Nella Costituzione i fondamenti di un
curricolo aperto all’Europa
Luciano Corradini
Luciano Corradini è ordinario di pedagogia generale nella Terza
università di Roma, presidente nazionale dell’UCIIM
L’opinione pubblica italiana è stata recentemente colpita da
alcuni risultati dell’indagine internazionale PISA, Programma per
la valutazione internazionale degli studenti, da cui risulta che gli
allievi italiani, su 32 paesi presi in considerazione, si collocano
al 26° posto per le conoscenze matematiche, al 24° per quelle
scientifiche e al 20° per quelle linguistiche.
Per quanto fondamentali, non sono questi gli unici alfabeti
necessari allo sviluppo di personalità e di società adatte ad
affrontare le sfide del nostro tempo. Due anni fa un volume del CEDE
ha presentato La seconda indagine IEA sull’educazione civica:
studio di caso nazionale, dal titolo Educazione civica e
scuola. S’intende con questa espressione, “l’insieme degli
insegnamenti e delle attività educative che la scuola, in modo
diretto o indiretto, mette in atto per sviluppare l’insieme delle
conoscenze, delle abilità e degli atteggiamenti necessari agli
studenti per esercitare consapevolmente il proprio ruolo di
cittadini”.

Ragioni e difficoltà del compito
Anche in quest’ambito le cose non vanno meglio, sia dal punto di
vista istituzionale, sia dal punto di vista della prassi scolastica,
sia da quello delle conoscenze e degli atteggiamenti dei nostri
ragazzi. Un’analisi approfondita del problema dal punto di vista
del vissuto dei giovani italiani si trova in una recentissimo studio
dal titolo graffiante: Divenire grandi in tempi di cinismo.
Si tratta di un rapporto di ricerca steso da Roberto Cartocci, per
conto dell’Istituto Cattaneo di Bologna, sulla base di un campione
di 6000 studenti di 92 istituti di 23 province, pubblicato dall’editrice
Il Mulino. Sul piano pedagogico, una puntuale riflessione
propositiva ha fornito Milena Canterini col suo Educare alla
cittadinanza, uscito da Carocci.
Alcuni anni fa, sulla base di due mozioni parlamentari e di una
pronuncia di propria iniziativa del Consiglio nazionale della
Pubblica istruzione, un’apposita commissione ministeriale elaborò
una proposta complessiva, dal titolo “Nuove dimensioni formative,
educazione civica e cultura costituzionale”, che il ministro
Giancarlo Lombardi adottò, con la direttiva 8.2.1996, n. 58. I
nuovi programmi elaborati dalla stessa commissione non fecero a
tempo ad entrare in vigore.
Nella successiva legislatura ci si occupò dei grandi problemi di
riforma degli ordinamenti e il problema della cittadinanza restò in
ombra, nonostante i suggerimenti della Commissione dei saggi, che
davano rilievo all’educazione civica nell’ambito dei contenuti
disciplinari. L’educazione civica ricompare in qualche modo nei
curricoli elaborati dalla commissione De Mauro, ma anche in questo
caso la legislatura si conclude con un nulla di fatto.
Alla vigilia dell’annunciato varo parlamentare del disegno di
legge delega del ministro Letizia Moratti, acquista di nuovo rilievo
la questione dei curricoli, che ora vengono chiamati piani di
studio. E nella legge delega compaiono alcune espressioni che
lasciano intendere come possibile la presa in carico dell’educazione
alla cittadinanza da parte di chi avrà il compito di scrivere
indicazioni programmatiche per le scuole.
E’ in questa fase che si colloca il corso del BAICR per la
formazione di una novantina di docenti che diventino esperti in
educazione alla cittadinanza. Si tratta di un corso in parte in
presenza e in parte a distanza, che prenderà in considerazione
tutti i principali aspetti della problematica.
L’orizzonte non può che essere quello della globalizzazione e il
contesto non può che cominciare col riconoscere le ristrettezze di
tempo e di spazio che comunque caratterizzeranno i decisori
ministeriali e i docenti cui si chiederà di assumere il ruolo
insieme esaltante e deludente di educatore di cittadini italiani,
europei e planetari.
Una “valigia per l’Europa”
La capacità di orientarsi nella complessità del presente,
riconoscendo e superando il passato e anticipando nella coscienza e
nell'intenzione un futuro pienamente umano e cioè pacifico,
costituisce un fattore indispensabile di quella cittadinanza a
raggio variabile, locale, nazionale, europeo e mondiale, che si
presenta sempre più come grande meta civile del nostro tempo e come
condizione per il suo sviluppo.
