Pannella, vox clamans nel deserto
televisivo
Giancarlo Bosetti
Meno male che ci concede una tregua. Nella campagna di Pannella c’e’
qualcosa di disperatamente inascoltato. Ha ragione chi sottolinea la
solitudine dell’impresa gandhiana del capo carismatico del partito
radicale. E’ una impresa carica dell’epos morale, del potere
seduttivo e trascinante che ha soltanto il coraggio degli eroi che
guidano popoli. Ma proprio questa forza, la forza del tenace
attaccamento a principi, in una società, in un tempo, in una classe
politica dove la regola prevalente è che tutto si può vendere e
comprare per lo più senza neanche vergognarsene, proprio questa
forza fragorosa fa sentire per contrasto la pochezza del seguito.
Non c’è alcun popolo al seguito di Pannella, solo un piccolo
partito minoritario.
L’interesse di Ciampi e Casini, cioè dello Stato, e la
sollecitudine dei giornali sono fatti significativi, ma non rompono
la disperata solitudine di Giacinto Pannella detto Marco, un uomo
che rischia di morire, disposto a pagare in questo il prezzo di una
comunicazione clamorosa, ma di un clamore che non deflagra come
forse lui vorrebbe. Ed è una disperazione lacerante, che deve
trasmettere a tutti noi qualche brivido di paura: temo che Pannella
si vicino a convincersi che soltanto la sua morte riesca a ottenere
quello che altre volte otteneva con i lunghi digiuni. La morte,
perché? Certo non solo per integrare il vuoto di dodici seggi alla
Camera, rimasti senza occupante a causa di effetti imprevisti della
legge elettorale e delle liste civetta. Cosa che lascia
perfettamente indifferente la maggioranza degli italiani.

Ho parlato di “campagna”. E non uso la parola protesta, perché
non voglio incorrere nella sua minaccia di querela, e non voglio
offenderlo. Tutti noi dovremmo avere imparato quanto possa essere
offensivo essere giudicati come persone che “protestano”,
soprattutto se quella protesta è considerata “comprensibile”,
“motivata”, persino “giusta” e “condivisa”. Niente di
più umiliante di quando ti dànno ragione, e non succede niente.
Meglio aver torto, allora, no? Non una protesta, dunque, ma una
campagna, perché nessuno più di Pannella rappresenta quella
trasfigurazione della politica che tende a sostituire i partiti e i
movimenti con le “campagne”.
Intorno ad alcuni singoli temi o a gruppi di temi affini tendono ad
aggregarsi, ad opera di leader sensibili e capaci di interpretare lo
spirito del loro tempo ed alcune esigenze della società, gruppi di
pressione che esercitano la loro influenza per ottenere dei
risultati. Innanzi tutto per rendere l’opinione pubblica
ugualmente sensibile al tema da loro agitato. La prima e decisiva
fase di una campagna è un lavoro di comunicazione. Nessuno come
Pannella rappresenta il carattere volatile, fluttuante, talora
fortissimo e talora sottilissimo, di un aggregato politico che si
manifesta solo per campagne. La politica di Pannella o è una
campagna o non è.
Ma in questi decenni (dal referendum sul divorzio - 1974! - a oggi)
le campagne di Pannella si sono fatte sempre più volontariste e
utopiche. Non starò qui ora a classificare tutte le volte, e tutti
i referendum, in cui secondo me, o secondo altri, egli abbia fatto
bene o male. Voglio soltanto fare osservare a lui, a chi lo segue, e
anche a tutti gli altri, che in questo quarto di secolo l’opinione
pubblica si è fatta più opaca, meno reattiva, che il discorso
pubblico si è degradato, che l’area della indifferenza è
enormemente cresciuta. Se un tempo bastava presentarsi imbavagliati
davanti alle telecamere per mezz’ora e ottenere che si parlasse
del diritto di “accesso” da parte di coloro che ne sono esclusi,
oggi non bastano i bavagli; altro, di più ci vorrebbe.

No, non è Pannella che non sa più comunicare. Lui non è cambiato.
Talvolta avrà anche sbagliato come quando ci mandò a votare per
una quindicina di referendum contemporaneamente, e non sappiamo più
nemmeno perché. Ma non ha perso la capacità e la determinazione
nel comunicare quel che ha in mente. Ad esser cambiata è l’opinione
pubblica: un quarto di secolo fa quando si trattò di una materia
controversa e importante come la legge sul divorzio gli Italiani
dettero vita a un gigantesco confronto di argomenti complessi. Le
ragioni che militavano a favore di quella legge non erano affatto
semplici, non erano semplici gli argomenti di chi la voleva abrogare
e non lo erano neanche quelli di chi la voleva difendere e vinse.
Il tema si prestava a semplificazioni e propagande: chi vuol “distruggere
la famiglia” contro chi vuol condannare al “matrimonio coatto”,
angeli contro demoni. Eppure fu un confronto sottile e sofisticato,
di ragioni attrezzate degli uni contro gli altri: l’articolato
della legge fu analizzato in grandi discussioni in tv e nelle
piazze. I comizi di Pannella erano allora, e lo sono tuttora i suoi
interventi a Radio Radicale, lunghi, argomentati, sottili
ragionamenti. Esercizi di intelligenza nella conversazione pubblica.
E’ per questo che oggi non c’è più posto né in Italia né in
altri paesi come il nostro, “arati”, scartavetrati, degradati da
più di due decenni di bombardamento mediatico, di palude
televisiva, di sopore da show per uomini-patate su divani sfondati
dall’usura.
Li’, tra il sofà e il tubo catodico, nello sfarfallio di immagini
sempre più stanche, la durata media di un discorso politico è
scesa a nove, dicesi nove, secondi. In nove secondi le ragioni per
cui Pannella ritiene importante il reintegro del plenum della
Camera, o del Consiglio superiore della magistratura, e prima ancora
della Corte costituzionale non si possono nemmeno indicare con un
titolo, con una allusione. Lui è ragionatore da quaranta minuti,
non ha cittadinanza nell’epoca delle sound-bites. Forse è il caso
che ci fermiamo a pensarci su, un momento almeno.
Qualche esercizio di riabilitazione non farebbe male a una spenta,
claudicante opinione, dove l’arte di assumere informazioni, di
pensarci sopra, di confrontare con altri i giudizi che se ne cavano
fuori, di misurarsi con esperti e con politici sta diventando la
prerogativa di piccolissime minoranze di professionisti. Non
accettate che qualcuno liquidi le vostre perplessità con un
imperativo come questo: “Umane genti, state contenti al quia. Che
Pannella abbia torto o ragione, il perché costui rischi la vita per
colmare dei buchi in Parlamento lo saprete forse in un’altra vita,
se una chance vi sarà data un giorno di provare un mondo dove si
stanno a sentire discorsi che durano più di nove secondi.” No,
non accettate. Cogliamo anche questa occasione, offerta dal
sacrificio di Pannella, che siamo lieti si sia arrestato, per ora,
prima del baratro, per restituirci la gioia del ragionamento.
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