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Irvine Welsh e Thomas De Quincey



Andrea Tolu



Irvine Welsh, scozzese, è autore di "Trainspotting", "Ecstasy", "The Acid House", "Il Lercio". Il suo ultimo romanzo, "Colla", è pubblicato da Guanda.
Thomas De Quincey è nato nel 1785 a Manchester, e morto nel 1859 a Edimburgo. Tra le sue opere, il celebre "Confessioni di un oppiomane", "La diligenza ingles"e, "Suspiria de profundis".
Questa conversazione è mutuata dalle Confessioni di un oppiomane, da interviste (vere) a Irvine Welsh, e da brani di Trainspotting.


EDIMBURGO. Mica un giorno qualsiasi. E mica un pub qualsiasi, questo, dalle parti di Rose Street. E’ qui infatti che Begbie, quello psicopatico di Frank Begbie ha dato via ad una storica rissa, gettandosi un bicchiere di birra alle spalle, giù dal ballatoio.

Quando arrivo, il signor De Quincey è già seduto, e cerca di ordinare: “Un bicchiere di vino con laudano, caldo e senza zucchero.” Il barista è un po’ perplesso, e si capisce: non capita tutti i giorni, in questo pub, che qualcuno chieda dell’oppio. De Quincey deve accontentarsi del vino, con la promessa di far durare l’intervista il meno possibile, così da poter correre a casa e integrare il tutto con le sue scorte personali. Promessa accordata, se solo anche Welsh arrivasse.

Lo vediamo spuntare dopo un quarto d’ora. Non l’avevo mai visto di persona, ma non è difficile riconoscerlo: calvo, scozzese e brutto, come se fosse uscito direttamente dalla pagine di uno dei suoi romanzi. “Scusate” dice sedendosi, “ma, non so come, ho sbagliato aereo. Ero nella direzione giusta, ma in qualche modo sono salito sull’aereo sbagliato col biglietto sbagliato.”

L’intervista può così iniziare. Verterà, naturalmente, sull’uso di sostanze stupefacenti.

Mr Welsh, lei in passato ha fatto uso di sostanze come speed e alcol e, si dice, anche anfetamine. Lei, invece Mr De Quincey, ha deciso di fare outing, scrivendo Le confessioni di un oppiomane. Come definireste queste sostanze a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare?

De Quincey
: Una paurosa fonte di piaceri e di pene che non si possono immaginare!
Welsh: L’elisir che ti dà la vita, e te la toglie.

Come è cominciato il vostro rapporto con gli stupefacenti?

De Q.
Mi è stato chiesto spesso come mi sia accaduto di diventare un oppiomane abituale. Si riteneva che mi fossi abbandonato a questa pratica solamente per il gusto di crearmi uno stato artificiale di piacevole eccitazione. Ma questa è una deformazione arbitraria del mio caso. Per circa dieci anni lo presi di quando in quando per amore del piacere squisito ch’esso mi dava.
W. E’ stato un po’ lo stesso anche per me. La gente crede che sia una faccenda di miseria e disperazione e morte. Certo, è anche questo, ma quello che dimenticano è il piacere che tutto ciò dà. Altrimenti nessuno lo farebbe. Ho provato l’eroina quando avevo 22 - 23 anni, quasi vent’anni fa. L’ho fatto per stupidità, e perché ce n’era, come gran parte della gente che la prova. Le ragioni? Chi ha bisogno di ragioni quando hai l’eroina. Se facevi uso di droghe, ti facevi con quello che c’era. A quel tempo disprezzavamo l’hascisc…
De Q. Roba da hippy.
W. Esatto, era vista coma una roba da hippy, era tabù. E allora sono arrivate forniture massicce di roba Pakistana. Ad ogni modo, dopo un anno e mezzo ho smesso. L’eroina non mi è mai piaciuta molto, come droga.
De Q. Io fin da piccolo avevo l’abitudine di lavarmi la testa con l’acqua fredda almeno una volta al giorno: essendomi venuto un mal di denti improvviso, lo attribuii a qualche disturbo provocato dal fatto che per caso avevo interrotto quell’abitudine. Saltai dal letto, immersi la testa in un catino di acqua fredda, e coi capelli bagnati me ne andai a dormire. La mattina dopo mi destai con terribili dolori reumatici alla testa e alla faccia. Per calmare i dolori, mi fu consigliato l’oppio.
W.
Mi scusi, forse non ho capito bene. Lei per anni sta tutti i giorni con la testa fredda bagnata, poi un giorno, ha mal di denti, e per farselo passare si bagna di nuovo con l’acqua fredda.
De Q. Esattamente.
W. E poi quello fuori di testa sarei io!
De Q. Ad ogni modo, con gli anni ho preso oppio tanto in forma liquida che solida, tanto bollita che cruda, e tanto dall’India quanto dalla Turchia.

