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Le sfide della globalizzazione



Silvia Di Bartolomei




Il voto del riscatto con il quale i francesi hanno liquidato le velleità dell’ultradestra lepenista è stato anche un voto per i valori di libertà, solidarietà, umanità e democrazia sui quali stiamo tentando di costruire l’Europa unita. Come altre volte nel passato, i francesi hanno reagito con forza e lucidità a un rigurgito reazionario, lanciando un allarme che è risuonato come una sveglia per tutti.

Speriamo dunque che proprio a partire dalla volontà degli elettori che hanno sbarrato il passo a Le Pen si riaffermi con forza la convinzione che c’è bisogno di più Europa. Perché se revanchismo, populismo e xenofobia sono prodotti dell’impasto di paure, insicurezza e intolleranza che avvelena oggi il mondo globalizzato, solo istituzioni globali di collaborazione e di governo possono dare risposte ai cittadini legittimamente preoccupati.

In uno degli ultimi interventi di Renato Ruggiero come ministro degli Esteri si legge: “Più viaggio al di fuori dei confini dell’Europa e più avverto un forte bisogno di Europa; ma non si tratta solo della domanda di un ruolo. La costruzione europea appare agli altri un modello di cooperazione, di sviluppo democratico e di pace; un modello per superare, nella crescente interdipendenza e solidarietà, le grandi tensioni nazionalistiche che hanno provocato secolari tragedie”.

E’ una considerazione, questa di Ruggiero, che trova riscontro nell’interesse diffuso anche negli altri continenti per il nostro modello sociale: un mix di solidarietà, libertà e mercato che Ralph Dahrendorf, nonostante il suo ultimo ripiegamento su posizioni euroscettiche, continua a riconoscere come fattori di forza delle democrazie europee. Forgiata attraverso l’adattamento alle trasformazioni della società, l’“economia sociale di mercato” viene sempre più considerata un valido sistema di governo contro le degenerazioni di un capitalismo rapace e senza regole.

Eppure, quel forte bisogno di un’Europa che sappia tutelare i valori di democrazia e giustizia sociale, rimane ancora insoddisfatto. L’Europa stenta a essere in prima linea nell’orientare i grandi eventi geopolitici in atto. Si trova quasi sempre a rincorrere la locomotiva Usa che ha fin qui guidato il processo di globalizzazione sulla base di assiomi economici e sociali propri della sua cultura e meno di quella europea, come l’esasperazione della competizione e la fede incondizionata nel liberismo. Basta pensare ai conflitti sociali e alle tensioni politiche scatenate anche in Italia da programmi di deregulation troppo spinta. Jaques Le Goff ha scritto su la Repubblica: “Sono un fervente militante dell’Europa. L’Europa significa democrazia e resistenza a una mondializzazione governata dagli Stati Uniti.”

Nel contesto delle problematiche umane, sociali, economiche e ambientali della globalizzazione spetta ora alla Convenzione europea di Bruxelles il compito di affondare l’analisi e di valorizzare il contributo dell’Unione europea. Un contributo che potrebbe essere espresso con le parole del sociologo Amartya Sen nel suo rapporto alle Nazioni Unite sullo sviluppo umano: “L’obiettivo deve essere chiaro. Il compito dell’economia e della politica non è quello di adattare la società alla globalizzazione, ma quello di fare della globalizzazione uno strumento utile per la società”.

Ancora una volta, determinante sarà la posizione degli Stati nazionali, la loro maggiore o minore resistenza alla costituzione di una federazione europea in grado di instaurare una reale partnership con gli Stati Uniti. Un governo mondiale è oggi soltanto un’ipotesi futuribile, ma un governo multipolare di alcune grandi emergenze economiche e sociali è fin d’ora ipotizzabile. In questa direzione si sono già aperte la strada, tra enormi difficoltà e grandi prospettive, le organizzazioni internazionali esistenti. Come l’Organizzazione mondiale del commercio, in cui convergono anche i paesi dell’ex blocco socialista, la Cina e i paesi emergenti africani e asiatici.

In questa direzione vanno le altre organizzazioni del settore finanziario e si indirizzano gli studi per la creazione di un antitrust internazionale, mentre grandi aspettative sono rivolte agli esiti della trattativa sui problemi ambientali e sulla ratifica del Patto di Kyoto. Insomma, istituzioni globali per un governo multipolare dei grandi problemi comuni. Anche la costruzione di un’Europa federata è un passo verso la realizzazione di questa prospettiva. Solo un’Unione che abbia superato le inibizioni dettate dalla boria dei nazionalismi e abbia adottato istituzioni federali almeno in alcuni settori chiave potrà dare una forte impronta al governo della mondializzazione.

A questo proposito il Commissario europeo Mario Monti ha affermato di ritenere “provvidenziale che proprio ora il veicolo della Convenzione abbia mosso i primi passi”. Perché di fronte alle sfide della globalizzazione e, più da vicino, a quelle dell’allargamento “è innanzitutto essenziale mettere in condizione l’Europa allargata di governare se stessa”.

 


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