Bagascelle per un massacro
Horatio Flaccus
“Mi sono innamorato. Si chiama Beatrice è bellissima. Mi ha
stregato. Ho solo questo di cui vantarmi: finalmente non le ho detto
che l’amo come faccio con tutte. Chiedo ufficialmente a Vincino di
togliermi, dalla mia iconcina qui accanto, il codino e quella
smorfietta babau. Sono diventato perfidamente miaomiao”
Pierluigi Diaco, Il Foglio 21 maggio 2002
“Ieri mattina c’è stata una riunioncina miao-miao negli studi
di Mediaset di Cologno Monzese con Paolo Liguori: un gruppo di
callidi e impertinenti giornalisti (tra cui io che invece sono solo
un angelo…)”
Pierluigi Diaco, Il Foglio 7 giugno 2002

“Ieri chiacchiere interessanti e un’ottima
ricatta fresca mi hanno intrattenuto a colazione a casa di Mirella
Haggiag, una delle poche donne interessanti e generose con cui mi
piace confrontarmi…la mia nuova camicetta bianca Comme des
Garçons accompagnata dal mio splendido tono di voce…”
Pierluigi Diaco, Il Foglio 31 gennaio 2002
“Qualsiasi Gay Pride è un pretesto per travestire la lobby dei
gay come se fosse un movimento di persone che rivendicano diritti
negati. E’ ora di smetterla: i gay nella politica, nell’informazione,
nella cultura e nel fitness italiano. Comandano, licenziano,
assumono, si sposano con le donne e poi si rivendono nei cinema…si
nascondono…con soddisfazione nei parchi e nei cessi di mezz’Italia
per onorarsi e farsi onorare.”
Pierluigi Diaco, Il Foglio 8 giugno 2002
Ora, dico io, va bene il nome femminile (e scelto accuratamente in
modo che non si possa rigirare al maschile) ma bisognerebbe davvero
essere dei rincoglioniti per non capire che qui non si tratta
affatto di “gay” bensì di vere e proprie checche (…e
digiamolo! Direbbe l’appuntato La Russa). Beatrice, in realtà, si
chiama Dante e scarica cassette di totani al mercato del pesce, ci
ha due bicipiti che nemmeno Tyson e del resto (dall’ombelico in
giù) non parlo per pudore e senso della misura.
Mettete una “o” al posto di una “a”, un bel “gli” al
posto del “le” e una “i” invece che una “e” e, come si
dice, “carta canta”: “Mi sono innamorata. Si chiama Dante. Mi
ha stregata. Ho solo questo di cui vantarmi: finalmente non gli ho
detto che l’amo come faccio con tutti” e la seconda parte
(rileggetela pure) è bella che lubrificata, va su che è una
bellezza con l’iconcina, il codino, la smorfietta babau e la
perfidia miaomiao.
E va a posto anche tutto il resto: io che sono un angioletto, la
riunioncina miaomiao, la camicetta bianca Comme des Garçons e la
povera Mirella Haggiag “una delle poche donne” con cui a
Piergigia la pantera “piace confrontarsi”.
Però con l’ultima citazione la copertura è spinta un po’
troppo oltre ed assume il carattere di una vera e propria lesione
dei diritti umani contro la quale io, liberal e politicamente
correttissimo quale sono, protesto sentitamente. Piergigia è stata
lesa: fuori il colpevole. Insomma si tratta di vera e propria
tortura psicologica, altro che chiacchiere e ne chiedo conto all’intera
redazione del Foglio.
Ma come si fa: un così bel bocconcino di patisserie come
Piergigia, con quel faccino un po’ così e l’espressione un po’
così (andate tutti, vi prego, a sbirciarle il culetto sul suo sito
Internet e poi ditemi se non è un amore) che deve, per farsi
accettare, fare il vocione grosso e camminare a cosce larghe come
Schwarzenegger!
Vederla conciata a quel modo è una pena e fa male al cuore.
Sembra Albin de “La cage aux folles” (vi ricordate il grandioso
Michel Serrault nel “Vizietto”?) quando si mette in testa di
passare per “macho” ed entra in un bar ondeggiando maestosamente
come John Wayne. Naturalmente dai tavolini si leva come una voce
sola “…a frocio!”.
Io propongo un digiuno e una raccolta di firme contro la redazione
del Foglio: “Liberate Piergigia”.
Anche perché, se si va avanti di questo passo, quando si tratterà
di scrivere un bell’articolone sulla “lobby dei giudei” a chi
lo facciamo scrivere a Shylock? A Sharon? A Gad Lerner?
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