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L'appello



Quello che segue è un appello relativo alla proposta di legge sulla fecondazione assistita in discussione al Parlamento. All'appello hanno finora aderito Maria Grazia Campari, Maria Rosaria Canzano, Laura Boella, Alidina Marchettini, Paola Serasini, Mariangela Marchettini


La proposta di legge sulla fecondazione assistita in discussione al Parlamento configura una mostruosità giuridica, inaccettabile e inapplicabile. Inapplicabile innanzitutto, perché favorirà la ricerca dei modi per eludere la legge - dal “turismo procreativo” alla clandestinità, con conseguente sviluppo di un commercio illegale - producendo odiose discriminazioni a seconda delle diverse opportunità economiche e culturali e un aumento preoccupante dei rischi per la salute, in primo luogo delle donne. E’ una realtà purtroppo ben nota, avendo condizionato per secoli il ricorso all’aborto.

Inaccettabile perché pretende di imporre, con pesanti sanzioni e divieti, un modello di famiglia, presunto “naturale”, e perché piega in tutta evidenza la funzione legislativa alla concezione etica di una parte e, dietro questo schermo, ai più prosaici interessi delle coalizioni e dei partiti, e alle incessanti manovre strumentali per far prevalere gli uni e gli altri. E’ una scelta che reca un vulnus all’autorevolezza e alla credibilità del Parlamento.

Con questo appello non intendiamo solo esprimere una contrarietà all’approvazione della legge, ma sottrarre il confronto politico e culturale alla logica angusta che fin dalle passate legislature ha prevalso nelle sedi istituzionali. Non a caso cambiano le maggioranze politiche, ma la sostanza, se non la lettera, del progetto di legge non muta. Siamo consapevoli delle molte domande e inquietudini suscitate dalle prospettive, del tutto inedite, aperte dalle tecnologie, ma non è certo compito del Parlamento sostituire alla presa di coscienza, culturale e civile, e alla responsabilità delle donne e degli uomini una imposizione di legge. Ci impegniamo a contrastare l’approvazione di questa legge e a rimetterne in discussione l’impianto, anche in caso di approvazione. Si tratta di un pericolo reale, perché alla spregiudicata, quanto serrata, pressione di parte cattolica, corrisponde una sottovalutazione preoccupante, quando non strumentale, da parte delle forze laiche.

Che il legislatore sia venuto meno al suo compito risulta chiaro da quanto poco si è tenuto conto delle effettive possibilità di applicazione delle norme, e delle tante contraddizioni e conseguenze perverse che ne discendono.

La prima e la più grave è quella di voler assicurare “il diritto a nascere del concepito” enunciato nell’art.1 della proposta di legge. Si intende così aprire la strada alla richiesta, avanzata dal Movimento per la vita, di una modifica del codice civile, volta a riconoscere personalità giuridica fin dal concepimento? E’ del tutto evidente che questo avrebbe degli effetti dirompenti sulla legge che regola l’aborto, mettendo in questione il principio decisivo della scelta autonoma e responsabile della donna. Ma la modifica del codice civile avrebbe effetti dirompenti sull’insieme delle norme, dovuti alla difficoltà, pressoché insormontabile, di prevedere, nei diversi ambiti, la presenza di questo "soggetto" e l’effettività dei suoi diritti. Ma forse si intende evocare la soggettività del concepito, solo retoricamente, per giustificare l'impianto punitivo della legge, senza preoccuparsi delle complesse ricadute giuridiche. E’ questo uno dei più vistosi segnali che si è inteso produrre una legge-manifesto, più che una seria ed efficace normativa sugli aspetti inediti e controversi della fecondazione assistita.

Per troppo tempo l’iniziativa parlamentare è stata condizionata da una battente campagna d'opinione sul far west procreativo. Invece di puntare l’attenzione sulla primaria esigenza di controllo sui centri e sulle necessarie regole per le pratiche mediche, e per la ricerca e sperimentazione biologica e genetica. L’intento principale della legge è infatti quello di prescrivere i requisiti che fanno un buon genitore, soprattutto una buona madre, limitando a chi li possiede l’intervento medico. Ma si può decidere per legge chi è idoneo e chi no ad avere un figlio?