Le vostre sono storie forti, e terribilmente sincere. Quale atteggiamento avete tenuto mentre le scrivevate?

De Q. La mia l’ho scritta con la speranza che possa essere istruttiva. Questa sia la mia scusa se sono venuto meno a quel dignitoso riserbo che per lo più ci trattiene dall’esporre in pubblico i nostri errori. Per la sensibilità inglese infatti, non c’è nulla di più disgustoso dello spettacolo che impone alla nostra attenzione le sue piaghe, le sua cicatrici morali.
W. Io ho sempre trovato, nella letteratura scozzese, un po’ offensivo il trattamento riservato a chi ha problemi di droga. Nei classici scozzesi, come McIlvanney e Spence, il tossico entra nella storia come una specie di figura ombrosa e ritagliata, che è lì per mettere in pericolo o sovvertire i buoni valori della classe lavoratrice scozzese. Volevo mostrare una situazione più ampia, non mi interessava raccontare la storia di un paio di persone con problemi di droga. Non volevo presentare il tossico come isolato e tagliato fuori, ma inserirlo nel suo contesto. Mi dissocio anche dalla paura esistenziale di scrittori come Alex Trocchi.

Ah, Alex Trocchi. Mr De Quincey, si dice che sia stato molto influenzato da lei.

De Q. Già, così come dicono che ho influenzato Poe e Baudelaire. Sono ovviamente lusingato, anche se proprio non mi va giù che quella gallina della Woolf mi abbia negato un posto tra i grandi autobiografi, perché, sostiene, non ho il dono della sintesi, ma della “superfluity.” Comunque, posso confermare quanto dice Mr Welsh. Gli oppiomani sono una classe davvero numerosa, e tutt’altro che esclusa dalla società. Potrei nominare il defunto dott. Isacco Millner, decano di Carlisle, il defunto sottosegretario di Stato Addington, fratello di lord Sidmouth. Per non parlare di Coleridge…

Prima vi ho chiesto una vostra definizione di droga. Parliamo ora, se non vi dispiace, delle sensazioni.

De Q. E’ passato tanto tempo da quando presi l’oppio per la prima volta, ma gli avvenimenti fondamentali non si possono dimenticare. Che rivoluzione! Come si sollevò, dalle più basse profondità, il mio spirito più intimo! Che apocalisse di tutto il mondo, dentro di me… abisso di gioie divine che mi si rivelavano così improvvisamente. Questa era una panacea per tutti i mali dell’umanità: questo era il segreto della felicità, che si poteva ora comperare per pochi soldi. L’oppio è diverso dal vino. Mentre il vino disordina le capacità mentali, l’oppio le ordina nel modo più squisito. L’oppio non è un accesso febbrile, ma un salutare ritorno a quello stato che la mente ricupererebbe naturalmente quando si facesse piazza pulita di ogni irritazione. Il vino conduce sempre all’orlo dell’assurdità e della stravaganza e disperde le energie dell’intelletto. Ma chi prende l’oppio sente il predominio della parte più divina della sua natura.
W. Pochi soldi non direi. La roba costa e ti porta ad un punto in cui non sei più un essere sociale. Diventi un bugiardo e pure un ladro, e ciò non va molto bene. Comunque, riguardo all’alcol, Mr De Quincey ha ragione: la maggior parte dei reati che ho commesso, ero sotto effetto dell’alcol. Era semplicemente una perdita del controllo. Ad ogni modo, per quanto riguarda gli effetti, potrei riassumere il tutto così: prendete il migliore orgasmo che abbiate mai avuto, moltiplicatelo per mille, e sarete ancora molto lontani dall’esserci arrivati.

Quali sono le vostre preferenze musicali?

W.
Iggy Pop, naturalmente, e i Sex Pistols.
De Q. Grassini, senz’altro. Mi domando se mai qualche turco possa aver conosciuto metà del mio piacere quando Grassini appariva all’Opera, in qualche interludio,.

 


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