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La "concordia" del Papa
non fa bene alla società




Giancarlo Bosetti




Ah, la "concordia sociale"! Da quanto tempo non echeggiava questo concetto solenne, che l'altro giorno il Papa ha sfoderato in occasione della conferenza episcopale italiana, dedicandolo specificamente, dato il contesto, al nostro paese e alle tensioni che lo attraversano? Quanto tempo? Dall'epoca di Valletta? O di Angelo Costa presidente della Confindustria? Ma no, di più, secoli indietro? Certo bisogna andare lontano per trovarne traccia.

Altre epoche, altri climi. Il capo del governo si è ieri immediatamente allineato all'appello, con la consueta rapidità comunicativa e propagandistica, ma ha fatto male. E ora vi spiego perché. E spero che gli altri politici, compresa l'opposizione, non si allineino anche loro (e vi spiego anche questo).

Si capisce che il Pontefice, con il suo richiamo, intendeva rivolgersi a tutti quanti, "forze sociali" e "forze politiche", come si usa dire, en bloc, destra e sinistra, sindacati e imprenditori perchè si adoperino a ridurre le tensioni. L'intenzione dunque era buona, legittima, comprensibile. Persino forse da condividere, l'intenzione. Comunque non maligna. E si capisce anche che si potrebbe a lungo questionare sugli effetti politici dell'appello alla concordia, dal punto di vista di chi se lo sia meritato di più, in quanto fonte di "discordia".

La rapidità dell'aggancio di Berlusconi nulla toglie al fatto che l'appello non era palesemente né filo-governativo né filo-ulivista. Si trattava, visibilmente, di un invito politicamente "ecumenico", super partes, o erga omnes. Ci vuole insomma una notevole disinvoltura, o fuor di eufemismo, faccia di bronzo, per sostenere che il Papa in questo modo ha preso posizione sull'articolo 18 dalla parte di Maroni-Tremonti contro Cofferati e lo sciopero generale. Ovviamente cosi' non é.

E non è vero neanche il contrario, anche se dall'altra parte scarseggiano facce di bronzo equipollenti (che non si sa, talvolta, se sia più un bene o un male). Insomma non è sostenibile neppure che il Pontefice abbia messo in rilievo una maggiore propensione alle tensioni da parte del governo. Da questo punto di vista entrambe le parti potrebbero usare, a pari titolo, l'appello a proprio beneficio, se ne avessero voglia. Ma a stirare le parole del Papa o di qua o di là non credo comunque che andrebbero molto lontano. E comunque chi lo fa, a mio avviso, fa proprio male.

Perché? Perché sono parole malissimo dette e malissimo pensate, nonostante l'altezza del soglio da cui provengono. In un paese libero, liberale e in una società aperta, gli appelli alla concordia sociale vanno respinti al mittente. Sempre. Non c'e' infatti nella storia delle idee e del linguaggio politico concetto più capziosamente e maliziosamente illiberale di quello della "concordia sociale", tipico del paternalismo con la mano pesante e tipico, ahinoi, della cultura cattolica e dei suoi caratteri genetici che le rendono cosi' difficile digerire l'idea liberale del conflitto, il conflitto, si capisce, non violento.

La "concordia sociale", da Menenio Agrippa in giù è stata costantemente invocata da chi sta sopra contro chi sta sotto, dai patrizi per piegare i plebei, dall'aristocrazia per piegare le pretese della borghesia. Qui verrebbe da dire da parte della borghesia industriale contro il proletariato. Ma la stessa borghesia ne ha fatto un uso più problematico, perché via via che la lezione liberale si affermava il concetto veniva abbandonato, in favore di una più spregiudicata consapevolezza che un salutare accapigliarsi tra gli interessi degli uni e degli altri, per il salario, i diritti e tutto il resto era parte del gioco, per andare avanti. Avete presente Novecento, di Bertolucci e la marea di braccianti arrabbiati?

E poi la borghesia, ehm ehm, aveva qua e là abbattuto l'ordine aristocratico con conflitti civili, con guerre, spesso massacri, bagni di sangue, "livellamenti" di teste. Ma certo chi è al comando ha, quasi, sempre bisogno di pace, ordine e concordia sociale perché non vuole essere disturbato ed è tentato dal miraggio della concordia. Ogni spostamento di equilibrio sulla mappa del potere o delle pretese economiche è un grattacapo.

Nascono cosi' gli appelli alla concordia e gli apologhi sugli organi del corpo che devono svolgere la propria funzione senza rompere le scatole: a qualcuno tocca la parte dei piedi o dello stomaco, a qualcun altro quella del cervello. Pazienza. L'organicismo delle funzioni sociali esercitate da chi sta sotto senza mai alzare il capo ed emettere un lamento, ma con "concorde" entusiasmo, ha inquinato la cultura marxista e quella cattolica in misura tale che sarebbe difficile distinguere, tra i due, il peggiore.

Questioni di linguaggio, si dirà. Errori di linguaggio. Ma errori gravi, che una politica laica farebbe bene a respingere se vuol difendere il linguaggio liberale, più appropriato per descrivere i rapporti sociali e politici di quello confessionale. Soltanto un caso può forse giustificare l'uso dell'idea di concordia sociale senza destare scandalo: all'indomani di una guerra civile. Anche allora direi di andarci piano, con moderazione. Chi non vuole ascoltare voci discordanti e' sempre pericoloso. E tuttavia quello della guerra civile non è comunque il nostro caso, anche ad essere i più pessimisti tra i pessimisti.

 

 


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