Prima e più che discriminare tra buoni e cattivi genitori, tra terapie benefiche e deprecabili sperimentazioni, il Parlamento doveva chiedersi entro quali limiti è utile e opportuno l’intervento della legge. Il primo limite che il legislatore è tenuto a rispettare è il principio costituzionale della laicità dello Stato. Sapersi valere di questa bussola era ed è una condizione essenziale per non inasprire i conflitti tra le diverse concezioni etico-culturali. Consentirebbe di contrastare le pretese dogmatiche, volte a far prevalere la propria concezione sulle altre, ma anche la deriva che riduce il pluralismo ad indifferenza reciproca tra estranei morali.

Analoghe riserve pone la definizione di “terapia della sterilità”, riferita alla coppia. Se la sterilità è l’indispensabile requisito di accesso alla terapia, non si vede come si possa discriminare chi ne è affetto, solo perché non è in coppia. E’ evidente che la discriminazione riguarda le donne, che sono le reali destinatarie dell’intervento, quale che sia la ragione per richiederlo. Parlare di “sterilità di coppia ”, mancando qualsiasi plausibile riferimento a patologie, autorizza l’intervento su semplice certificazione del medico che i tentativi fatti di avere un figlio "naturalmente", non hanno avuto successo. Per una coppia insomma il ricorso alle tecniche è di fatto insindacabile, e comunque legittimo.

E' costituzionalmente inammissibile negare una terapia a donne sterili, solo perché non in coppia,o perché affette di sterilità gestazionale, ad esempio per l’asportazione di utero, in nome del prevalente interesse del nascituro. D'altra parte adottare la tanto invocata certezza e coerenza normativa, comporterebbe di estendere il divieto di divenire madri anche alle donne singole che restano incinte, grazie ad un rapporto sessuale, magari occasionale, poiché sarebbe il solo modo di garantire a tutti i nascituri la stessa tutela e gli stessi diritti.

Ancora. Per la prima volta si deduce un divieto a procreare dalla scelta omosessuale. Vietando infatti agli/alle omosessuali l'accesso alle tecniche si afferma che l’omosessualità è un impedimento, giuridicamente rilevante. Anche in questo caso la tutela del nascituro diviene motivo per stigmatizzare la sessualità; e, di nuovo, la tutela andrebbe allora estesa a tutti i figli di omosessuali, comunque concepiti.

Non convince l'argomento che lo Stato non può autorizzare, con il ricorso alle tecniche, quello che la natura affida al caso. Nessuno sceglie come nascere; provetta o sesso, per chi nasce rappresentano entrambi il modo che ha reso possibile la propria esistenza. Perché solo ad alcuni bambini andrebbe garantito l'ambiguo privilegio di un controllo statale su queste condizioni, ed in particolare sull'idoneità dei genitori ?.

La pretesa di mettere al centro della legge un modello di famiglia, non può non avere effetti contradditori. O si introducono discriminazioni nella tutela di diritti fondamentali, quali la salute, la sessualità, la procreazione o, paradossalmente si deve ridurre per tutti/e la tutela di questi diritti, estendendo limiti e divieti anche alla procreazione sessuale.

E’ infine inaccettabile la marcata criminalizzazione dei “valori sacrificati”, ovvero delle scelte e pratiche che non rispondono ai requisiti richiesti. Dal punto di vista degli orientamenti di politica del diritto, l’esorbitanza delle pene previste nel testo di legge, stride con l’orientamento alla depenalizzazione, o comunque ad un forte ridimensionamento nel ricorso al penale, soprattutto in ambiti, come questo, dove è tradizionalmente forte l'autonomia. Una scelta peraltro alquanto irrazionale. Non solo è difficile prevenire e accertare le violazioni, tanto più in società sempre più aperte alla circolazione di informazione e persone. Ma soprattutto in quali casi, se violazione vi è stata, punire è sensato ed efficace? Non è questa la prima domanda da porsi, per scrivere una buona legge?



Il numero di telefono del Centro per la riforma dello Stato (Crs), che promuove l'iniziativa, è 0648901277 oppure 064742389.

 


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