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La più celebre coppia a fecondazione
eterologa
Guido Martinotti
Mi risulta del tutto incomprensibile che dei credenti cattolici
abbiano votato contro la fecondazione fuori dalla coppia quando la
più bella storia sacra della loro religione si basa su un caso di
fecondazione eterologa. Come è possibile che un evento considerato
divino possa essere poi essere ritenuto immorale per gli umani? Può
essere comprensibile che una religione istituzionalizzata,
tendenzialmente rispettosa dell’ordine costituito, si preoccupi
della stabilità sociale, presumendo che questa sia favorita dalla
stabilità del nucleo famigliare?
Come è noto si tratta di un assunto non del tutto provato. Anche
nei periodi di massima integrazione sociale e stabilità politica,
un paese come gli Stati Uniti aveva uno dei tassi più elevati di
divorzio nel mondo. Non si capisce però, perché come portatrice di
questo ordine si scelga la famiglia convenzionale e non la famiglia
intima. La famiglia convenzionale varia fortemente nel tempo e da
cultura a cultura, e non può quindi essere un modello assoluto o
“naturale”. Anche chi sostiene che la famiglia è una formazione
sociale “naturale” o strutturale della società, una base dell’ordine
sociale deve trovare un modello diverso dalla famiglia convenzionale
hic et nunc.
La famiglia convenzionale, infatti, assume le forme le più
disparate tra le diverse culture e anche all’interno di una stessa
società, in base alle convenzioni stabilite da ciascun gruppo
sociale. Dalle famiglie costituite da due donne che allevano i figli
senza compresenza dell’uomo (convenzionali presso alcune società,
ma assai più diffuse nella pratica di quel che non si creda anche
nella nostra società - mamma, nonna, bambini) a quelle patrilocali
estese con centinaia di membri sottoposti all’autorità di un
unico paterfamilias, che magari fornica più o meno legittimamente
con nuore o nipoti, a quelle poligamiche, diffusissime nel mondo, la
famiglia convenzionale muta appunto secondo le convenzioni.
Se proprio vogliamo trovare una base comune di stabilità nell’istituto
famigliare, dobbiamo andare al di là delle convenzioni e trovare
qualcosa che unisca le varie forme e che sia più costante della
forma. Presso gli antichi romani, che pure ammettevano varie forme
di dissoluzione della famiglia, era l’affectio maritalis.
Estendendo il concetto alla nostra epoca, direi che alla famiglia
convenzionale potremmo affiancare forme di convivenza che si basano
non sulla forma istituzionale, ma sull’affetto che lega i membri.
Un tipo di famiglia che possiamo chiamare famiglia intima.
La forma di famiglia convenzionale della nostra epoca, la cosiddetta
famiglia nucleare legata da un vincolo monogamico sancito dalla
legge, rappresenta forse ancora una forma modale, ma non può essere
più considerata una forma con valore assoluto. E’ la forma
convenzionale della società urbana industriale, alla quale oggi si
affiancano numerose altre forme di convivenze tenute assieme da
vincoli affettivi, ma non riconosciute dalla morale convenzionale.
Non occorre aver letto Laing per sapere che quella famiglia
convenzionale, che oggi serve soprattutto ai mulini bianchi e ai
venditori di lavastoviglie, può essere un pozzo di nequizie e di
violenza. Basta aprire il giornale ogni mattina, e sobbalzare al
ripugnante uso di chiamare “fidanzatini” due adolescenti che
hanno scannato con inaudita ferocia la madre e il fratellino. O l’incredibile
vicenda della signora di Cogne che milioni hanno creduto
automaticamente colpevole di aver scannato il figlio perché, come
mi è capitato di sentir dire, “non sai quante mamme uccidono i
figli”. Considerando come altamente probabile (e quindi in qualche
modo “normale”) un evento che grazie al cielo è ancora
piuttosto raro e quindi in un ragionamento inferenziale da
considerare altamente improbabile.
Ragionamento intenibile sul piano logico, ma spia di qualcosa nella
coscienza collettiva che ha preso atto che la famiglia convenzionale
non è quel faro di santità e stabilità che ci vogliono far
credere. Peraltro la storia delicatissima e straordinaria di Gesù
ci mette proprio di fronte a una famiglia convenzionale (Maria e
Giuseppe, forse anche, come si dice in qualche storia apocrifa, con
altri figli) che viene sacrificata a una famiglia intima a
fecondazione eterologa: Giuseppe, Maria e Gesù figlio di dio.
Storia di straordinaria delicatezza emotiva che rappresenta però
una smentita sempiterna e sacralizzata della assolutezza della
famiglia convenzionale.
Paradossalmente i più strenui sostenitori di questo tipo di
famiglia, cioè i membri del clero, non la conoscono veramente,
perché i preti cattolici vivono altri tipi di convivenza. E’
quindi comprensibile che la idealizzino, come tutte le cose che non
si praticano in prima persona. Ma la mancanza di esperienza finisce
per portare il clero cattolico a negarsi l’umanità di
riconoscere, sostenere e valorizzare altre forme di affetto, che
danno origine a molti altri nuclei di stabilità e di normalità
nella società contemporanea, diversi dalla famiglia convenzionale.
Sorge il sospetto che questa strenua difesa della famiglia
convenzionale, che viene fatta interamente sulla pelle altrui, serva
anche a esorcizzare una crescente difficoltà del clero, maschile e
femminile, nei confronti della sessualità e dell’amore, che
traspare da numerosissimi segni sotto gli occhi di tutti.
E poi perché chi crede in dettami che potrebbero benissimo essere
praticati esclusivamente sul piano della adesione etica, si affanna
a cercare sanzioni legali che obbligano anche chi a quei principi
non crede? Che sentimento umano si può trovare dietro la posizione
di chi dice, io penso che questa cosa non si debba fare e tu non la
dovrai fare anche se non la pensi come me? Che razza di morale è
mai questa? Si dice che si tratta di una questione di principio. Ma
se così fosse chi crede nella forza di questi principi dovrebbe
rifiutare e non invocare la forza della legge. Non è forse questa
una dichiarazione di incredulità nella propria etica?
E infine che razza di morale è mai quella che dice: io proibisco
questo comportamento, anche a coloro che ritengono che tale
comportamento sia giusto e altamente desiderabile? Però so a priori
che non posso impedire che questa cosa che qui vieto, chi ha i soldi
vada a farla dietro l’angolo. Questa non è morale, ma ipocrisia
pura e semplice, che, se ricordo bene, è un peccato che andrebbe
confessato Sul piano umano significa infliggere delle sofferenze in
nome di un principio non condiviso, sofferenze che dovranno essere
sopportate solo dai più deboli. E sul piano della civiltà della
convivenza è un passo verso situazioni ripugnanti, in cui chi teme
di non avere la forza morale per sostenere i propri principi sul
piano esclusivamente etico, opera ipocritamente per imporre questo
comportamento agli altri, sapendo che potrà sfuggire agevolmente
alla norma pagando la necessaria mercede, come ai tempi dei
cucchiaini d’oro.
Nella mia modesta laicità penso che una norma che infligge
sofferenze inutili solo ai membri più deboli della comunità non
possa avere giustificazioni morali. Tantomeno se imposta in nome di
una religione che si vuole pensosa dell’umanità come il
cattolicesimo.
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