottolineato
anche da questa canzone: infatti, più avanti nel film, lo scrittore
riconoscerà Alex solo dopo che questi si sarà messo a
canticchiarla.
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