Il rispetto e la promozione dei diritti umani, assunti come criterio
supremo di orientamento dalle costituzioni di tutti i paesi europei
e dai documenti internazionali rischiano di apparire astratte
enunciazioni di desideri, se non si studia in concreto la dinamica
della loro emersione, della loro affermazione, della loro
violazione, nel processo storico di popoli, nazioni, etnie, lingue,
religioni, che variamente aspirano all'identità e alla
solidarietà, alla competizione e alla cooperazione, alla libertà,
all'eguaglianza e alla diversità.
Agli appuntamenti europei, ai quali un numero di paesi sempre più
ampio si sta vincolando, in virtù di una unificazione sui
generis di tipo economico, sociale, civile e politico, giungono
non solo stati per lo più disomogenei, ma anche popoli ed etnie
ricchi di peculiarità, di risorse, di limiti e di pregiudizi che
vanno portati il più possibile alla consapevolezza critica,
soprattutto delle giovani generazioni.
Un ruolo importante spetta in proposito alla scuola e in particolare
agli insegnanti, presenti e futuri: che cosa significa essere e
diventare cittadini di una città, di una regione, di una nazione,
dell'Europa e del Mondo? Come si possono condividere, già entro
ogni città e ogni nazione, i diritti e i doveri di persone che
talora sono o appaiono portatrici di valori tra loro in conflitto o
addirittura in contraddizione? Con quale equipaggiamento giuridico,
economico, culturale, morale i cosiddetti paesi europei si
presentano agli appuntamenti delle diverse unificazioni iniziate e
di quelle programmate? Quale ruolo, quali vizi, quali virtù, quale
missione immaginiamo di portare nel concerto europeo? A quali
condizioni si pensa che si possa continuare a farne parte?
Prima di affrontare temi impegnativi di questo tipo che fanno
pensare alle coscienze profetiche dei "padri fondatori" di
questo secolo e almeno di quello che ci ha preceduto, occorre
pensare ad una sorta di "valigia per l'Europa", in cui
ogni popolo sia messo in grado di collocare un patrimonio di
conoscenze, di idee, di competenze, di attese, con le quali possa
correre l'avventura europea e interagire con altri popoli a
cominciare dalla sua stessa patria nazionale.
E' in questa, infatti, che bisogna affrontare quelle tematiche
interculturali che appaiono sempre più decisive per la stessa
concezione della cultura e della democrazia. E' alle culture
"altre" che ogni nazione europea é anzitutto chiamata ad
aprirsi, consapevole dei rischi e delle opportunità, dei limiti e
dei valori che sono propri della convivenza fra diversi.
Occorre perciò aiutare gli insegnanti a selezionare almeno in parte
questo ricco patrimonio, a costruire un credibile ed efficace
"pacchetto" di conoscenze utili a capire chi siamo, dove
stiamo andando, con chi, verso chi, perché, in vista di quali mete
da conquistare e di quali danni da evitare. Si pensa in modo
particolare ai docenti di storia, di geografia, di letteratura, di
arte, di economia, di diritto, di scienze, di religione, ma non
esclusivamente a loro, dato che gli studi sociali, l'educazione
civica e le libere attività complementari vengono affrontate nelle
scuole secondarie inferiori e superiori in vario modo e con il
contributo di vari docenti.
Si vorrebbe in tal modo stabilire un ponte fra le ormai consistenti
produzioni culturali, pedagogiche e didattiche di diversi organismi
internazionali, governativi e non governativi, dal Consiglio
d'Europa all'UNESCO all'UNICEF, e la prassi scolastica, sovente
incerta su tematiche di questo tipo, non tanto per la spesso citata
apatia diffusa, quanto per la difficoltà di trovare contenuti e
piste di lavoro effettivamente utili e interessanti. Proprio lo
scorso settembre il Consiglio d’Europa ha concluso a Strasburgo la
prima fase quinquennale di un programma intitolato “educazione
alla cittadinanza democratica” (ECD).
