Patti Smith, il ritorno della
poetessa del rock
Francesco Moroni
"Patti Smith è una personalità completa, una di quelle per le
quali il confine tra vita e arte è molto labile", ha scritto
il critico musicale Piero Scaruffi. Per questo Land (1975-2002)
non è una semplice raccolta di canzoni. E' un intenso viaggio lungo
le pieghe di un'anima irriducibile, che ha attraversato venticinque
anni di storia del rock con la lucida visionarietà che solo i
grandi poeti possiedono. In questa prima antologia ufficiale di
Patti Smith confluiscono tutte le esperienze e le relazioni che la
poetessa del rock ha vissuto con il mondo della musica, della
letteratura e della fotografia. Da Ginsberg a Burroughs, da John
Cale a Robert Mapplethorpe, passando per Pasolini e Rimbaud, l'arte
di Patti Smith ha esercitato un'influenza pari, forse, a quella di
Bob Dylan. Il fascino magnetico di una voce cupa, stridente e
rabbiosa, sostenuta da laceranti ritmiche rock, si spande nelle
trenta tracce di questo doppio cd, che raccoglie brani storici,
pezzi live, rari demo e alcuni reading in cui la parola prende il
sopravvento sulla musica (Spell, tratto da Howl di
Allen Ginsberg). L'unico inedito è una spettrale interpretazione di
When doves cry di Prince, da Purple rain.

Land è un'emozionante altalena tra i
successi di ieri e di oggi, un pugno di canzoni in bilico tra punk,
new wave, taglienti sonorità elettriche, atmosfere sciamaniche,
come Ghost dance, Because the night, People have
the power, Gloria, Dancing barefoot, Pissing in
a river. Il chitarrismo distorto di Lenny Kaye e le tastiere di
Richard Sohl danno consistenza alle liriche free-form della Smith,
in un crescendo emotivo che qua e là esplode in lunghe meditazioni
strazianti (Beneath the southern cross, con il compianto Jeff
Buckley) o in cupi e rochi isterismi (Ain't it strange),
alternati a morbide ballad (Frederick) in cui Patti si
attesta su toni più elegiaci o liturgici, senza perdere nulla in
termini di emotività. Gli ultimi lavori in studio non raggiungono
le vette espressive di capolavori assoluti come Horses e Easter,
tuttavia i brani estratti da Gone again, Peace & noise
e Gung Ho conservano una ispirazione ancora vivacissima,
grazie alle soluzioni sperimentate con Oliver Ray, chitarrista e
nuovo compagno della sacerdotessa del rock.
Oltre al ricchissimo booklet fotografico, introdotto da una nota
della scrittrice Susan Sontag, particolarmente interessante per gli
aficionados è il secondo cd, che seleziona vecchi demotape e
recenti tracce live che consentono di mettere a fuoco più
nitidamente la multiforme personalità della Smith. Tra le rarità
in studio, segnalo Piss factory, Redondo beach e Distant
fingers, anteriori all'album d'esordio. Anche qui si cerca di
alternare i vari registri stilistici, passando dalla ruvida Dead
city all'acustica Wing. La vecchia Birdland (live
2001) è un lento dilatato che tracima in un'allucinata e disperata
progressione, in cui le barriere tra canto, recitazione e urlo si
annullano. Il clarinetto di Higher learning e il reading di Notes
to the future ci conducono alla fine di questo viaggio di (ri)scoperta
dell'universo poetico e musicale di un'icona del rock che a
cinquantasei anni continua a cantare i fantasmi del passato, senza
rinunciare ad uno sguardo anticonformista all'America di oggi. Land
è l'ultimo lavoro per la Arista. Oggi Patti è un'artista senza
casa discografica, che per le sue scomode prese di posizione sulla
politica statunitense e l'insofferenza alle logiche del
music-business difficilmente troverà posto nelle hit-parade, ma
continuerà sicuramente a tracciare nuove strade e a raccontare la
vita a modo suo.
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