Le favole di Wilde secondo Sepe
Josè Luis Sànchez-Martìn
Oscar Wilde, il grande scrittore "inglese d'Irlanda"
vissuto nella seconda metà dell'Ottocento, scrisse romanzi,
racconti e commedie destinate al teatro che non hanno trovato la
stessa popolarità raggiunta dalla sua più maestosa opera teatrale
ovvero la Salomè che lo stesso Richard Strauss vorrà
musicare pochi anni dopo la sua pubblicazione. Scrisse inoltre
favole per adulti quand'era ancora agli esordi, sentimentali e
moraleggianti, che amplierà nel tempo fino al corpo finale che ha
per titolo La casa del melograno, vera e propria raccolta di
favole.
A quest'ultime, ma non solo, si rifà Giancarlo Sepe nel suo
spettacolo miniaturizzato Favole di Oscar Wilde (per cominciare a
leggerle) giunto ormai al settimo mese di repliche nella cornice
del Teatro della Comunità di Roma e ancora per molto in cartellone.
'Non solo' dicevamo, in quanto Sepe cita e si ricongiunge anche a
momenti di racconti esterni a quella raccolta perchè il suo
obiettivo è quello di far vibrare nello spazio raccolto e buio
della sua macchina teatrale girevole il mondo poetico, le
suggestioni, i frammenti segreti dell'immaginario e dello spirito di
Wilde. La struttura dell'allestimento è una delle componenti
essenziali di questa messa in scena ed è probabilmente quella che
ha favorito l'accrescere della curiosità del pubblico nel volerlo
andare a vedere.

Si entra in uno spazio ridotto circolare, una
piattaforma su cui un pubblico di massimo trenta spettatori viene
fatto sedere con la disposizione simile a quella di un planetario
astronomico; fatta eccezione per il monologo iniziale dell'attrice
che entra nello spazio del pubblico, l'intera azione si svolge
dietro le pareti circolari che circondano la platea, trasparenti in
corrispondenza di aperture che stanno per finestre, finestrine,
porte, porticine, pertugi vari e feritoie metafisiche.
Sei attori rigorosamente in abito nero (come le pareti, come gli
scorci di passaggi, corridoi, muri e porte che si intravvedono oltre
gli attori) danno vita, tutt'attorno al pubblico e su un livello
rialzato rispetto ad esso, a sequenze di movimenti ora lenti ora
convulsi, ora nella propria solitudine e incomunicabilità ora uniti
da abbracci passionali o commiati dolorosi, come in una
studiatissima coereografia, una vera e propria partitura dei moti
del corpo e dell'anima guidati e sorretti senza una pausa dalla
suggestiva e onnipresente colonna sonora dello spettacolo, che è
costituita per lo più da celebri brani di musica classica sinfonica
e d'opera. Il pubblico posto sulla piattaforma gira, nel senso
letterale, il che conduce lo spettatore ad osservare nuove
prospettive, nuovi scorci, inducendolo a una progressiva perdita
d'orientamento.
A parte alcune forti e immagini poetiche, lo spettacolo di Giancarlo
Sepe, (regista dell'ottimo Ballando Ballando, di cui abbiamo
scritto l'anno passato) nonostante un quasi plebiscitario osanna da
parte della critica, resta uno spettacolo terribilmente monotono e
noioso, accattivante solo in ordine alla furbizia registica di
pompare senza senso della misura musica e immagini ritagliate nel
buio dagli attori, che restano lettere isolate di un alfabeto privo
di consequenzialità. Non sfugge che l'intento sia stato proprio
quello del caleidoscopio sull'anima oltre il tempo e lo spazio, ma
non si può evadere facilmente la sintassi teatrale, non si può
farlo soprattutto affidando tutto al trucco di questa giostra al
rovescio in cui gli attori fanno la stessa cosa per tutta la durata
dello spettacolo, ovvero offrono alla luce uno scorcio del proprio
volto, ritmano gesti convulsi, vociferano frammenti di diari
segreti.
Tutto senza importanti variazioni di energia, di luce, di atmosfera,
di paesaggi interiori. Manca il mondo di Wilde, l'ironia, il cinismo
graffiante, il contrasto tra verità e arbitrarietà, ne rimane
piuttosto, questo sì e smodatamente, l'estetismo decadente e il
connubio autocompiacimento-autocommiserazione che si riflettono
talmente bene nello spettacolo di Sepe da far credere che più che
un omaggio al lato d'ombra dello scrittore questa sia una tara
specifica della regia che non riesce ad articolare e far muovere
altro che la piattaforma. Un'occasione mancata e un interrogativo da
sciogliere.
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