Questa espressine è il punto d’arrivo di una serie di studi e di
esperienze che hanno per oggetto le cosiddette educazioni (ai
diritti umani, alla pace, allo sviluppo, alla salute, all’ambiente,
all’intercultura, all’Europa, per citare le più diffuse), che
trovano nel concetto di cittadinanza un loro punto di sintesi
Le trasformazioni politiche e giuridiche interne e internazionali
debbono essere pensate in prospettive di senso criticamente aperte,
ma capaci di mobilitare intelligenza, affetti, volontà di
convivenza e di superamento di ostacoli, nella consapevolezza dei
valori personali, civili e politici che sono in gioco.
Le norme sull’autonomia scolastica, lo Statuto delle studentesse e
degli studenti e le norme sulle consulte studentesche offrono anche
uno spazio di sperimentazione delle idee di cittadinanza e di
partecipazione alla vita della scuola. I collegamenti di rete a
livello nazionale e internazionale ampliano gli orizzonti, purché
si sappia utilizzarli in chiave educativa.
Molte vie alla cittadinanza europea e mondiale sono aperte, altre
attendono di esserlo, anche non il lavoro delle aule scolastiche e
con la responsabile consapevolezza di docenti e studenti.
In questa ricognizione dei problemi e delle risorse, una risorsa
fondamentale si rivela essere la Costituzione, che si dà per nota
anche quando non se ne conosce né l’impianto, né la profondità,
né la ricchezza dei contenuti.
L’educazione e la scuola nel disegno costituzionale
La Repubblica italiana, secondo i primi articoli della Costituzione,
non solo riconosce e garantisce la dignità inviolabile, ma anche
richiede la moralità irrinunciabile dei singoli e delle relative
formazioni umane, in termini di solidarietà (art.2), e s'impegna a
rimuovere gli impedimenti alla realizzazione di una repubblica
democratica (art.3), ossia a costruire un'organizzazione politica
economica e sociale di persone pienamente sviluppate, di cittadini
liberi ed eguali, di lavoratori partecipi.
Per raggiungere questi obiettivi la Repubblica fra l'altro promuove
lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica (art.
9), riconosce i diritti e i doveri della famiglia (art.29), tutela
la salute (art. 32) istituisce per tutti scuole statali per tutti
gli ordini e gradi e detta le norme generali sull’istruzione,
riconoscendo ad altri soggetti pubblici e privati il diritto di
istituire scuole senza oneri per lo Stato e chiedendo al legislatore
una legge sulla parità che consenta un trattamento equipollente
agli alunni delle scuole statali e a quelle paritarie (art. 33).
Le scuole istituite dalla Repubblica e quelle regolate dalle sue
norme generali, sono pertanto istituzioni che concorrono da un lato
a rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e
culturale, dall'altro a promuovere il pieno sviluppo della
persona umana e la sua partecipazione alla vita del Paese.
Tale pieno sviluppo si presenta sia come compito istituzionale
(della "Repubblica"), sia come compito personale, di ogni
singolo soggetto operante nella scuola: la quale dunque non è solo
ambiente strumentale, volto a formare futuri cittadini, ma
anche formazione sociale in cui discenti e docenti svolgono
la loro personalità (art. 2) e cioè vivono da cittadini
dotati di diritti e doveri, in rapporto alle funzioni e ai ruoli che
esercitano. La legge vede la scuola come comunità che interagisce
con la più vasta comunità sociale e civica. (d.leg.vo 16-4-1994
n.297, artt.1-3)
Le metafore costituzionali dello sviluppo e dello svolgimento,
lette in rapporto alla scuola, implicano non solo la
trasmissione e l'elaborazione della cultura (d.leg.vo
16-4-1994, n.297, art. 395), intesa come conoscenza della realtà e
dei modi per trasformarla, ma anche la promozione del saper
essere, del saper interagire e del saper fare,
ossia delle competenze in cui si manifesta la maturità dell’essere
umano, nelle fondamentali e correlative dimensioni della persona
(essere), del cittadino (interagire) e del lavoratore (fare).
Queste dimensioni, si chiarisce nel documento allegato alla
direttiva ministeriale 8-2-1996 n. 58, sono distinte ma
interconnesse e possono svilupparsi armonicamente non solo nella
vita adulta, a cui la scuola prepara, ma nella stessa vicenda
scolastica, intesa come ambito di esperienza cognitiva, espressiva,
sociale, lavorativa.
Una scuola così intesa ha il compito di istruire e di educare, di
orientare e di formare, coniugando promozione dell’eccellenza,
tutela dei deboli e rispetto per tutti, attraverso la valorizzazione
delle relazioni, delle discipline e delle attività, che
costituiscono tutte insieme il suo patrimonio formativo. Questi
verbi si riferiscono a tutte le funzioni senza le quali non si
diventa persone consapevoli, cittadini responsabili, lavoratori
competenti.
