Stefania Rocca e Fabio Volo
Paola Casella
Lo, so, non stiamo parlando di nomi noti come quelli citati dai due
articoli che precedono questo: chi non segue con grande attenzione
il cinema forse non abbina al nome di Stefania Rocca la sua bella
faccia androgina e la sua zazzera di solito fiammante, recentemente
convertita a un biondo cenere che mimetizza meglio il suo spirito
ribelle. E Fabio Volo è più conosciuto al pubblico come una delle
iene (insieme ad Andrea Pellizzari) che hanno affiancato Simona
Ventura durante gli anni della sua conduzione al programma (ma i
radioascoltatori lo conoscono da prima, come voce di innumerevoli
programmi, spesso su Radiodue, sempre con Pellizzari).
Tuttavia la coppia Rocca&Volo sta raggiungendo la notorietà
grazie a un film, Casomai di Alessandro D'Alatri, che di per
sé costituisce un piccolo "caso", perché è uno dei due
film italiani a comparire da settimane nei primi dieci posti della
classifica del box office (l'altro è L'ora di religione di
Bellocchio), tenendo testa a kolossal americani come Star
Wars.

Casomai racconta in modo semplice e lineare
la storia di una coppia di trentenni che si trovano a dover
difendere il loro amore (parola grossa, di questi tempi) dalle tante
e nefande influenze e pressioni del mondo esterno: non solo il
lavoro e la "società", ma anche gli amici e la famiglia.
Un ritratto generazionale che è un segno dei tempi, e soprattutto
una sceneggiatura che ripete in pubblico ciò che i trentenni si
dicono in privato, con reticenza e pudore, quasi che fosse solo
colpa loro se oggi è diventato sempre più difficile, per due
neoadulti che si vogliono bene, rimanere insieme.
In Casomai finalmente si riconosce, e si nomina, l'importanza
che hanno, agli effetti della longevità di una storia d'amore, la
possibilità economica di programmare un futuro (cioè l'avere un
lavoro sicuro, non le solite sòle part time, flessibili, interinali,
volontarie, sottopagate e nonseicontento di gestirti da solo, nei
tuoi tempi e nei tuoi modi?), una possibilità anche logistica (un
tetto sopra la testa, di solito inaccessibile sia per l'assenza
della busta paga di cui sopra, o anche solo di un introito decente,
sia perché le case diginitose - quelle con sufficiente metratura,
con spazi divisi intelligentemente, con le finestre, almeno - sono
già in mano ai soliti noti, e ai loro figli, e alle loro amanti).
E Casomai ammette, illustrandola come uno storyboard, la
difficoltà dei giovani adulti a chiudere le orecchie al canto delle
mille sirene che ti vogliono perennemente libero, disponibile,
scopabile, che liquidano la coppia come un ostacolo alla crescita
individuale, che propongono i miti della giovinezza, della
perfezione fisica, dell'efficienza come passaporti per la felicità,
anche sentimentale, così che al primo cedimento, alla prima notte
insonne (causa nascita di un figlio, non serata in discoteca), al
primo forfait la coppia si incrina, dubita di sé, percepisce
l'altro come una palla al piede, o peggio, percepisce se stesso come
un fallimento in potenza.

Il film di D'Alatri, pur nella sua tendenza a
mettere troppa carne al fuoco (e a porre sullo stesso piano
questioni pratiche risolvibili a livello sociale e politico e
tensioni psicologiche affrontabili a livello individuale), solleva
interrogativi che stanno a cuore a un'intera fetta della
popolazione, quella talmente presa dal lavoro e dall'incertezza (o
dall'incertezza del lavoro), talmente castrata dalla generazione dei
cinquanta-sessantenni oggi maldestramente al potere, da starsene
quasi sempre zitta, e da eleggere l'immantinenza (e la scappatoia di
un "casomai") a stile di vita, a poetica esistenziale.
Ma a far funzionare il film è soprattutto la strana coppia che ne
è protagonista, strana perché composta da due interpreti che,
finora, non hanno mai incarnato, sia come attori che come
personaggi, l'aspirazione alla felicità domestica, e da due
individui che appaiono come opposti fisici e comportamentali.
Stefania Rocca è, all'interno del cinema italiano, l'attrice
virtuale per eccellenza. Non solo perché ha interpretato film che
hanno a che fare con il Web - Nirvana di Gabriele Salvatores,
Viol@ di Donatella Maiorca - ma anche perché fisicamente
sembra un cyborg, una creatura di laboratorio adatta alla age of
technology, concepita a tavolino per garantire la sopravvivenza
della specie. Stefania Rocca è spigolosa, zigomatica, un confine
antropologico fra "masculino e feminino" (come direbbe la
Geraldine Chaplin di Parla con lei). E cinematograficamente
ha spesso interpretato ruoli di dura, una valkiria del futuro
prossimo venturo. Quasi mai una moglie, mai una madre. Persino nella
sua più recente interpretazione televisiva - Resurrezione dei
fratelli Taviani - era un'eroina tolstojiana sui generis -
secca, ascetica, poco sentimentale, assai poco ottocentesca.
Per contro Fabio Volo è pingue, pigro, fisicamente retrò
nonostante il travestimento alla Elwood Blues che l'ha reso celebre,
con l'occhiale nero da marpione della riviera romagnola, oltre che
da Man in Black. In letteratura russa sarebbe Oblomov; in
letteratura italiana - e usiamo il termine letteratura con qualche
perplessità - è il single passivo-aggressivo di Esco a fare due
passi, refrattario all'impegno e allergico alla crescita,
indolente come un'odalisca, sfuggente - e anche un po' viscido -
come un'anguilla. Come conduttore radiofonico e televisivo - MTV,
oltre che Le Iene - il suo personaggio è quello dell'eterno
adolescente, psuedo-trasgressivo e rimorchione.
Eppure proprio la fisicità di Stefania e Fabio, proprio la loro
immagine mediatica e la scelta dei ruoli che ha preceduto il loro
abbinamento in Casomai hanno fatto sì che quell'abbinamento
funzioni sia visivamente che narrativamente. In fondo ha un senso
che un Peter Pan che prima "scopicchiava" trovi la voglia
di diventare uomo, e metà di una coppia, accanto a una donna che
non è un prototipo di femminilità appiccicosa e rompicoglioni
(come la neomamma di L'ultimo bacio, ad esempio, interpretata
sopra le righe da Sabrina Impacciatore), così come ha un senso che
una creatura cybernetica, che ama il proprio lavoro al punto da
disobbedire a un padre molto esigente che vorrebbe per lei una
carriera meno creativa, si innamori di un uomo fallibile ma tenero,
di una mascolinità fragile e passiva.
E ha un senso che la "coppia nuova" sia formata da due che
non c'entrano nulla con il Mulino Bianco, due pieni di dubbi, con
trascorsi incerti, con esistenze abborracciate. Così come ha un
senso, e uno scopo terapeutico, mostrare che, nonostante queste
premesse, i due credono ancora nella fondamentale bontà della
coppia, e spericolatamente si buttano nella folle impresa di
scegliersi per tutta la vita, senza casomai.
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