Il disegno costituzionale coglie dunque le nervature essenziali di
una Repubblica, che si afferma e si costruisce per i diritti che
riconosce e tutela, per i servizi che rende, per i doveri che
richiede e per gli impegni che sollecita: l’educazione e la scuola
sono insieme la condizione e il frutto di una
Repubblica democratica, che non può affermarsi e conservarsi senza
rischiarsi anzitutto nel dialogo educativo e nell’insegnamento/apprendimento
tipico dell’esperienza scolastica.
Il docente, a cui si riconosce una libertà caratterizzata dal
rispetto della coscienza e dall'impegno di promozione della
personalità degli studenti, nell'esercizio delle sue funzioni è
Repubblica che rimuove e promuove, che cioè si costruisce mentre
serve i suoi cittadini.
Qui sta il carattere valoriale, propositivo, programmatico e in
certo senso pedagogico della Costituzione: qui, potremmo aggiungere,
sta la sua scommessa che gli italiani, dopo la guerra, non si
sarebbero più lasciati sedurre dal totalitarismo o travolgere nella
rissa o corrompere da interessi di corto respiro. Senza conoscenze e
motivazioni alte non c'è partecipazione; senza partecipazione non
c'è democrazia e senza democrazia prima o poi anche la Repubblica
entra in crisi e scompare.
La storia mostra il ripetersi di questo ciclo storico, che però non
è determinato da forze immutabili come i cicli dalla natura. Basti
pensare all'evoluzione dei governi dell’antica Roma, che passano
dall'aristocrazia alla monarchia, poi alla repubblica, al
principato, all'impero, fino al disfacimento e alla lenta
ricostruzione dei regni romano germanici, lontane premesse
dell'Europa che noi dobbiamo costruire. Questa costruzione avviene a
partire dalla nostra Repubblica, che ha approvato, fra l'altro, i
trattati di Maastricht, costruito l’euro e che sta modificando la
seconda parte della nostra Costituzione e contribuendo a scrivere
quella europea. La scuola e la cultura servono non tanto a capire e
a rassegnarsi quanto a capire e a mobilitarsi, per far sì che
accada ciò che vogliamo che accada. Ricordando Croce, possiamo dire
che la storia non è solo pensiero di ciò che è successo, ma anche
azione volta a far succedere quello che si vuole.
Essa infatti propone, con efficace sintesi, concetti e valori
che hanno trovato ulteriori e più analitiche e moderne formulazioni
nella vita culturale e nella produzione scientifica e giuridica
nazionale e internazionale degli ultimi cinquant’anni. Non è
superata e non è altra cosa rispetto a ciò che si è rivelato
decisivo e massimamente interessante nella stagione che sta alle
nostre spalle, dalla salute all'ambiente, dalla pace allo sviluppo,
dall'autonomia alla solidarietà nazionale e internazionale.
La Costituzione infatti, nota ancora la direttiva ministeriale
8-2-1996 n.58, possiede la singolare caratteristica di fondare in
una visione unitaria i diritti umani e l’identità nazionale, l’articolazione
autonomistica e l’apertura sovranazionale, la scuola come
istituzione e il suo compito di ricerca, d’insegnamento, di
rispetto e di promozione della persona, nella prospettiva di una
società pluralistica, a raggio variabile, aperta agli sviluppi
della mondialità e della multiculturalità .
Le fondamenta dell’edificio costituzionale, nonostante il tempo
passato e i mutamenti intervenuti, costituiscono una specie di “giacimento”
di valori etici, giuridici, politici e culturali, tanto più
prezioso quanto più frammentato, complesso e disorientante appare l’orizzonte
valoriale oggi disponibile. In questo contesto la cittadinanza
italiana e quella europea appaiono certo come “beni pregiati”,
di cui possiamo godere, in confronto alle cittadinanze povere di cui
soffrono coloro che sbarcano sulle nostre sponde. E’ però anche
vero che queste tendono a spostare sempre più il cittadino nell’area
universale della persona. Il che suppone non solo, da parte nostra,
la capacità di aprirsi e di offrire, ma anche quella di saper
integrare e convincere i nuovi arrivati a “produrre” e non solo
a “consumare” le nostre cittadinanze pregiate.
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